GIORNALISMO TRA GOSSIP E INFORMAZIONE
di LUIGI ZAFFAGNINI
Chiavi tematiche: giornalismo lettura dei media libertà stampa
In TV o sulla carta stampata il mestiere del giornalista si allontana sempre più da quella funzione primaria che dovrebbe avere: la rispettabile informazione ovvero la inchiesta per portare a conoscenza del pubblico questioni di notevole peso nella vita di un paese.
Ora, dopo anni e mesi in cui si è andati progressivamente slittando verso il crescendo del malcostume scandalistico e diffamatorio nei confronti di ogni sorta di personaggio pubblico, siamo arrivati a una guerra. Essa non si limita a mettere in campo opinioni personali, ma è giunta alla vera e propria gestione di ogni sorta di turpitudine materiale e morale in funzione del solleticare le più basse passioni del pubblico.
L’opinionismo è sempre stato il tratto distintivo del giornalismo italiano, che, per motivi storici e culturali, non si è mai guadagnato il livello alto del giornalismo d’inchiesta, preferendo muoversi o nella tranquillizzante riproposizione delle notizie d’agenzia, o nella più redditizia maldicenza scandalistica a carico dei propri avversari. Non è un caso che sia stata coniata l’espressione “Sbattere il mostro in prima pagina” che, oggi, vale ormai assai più per incastrare i propri nemici politici che non per “strillare” un fattaccio di cronaca nera.
Quanti sono “i mostri” che stampa e tv hanno servito come piatto forte a un pubblico dai gusti assai poco raffinati! E quanti sono quelli che, non essendo risultati “mostri”, non hanno potuto, poi, vedere riaffermata la propria dignità! E non mi riferisco solo a quelli che, dopo anni, sono stati risarciti con un trafiletto di assoluzione sulle pagine interne di un quotidiano, ma mi riferisco a quanti hanno compiuto un gesto estremo o hanno subito un tale insulto sul piano fisico e psicologico da rimetterci la vita.
Dimentichiamo forse che c’è stato un tempo in cui nella democratica Italia, si è linciato a mezzo stampa un presidente della repubblica e si è tentato di fare altrettanto con un altro presidente della repubblica, solo qualche settennato dopo? Non ricordiamo più quando i processi si celebravano in diretta davanti alle telecamere tra svolazzi di nere toghe e tintinnar di manette agitate? Era per assecondare il gusto di un pubblico, non meno assetato di sangue di quello che duecento anni prima assisteva al rotolare delle teste nel paniere della ghigliottina eretta sulla piazza di Parigi, o era un malinteso senso del diritto all’informazione, utilizzato in chiave di potere strumentalizzante? L’una e l’altra cosa, sicuramente.
Qualunque personaggio, umile o famoso, per quanto colpevole, ha diritto al rispetto in quanto essere umano. Ma si ha l’impressione, in questa Italia, che la violenza, che si riscontra nella società ai suoi livelli umorali infimi, corrisponda a una non minore, anzi più colpevole, perché perpetrata da intellettuali, violenza, trasposta sul piano dell’uso della parola e dell’immagine.
Verrebbe voglia di esclamare, parafrasando il verso di una nota opera lirica ottocentesca (Rigoletto: atto II, scena IV), “Giornalisti vil razza dannata!”, non tanto perché i giornalisti siano malvagi come persone, ma perché sono in gran parte traditori della etica insita nel grande compito comunicativo che si sono professionalmente assunti, quando hanno sposato la funzione di tradurre per i molti del pubblico le notizie che essi pochi conoscono.
Quando, infatti, tra direttori di quotidiani accade quanto è successo dopo il ferragosto in cui un direttore di quotidiano di secondo piano si è dimesso per gli attacchi del direttore di un altro quotidiano di primo piano nazionale, si ha l’impressione che, se non si è sparato con mezzi sproporzionati su un obiettivo di rilevanza secondaria, per una battaglia di retroguardia, si sia comunque approfittato per colpire in quel privato, privatissimo di cui la coscienza individuale è responsabile, un aspetto che attiene all’etica del libero arbitrio nel rispetto delle leggi di natura, un essere umano, spostando l’accusa al livello professionale del ruolo che ricopriva.
Tutto questo mentre i grandi architetti della grande stampa d’opinione e della televisione rimangono protetti sotto le volte dei loro loggiati, in modo tale che a loro arrivino solo i frammenti delle schermaglie e non le bordate che abbattono i muri e le trincee dietro i quali si tutelano a suon di compensi in euro.
Oggi si torna daccapo e con sempre maggiore accanimento contro il buon gusto, lo stile professionale, la correttezza deontologica. E non solo nell’ambito dell’informazione, ma anche in quello dello spettacolo. C’è da massacrare volgarmente, sguazzando nelle acque appositamente intorbidate? Ebbene, facciamolo in dosi sempre più massicce!
Così si giunge alle ultime puntate di Anno Zero, offendendo quella parte di spettatori che stimano ci siano fatti più importanti nel paese che non quelli di scoprire gli interessi ricattatori di una qualunque signora che, ritenendo di essere seduta sulla propria fortuna, la amministra con tanto di tecnologie di registrazione nascoste, parlando di professione dignitosa e trovando ascolto e comprensione in tanti esponenti dell’informazione.
Dovremmo dire allora che se ci si oppone a tutto questo, si mette a repentaglio la libertà di informazione?
Chiunque abbia un minimo di saggezza e soprattutto si sia posto il problema di una lettura critica dei media o sappia che la realtà non è quello che appare dai segni che ne trattano, dia, onestamente, la sua risposta!
Luigi Zaffagnini