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TI AMO IN TUTTE LE LINGUE DEL MONDO



Regia: Leonardo Pieraccioni
Lettura del film di: Nazareno Taddei
Edav N: 336 - 2006
Titolo del film: TI AMO IN TUTTE LE LINGUE DEL MONDO
Cast: regia: Leonardo Pieraccioni – scenegg.: Leonardo Pieraccioni, Giovanni veronesi – fotogr.: Italo Petriccione – mus.: Gianluca Sibaldi – mont.: Stefano Chierchiè – scenogr.: Francesco Frigeri – interpr.: Leonardo Pieraccioni (Gilberto), Giorgio Panariello (Cateno), Marjo Berasategui (Margherita), Massimo Ceccherini (Padre Massimo), Giulia Elettra Gorietti (Paolina), Rocco Papaleo (Professor Anselmi), Francesco Guccini (Preside), Barbara Enrichi (Betty) – durata: 100’ – colore – produz.: Levante Film, Medusa Film – origine: ITALIA, 2005 - distrib.: Medusa (16-12-2005)
Sceneggiatura: Leonardo Pieraccioni, Giovanni veronesi
Nazione: ITALIA
Anno: 2005

ll 20 gennaio us. è uscito sui giornali l’intero testo della nuova e prima enciclica del nuovo Papa Ratzinger «Deus charitas est: (Dio è amore)», negli stessi giorni sono usciti nella sale di Prima Visione due film che trattano dell’amore: ti amo in tutte le lingue del mondo e PAROLE D’AMORE.

Convinto della potenzialità del Cinema di essere strumento potente e ormai imprescindibile di predicazione cristiana, come gli ultimi Papi da Pio X in poi hanno dimostrato, in questa nostra epoca disastrata, ero curioso di vedere se ci fosse un qualche aggancio tra il concetto di amore inteso dal Papa e cioè dalla Chiesa cattolica e quello del mondo dello spettacolo, che costituisce ormai la «catechesi» del nuovo millennio.

Sono riuscito a vedere solo il primo dei due; l’altro era già scomparso dalla circolazione.

 

Ecco la «vicenda» del film di Pieraccioni:

È la storia di Gilberto, insegnante di ginnastica, all’Istituto Tecnico di Pistoia, separato dalla moglie, scoperta ad intendersela col collega dal marito, professore di matematica, ma ossessionato, dopo la separazione, dall’alunna sedicenne Paolina, che si dichiara follemente innamorata di lui e lo assilla con bigliettini e con SMS, dove è scritto «Ti amo» in tutte (varie) le lingue del mondo, al punto da minacciare di ucciderlo se scoprirà che ha un’altra donna.

Gilberto ha un fratello, Cateno, che è anche il bidello della scuola, con illusioni subacquee dove Gilberto cerca di assecondarlo, pur senza grandi risultati, ma al quale è molto affezionato, sebbene lui racconti anche in lavanderia tutte le vicende del fratello professore. Invitato a una serata di scambisti, Gilberto, piuttosto schifato dell’ambiente, nell’andarsene incontra Margherita, una appassionata psicoterapeuta di animali, anche lei insoddisfatta della situazione, madre di una, al momento sconosciuta, sedicenne, che sapremo poi essere la stessa Paolina; e se ne innamora, evidentemente ricambiato.

Nel frattempo, Gilberto era ricorso a uno psicanalista per la situazione di Paolina; ma è normale, che una ragazza abbia bisogno di una figura che faccia le veci del padre.

Margherita vuol far conoscere a Gilberto la figlia e lo invita a pranzo, con evidente sorpresa di ambedue; Gilberto sviene e ricoverato all’ospedale. Paolina rimprovera vivacemente alla madre di averle sottratto l’uomo del cuore e in quel tempo, emerge il problema di chi sia il papà di Paolina, che è poi il vecchio francescano frate Massimo, prima di essere frate. Con un po’ di sviluppo narrativo e vari interventi di tutti i personaggi, non senza qualche po’ di difficoltà e di trambusto circa la vicenda, la verità affiora: il papà è il vecchio frate, prima d’essere frate, il quale però non ha la forza di confessarlo, trincerandosi dietro un grande comune amico del padre, che è poi lui stesso e racconta a Paolina quello che di lui e di lei, egli gli avrebbe detto. Tutto finisce in gloria, con la verità affiorata e le varie situazioni chiarite, con una Paolina finalmente innamorata sul serio del coetaneo figlio dello psicanalista e Gilberto e Margherita insieme.

Come si vede, un film «natalizio» di pura vicenda, se non fosse degradante, e quindi irriverente, per il concetto altissimo del Natale, film senza enormi successi, ma anche purtroppo senza spiragli di universalizzazione, come il titolo faceva supporre con quel dire «ti amo» «in tutte le lingue del mondo».

Il «dire ti amo» non è ancora «amore», bensí solo la manifestazione di un’intenzione, «intenzione» non ancora realizzata, di realizzare quella dedizione, senza attesa di contraccambio, che caratterizza, appunto, il fatto e la realtà dell’amare.

Si leggano, invece, la parole con cui la prima Enciclica di Ratzinger, DEUS, CARITAS EST, esprime l’enorme dimensione dell’amore di Dio, anche nell’uomo: tutt’altra dimensione, tutt’altra realtà, tutt’altro mondo: «Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui. (1Gv,4, 16...) Siccome Dio ci ha amati per primo, l’amore adesso non è piú solo un comandamento, bensí è la risposta al dono dell’amore, col quale Dio ci viene incontro.»

«In un mondo – scrive il Papa nell’enciclica – in cui al nome di Dio viene a volte collegata la vendetta o perfino il dovere dell’odio e della violenza, questo è un messaggio di grande attualità e di significato molto concreto. Per questo, nella mia prima enciclica – ha scritto il nuovo Papa – desidero parlare dell’amore, del quale Dio ci ricolma e che da noi dev’essere comunicato agli altri. Desidero (...) suscitare nel mondo un rinnovato dinamismo di impegno nella risposta umana all’amore divino.»

Già dal poco segnalato sin qui, ci si accorge dell’enorme distanza di piano sul quale si muove, da una parte, il Pieraccioni, peraltro non insensibile a tematiche piú nobili e piú alte, e, dall’altra, il Pontefice filosofo e teologo, nostro maestro supremo. Questi non si sofferma a definire il concetto di «amore» e di «Dio che è amore» (Deus charitas est), bensí cerca di arrivarvi, partendo dai due termini con i quali i greci si sono abituati per esprimere, appunto, l’amore e cioè «eros» e «agape» (agape).

«I Greci, specifica il Papa, hanno visto nell’Eros, innanzi tutto l’ebbrezza, la sopraffazione della ragione da parte di una “pazzia divina” che strappa l’uomo alla limitatezza della sua esistenza e, in questo essere sconvolto da una potenza divina, gli fa sperimentare la piú alta beatitudine, tutte le altre potenze tra il cielo e la terra appaiono cosí d’importanza secondaria: “Omnia vincit amor” afferma Virgilio nelle Bucoliche (continua il Papa) – l’amore vince tutto - e aggiunge: “et nos cedamus amori.” – cediamo anche noi all’amore».

Nelle religioni, questo atteggiamento si è tradotto nei culti della fertilità, ai quali appartiene la prostituzione «sacra», che fioriva in molti templi. L’eros, quindi, celebrato come forza divina, come comunione col divino.

«A questa forma di religione, che contrasta come potentissima tentazione con la fede nell’unico Dio, l’antico Testamento si è opposto con massima fermezza, combattendola come perversione della religiosità; con ciò però la Chiesa non ha per nulla rifiutato l’eros come tale, ma ha dichiarato guerra al suo stravolgimento distruttore, poiché la falsa divinizzazione dell’eros, che qui avviene, lo priva della sua dignità, lo disumanizza. Infatti, nel tempio, le prostitute che devono donare l’ebbrezza del divino, non vengono trattate come esseri umani e persone, bensí servono soltanto come strumenti per suscitare la “pazzia divina”; in realtà esse non sono dee, ma persone umane di cui si abusa. Per questo l’eros ha bisogno di disciplina, di purificazione per donare all’uomo non il piacere di un istante, ma un certo pregustamento del vertice dell’esistenza, di quella beatitudine a cui tutto il nostro essere tende.»

«Due cose emergono chiaramente da questo rapido sguardo (...): Innanzitutto che tra l’amore e il divino esiste una qualche relazione: l’amore promette infinità, eternità – una realtà piú grande e totalmente altra rispetto alla quotidianità del nostro essere; ma al contempo è apparso che la via per tale riguardo non sta semplicemente nel lasciarsi sopraffare dall’istinto. Sono necessarie purificazioni e maturazioni, che passano anche attraverso la strada della rinuncia. Questo non è rifiuto dell’eros, non è il suo “avvelenamento” ma la sua guarigione in vista della sua vera grandezza. Ciò dipende innanzitutto dalla costituzione dell’essere umano che è composto di corpo e di anima. L’uomo diventa veramente se stesso, quando corpo e anima si ritrovano in intima unità; la sfida dell’eros può dirsi veramente superata, quando questa unificazione è riuscita. Se l’uomo ambisce di essere solamente spirito e vuol rifiutare la carne come una eredità soltanto animalesca, spirito e corpo perdono la loro dignità. E se, d’altra parte, egli rinnega lo spirito e quindi considera la materia, il corpo, come realtà esclusiva perde egualmente la sua grandezza. L’epicureo Gassendi, scherzando si rivolgeva a Cartesio col saluto: “o Anima!”. E Cartesio replicava dicendo: “o Carne!”. Ma non sono né lo spirito né il corpo da soli ad amare: è l’uomo, la persona che ama come creatura unitaria di cui fanno parte corpo e anima. Solo quando ambedue si fondono veramente in unità, l’uomo diventa pienamente se stesso. Solo in questo modo l’amore - l’eros - può maturare fino alla sua vera grandezza.»

«Oggi non di rado si rimprovera al cristianesimo del passato di essere stato avversario della corporeità; di fatto, tendenze in questo senso ci sono sempre state. Ma il modo di esaltare il corpo, a cui noi oggi assistiamo è ingannevole. L’eros degradato a puro “sesso” diventa merce, una semplice cosa che si può comprare e vendere, anzi, l’uomo stesso diventa merce. In realtà, questo non è proprio il grande si dell’uomo al suo corpo. Al contrario, egli ora considera il corpo e la sessualità come la parte soltanto materiale di sé da adoperare e sfruttare con calcolo. Una parte peraltro, che egli non vede come un ambito della sua libertà, bensí come un qualcosa che, a modo suo, tenta di rendere insieme piacevole e innocuo. In realtà ci troviamo di fronte a una degradazione del corpo umano, che non è piú integrato del tutto della libertà della nostra esistenza, non è piú espressione viva della realtà del nostro essere, ma viene come respinto nel campo puramente biologico. L’apparente esaltazione del corpo può ben presto convertirsi in odio verso la corporeità. La fede cristiana, al contrario, ha considerato l’uomo sempre come un essere uni-duale, nel quale spirito e materia si compenetrano a vicenda sperimentando proprio cosí ambedue una nuova nobiltà. Se l’eros vuole sollevarci “in estasi” verso il divino, condurci al di là di noi stessi, ma proprio per questo richiede un cammino di ascesa di rinunce di purificazioni e di guarigioni.» (Nazareno Taddei sj)

 


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