GENESI, LA CREAZIONE E IL DILUVIO
Regia: Ermanno Olmi
Lettura del film di: Nazareno Taddei
Edav N: 226 - 1995
Titolo del film: GENESI, LA CREAZIONE E IL DILUVIO
Titolo originale: GENESI, LA CREAZIONE E IL DILUVIO
Cast: regia: Ermanno Olmi - scenegg.: Ermanno Olmi - scenogr.: Paolo Biagetti - mus.: Ennio Morricone e musiche tradizionali marocchine - mont.: Paolo Cottignola, Fabio Olmi - Cost.: Enrico Sabbatini -interpr.: Omero Antonutti (il narratore berbero e Noè) e gente comune del popolo marocchino - dur.: 101' - produz.: Rai, Rai1, Lux, Lübe-Betafilm - distrib.: Ist. Luce spa
Sceneggiatura: Ermanno Olmi
Nazione: ITALIA / GERMANIA
Anno: 1994
Chiavi tematiche: primo episodio della collana LA BIBBIA
Forse il giudizio piú severo e critico di questo film l'ha dato senza volere, anzi pensando di giustificarlo, proprio Ermanno Olmi, quando, intervistato da «Panorama» (20.8.94) ha detto: «Ho voluto solo con grande semplicità trasferire le parole del testo biblico sullo schermo. Ecco cos'è il mio film: una Bibbia illustrata. Nel cinema, per me, la parola è fondamentale. E già mi mette a disagio che il film vada a Venezia, un contesto in cui fatalmente si dà piú valore all'immagine rispetto alla parola. Non ho cambiato una sola virgola del testo biblico. La Bibbia, per parafrasare Zanzotto, “è come il sussurro delle generazioni”. Posso permettermi di modificarlo?»
La Bibbia è composta in termini verbali; i suoi racconti possono suscitare immagini mentali; le sue immagini sono immagini letterarie, realmente temporali, ma solo idealmente spaziali. Il cinema è altro linguaggio: è fatto di immagini realmente iconiche e dinamiche, quindi realmente spaziali e realmente temporali, integrate eventualmente, non necessariamente, da suoni, tra cui appunto le parole.
La Bibbia, quindi, come qualsiasi altra opera composta con linguaggio verbale non può essere «trasferita» in altro linguaggio; può essere solo «tradotta». Il che si può fare non trasferendo parole, bensí cogliendone l'idea e traducendola nel nuovo linguaggio.
Le magnifiche immagini del film di Olmi non «trasferiscono», né «illustrano» la Bibbia, pur forse rispettata «alla virgola» nel suo testo verbale (quale?); sono al massimo allusive al racconto biblico.
Il film di Olmi comincia, nel buio e in un silenzio, interrotto da un fruscio di vento e poi da qualcosa come uno stropiccío di materia e da una voce di bambino: «Ho paura!»; e una voce di donna: «Sono qui vicino a te; non devi aver paura!»; e il bimbo: «Perché è buio?».
Finalmente spunta qualche accenno di luce su qualcosa che ci accorgeremo essere una tenda mossa come onda da aliti di vento e riusciremo a distinguere il profilo di un vecchio. Siamo dunque in una tenda di pastori berberi, con una storia che comincia con un bambino che ha paura del buio e che vuol sapere perché c'è il buio.
È un inizio tenero e patetico, che nella mente dell'autore — ma lo sappiamo dalle sue dichiarazioni, non dalla narrazione filmica — allude alla narrazione della Bibbia che «mia nonna raccontava come una favola, alternandola a Cappuccetto Rosso. (…) Credo che, in fondo, anche il Padreterno abbia detto “E sia la luce” perché lui stesso aveva paura del buio.” («Panorama» cit.)
E cosí, infatti, si sviluppa il film. È quindi la storia di una famiglia di pastori berberi, dove il nonno racconta al bimbo e alla sua famiglia la Bibbia.
Ma in questo racconto si inseriscono delle immagini — allusive, piú che illustrative — del racconto biblico che il nonno sta facendo. Sono immagini generalmente stupende e delicatissime, soprattutto quelle che si riferiscono alla creazione della natura e dell'uomo maschio e femmina, visti nella tenerezza del loro rapporto concreatore.
Ma le immagini del racconto di base (una famiglia di pastori nomadi) e quelle allusive alla Bibbia sovente si mescolano fra loro, sí che, da una parte, non se ne coglie la funzione narrativa e, dall'altra, non coincidendo sempre con le parole della Bibbia, non si capisce il vero e proprio discorso che sono chiamate a fare.
Quando il racconto biblico si fa piú narrativo con la storia di Caino che uccide Abele e i discendenti di Set che si danno all'industria del ferro, le immagini allusive si fanno piú frequenti e, a spizzichi, anche narrative. Quando poi si arriva all'arca di Noè e al diluvio, il vecchio berbero narratore diviene Noè che costruisce l'arca e la amministra secondo gli ordini di Dio.
In GENESI, quindi, ci sono, per dir cosí, tre filoni compositivi:
a) le parole della Bibbia fatte sentire da un vecchio nonno berbero che le racconta a un bimbetto e anche alla famiglia;
b) le immagini — tutte veramente stupende e quasi tutte ispirate — che si muovono ora a raccontare il vecchio narratore con la sua gente, ora ad alludere ai fatti di cui parla il testo biblico, ora (ed è particolarmente l'ultima parte, quella dell'arca, dove il vecchio berbero diventa Noè) a realizzare direttamente il racconto biblico;
c) il sonoro, anch'esso quasi sempre magnifico come musica, ma monocorde (e forse monotono) come lettura delle parole bibliche, che sono predominanti.
C'è poi un breve (per fortuna!) inserto di immagini televisive che intendono sottolineare l'attualità della Bibbia, soprattutto sotto il profilo dell'odio fraterno maturato già ai primordi. Pensiero senz'altro molto bello; ma che come cinema se ne resta lí, insufficiente come espressione filmica, oltre lo scivolone strutturale e stilistico. Il cinema ha sue regole stabilite dalla natura del linguaggio, che non perdonano nemmeno a chi, pur eccellente, fa cinema. Ma dimentichiamo questo brano, vero errore stilistico, apprezzandone le buone intenzioni.
I tre filoni suddetti sembrano andare ciascuno per conto proprio, sí che non si riesce a seguire ciò che succede. Non c'è un racconto unitario; c'è invece un insieme di magnifici bozzetti che se ne stanno lì, ciascuno col proprio significato: nell'insieme, non arrivano a esprimere l'intento che l'autore aveva cosí dichiarato: «La Genesi ci insegna anche oggi a cogliere in un fruscio, nell'eco di un sussurro, quel mistero ch'è sotto il nostro sguardo quotidiano. (…) La Parola divina affiorata alle labbra degli uomini costretti a levare il loro sguardo verso la profondità degli spazi celesti. Le immagini hanno solo la funzione di “accompagnamento figurativo”.» (in Ufficio Stampa della Mostra di Venezia).
Chi è abituato a «leggere» le immagini filmiche intravede gli intenti e gode dello splendore di quasi tutti quei bozzetti — immagini e musica — ma è quasi distratto da quella carovana che sembra avere una sua storia (ogni immagine dice pur sempre qualcosa) la quale non si esaurisce col vecchio che narra la Bibbia. Quando poi alla vita di quei pastori si interpola un ragazzo, pure berbero, che colpisce con un sasso qualcosa sotto di lui, a stento intuiamo che è Caino che ammazza Abele. Ma quando lo capiamo, apprezziamo la discrezione delle immagini in un fatto cosí tragico, però rimpiangiamo anche che una struttura sia cosí limitata.
Poi spunta l'arca e non sai se è quel vecchio che porta dentro la sua famiglia o se quel vecchio era Noè o se il regista ha cambiato registro. In tal modo, nemmeno il racconto piú o meno verbale della Bibbia salta fuori decisa.
Insomma, c'è un'autentica magnificenza di immagini, di suoni e anche di intenzioni; ma tutta questa magnificenza, di fatto, a mio avviso, non fa magnifico il film.
L'ho visto in una sala di Cineforum: parecchia gente s'è annoiata e quasi nessuno ne ha colto il valore sia tematico sia artistico, pur ammettendo la grande bellezza delle immagini.
Olmi stesso, alla domanda («Panorama» cit.) di come sarebbe stato accolto il film a Venezia, rispose: «Male, scommetto. Ma non lo scriva.» Convinzione? (ma allora perché farlo in quel modo e, di piú, presentarlo?), scaramanzia? (perdonabile), superiorità su chi considera le immagini e non le parole essenza del film? Comunque, forse non solo Venezia è rimasta delusa.
Cerchiamo piuttosto di capire il perché della riuscita solo parziale di un film dall'audiovisivo splendido e dal materiale straordinario.
Non solo, ma se lasciamo a parte l'infelice trucchetto della carovana berbera col vecchio narratore, che ricorda molto da vicino il «mediatore» del film e venne un uomo, dobbiamo aggiungere, come elemento di per sé pure splendido, la concezione piuttosto originale (narrare il racconto biblico con immagini allusive e non descrittive) per riuscire a esprimere quel «sussurro» della Bibbia« nel nostro quotidiano».
Se non mi fa velo la delusione del vecchio non inutile maestro, a un dato punto inascoltato, penso che la riuscita solo parziale di questo film, che aveva tutti i numeri per essere compiutamente magnifico, sia dovuta proprio all'equivoco teorico enunciato dallo stesso Olmi (ma non come equivoco!) nelle parole citate all'inizio. Equivoco di linguaggio: i tre filoni che vanno per conto proprio, al massimo si incontrano a livello di bozzetto.
Ancora una volta, Olmi, indubbiamente vero artista, è scivolato sulla buccia di banana della struttura. Una struttura che richiedeva un respiro ampio e non limitato al bozzetto. Di questo suo limite, dopo i primi film che l'hanno lanciato (ma durante i quali s'era lasciato assistere, ma senza suggerimenti circa le concrete scelte di immagini) non ha mai voluto rendersi conto. Un vero peccato!
Olmi, comunque, è un vero autore; ha in mano tutto; è maestro e nel cogliere inquadrature e musiche e nel guidare gli attori.
Ha dichiarato di «non essere né un teologo, né un filosofo, né un cosmologo» e solo «un aspirante cristiano». Molto bello; ma forse non è bastato! (Nazareno Taddei S.J.)