TICKETS
Regia: Ermanno Olmi, Abbas Kiarostami, Ken Loach
Lettura del film di: Olinto Brugnoli
Edav N: 329 - 2005
Titolo del film: TICKETS
Titolo originale: TICKETS
Cast: regia: Ermanno Olmi, Abbas Kiarostami, Ken Loach - scenegg.: Ermanno Olmi, Abbas Kiarostami, Paul Laverty - fotogr.: Fabio Olmi, Mahmoud Kalari, Chris Menges - scenogr.: Alessandro Vannucci - cost.: Maurizio Basile - mont.: Giovanni Ziberna, Babak Karimi, Jonathan Morris - mus: George Fenton - interpr. princ.: Carlo Delle Piane (professore), Valeria Bruni Tedeschi (scrittrice), Silvana De Santis (donna), Filippo Trojano (Filippo), Martin Compston (Jamesy), William Ruane (Frank), Gary Maitland (Spaceman), Blerta Cahani (ragazza albanese), Klajdi Qorraj (ragazzo albanese) - colore - durata: 115' - produtt.: Carlo Cresto-Dina, Babak Karimi, Rebecca O'Brien e Domenico Procacci - produz.: Fandango e Sixteen Films in collab. con Medusa - origine: GRAN BRETAGNA / IRAN / ITALIA, 2005 - distrib.: Medusa (18.2.2005)
Sceneggiatura: Ermanno Olmi, Abbas Kiarostami, Paul Laverty
Nazione: GRAN BRETAGNA / IRAN / ITALIA
Anno: 2005
Presentato: Fuori concorso al Festival del Cinema di Berlino 2005
Chiavi tematiche: pietà comprensione solidarietà
Presentato fuori concorso al Festival del Cinema di Berlino 2005, il film si presenta come un’originale prova di «solidarietà creativa» da parte di tre grandi registi – Olmi, Kiarostami e Loach – che hanno rinunciato all’idea del classico film ad episodi (in cui ciascuno, autonomamente, esprime una propria idea) per tentare di raggiungere un’unità tematica, pur raccontando tre storie diverse. Tre vicende, quindi, con protagonisti diversi, raccontate in modi diversi, ciascuna delle quali esprime un’idea parziale particolare. Ma che, messe insieme, riescono ad esprimere un’unica idea centrale.
Si riprende cosí il problema di EROS: un film in tre parti o un film di tre film?
Nel primo episodio – quello di Olmi – un anziano professore farmacologo, dopo aver partecipato ad un convegno in Germania, deve far ritorno a Milano, dove l’attendono la figlia e l’amato nipotino. A causa della sospensione dei voli («È stata allertata la sicurezza») è costretto a prendere il treno. I biglietti gli vengono forniti da una premurosa ed affascinante segretaria, che si accomiata da lui alla stazione. Durante il viaggio, il professore, con il suo portatile, incomincia a scrivere una relazione scientifica. Ma ben presto il suo pensiero va a quella bella signora, che ha suscitato in lui una fitta rete di sentimenti e di ricordi. Incomincia a scriverle una lettera, che vorrebbe esprimere tutto il suo ricco e complesso mondo interiore. Ma quando s’accorge della presenza di una famigliola di immigrati albanesi, che viene tenuta rigorosamente fuori dal vagone ristorante, e vede che un militare sgarbato rovescia il biberon con il latte destinato al bambino piú piccolo, decide di cancellare quanto stava scrivendo e di portare lui stesso un bicchiere di latte a quel povero bambino.
Nel secondo episodio – firmato da Kiarostami – un’anziana e pesante signora sale sul treno in una stazione intermedia (il treno, partito dalla Germania, prosegue la sua corsa fino a Roma). È la vedova di un generale dell’esercito che si reca, a distanza di un anno dalla morte del marito, alla commemorazione funebre. È accompagnata e assistita da Filippo, un giovane di venticinque anni, che sta facendo il servizio civile. Nonostante i suoi biglietti siano di seconda classe, la signora, spaventata dalla marea di gente che si trova sul treno, va a prendere posto in prima classe, dove la prenotazione è obbligatoria. Avrà modo di litigare con un signore a causa del telefonino; di litigare con i legittimi proprietari dei posti da lei occupati; di opprimere e di rimproverare continuamente il povero Filippo, impedendogli di parlare con delle ragazze di Bracciano che conoscono lui e la sua famiglia. Alla fine Filippo non ne può piú e se ne va, abbandonandola al suo destino. A nulla valgono i tentativi della donna di ritrovare il suo accompagnatore (che vedremo scendere a Roma alla fine del terzo episodio). Scenderà da sola alla stazione di Chiusi, mentre il treno riprende la sua corsa.
Nel terzo episodio – quello di Ken Loach – tre ragazzi scozzesi, tifosi del Celtic, si recano a Roma per assistere all’incontro di Champions League Roma-Celtic. Sono rumorosi ed esuberanti, ma anche aperti e generosi. Attaccano discorso con il ragazzino albanese (quello di mezzo dei tre figli della famigliola di cui si è parlato nel primo episodio) che porta la maglia con il nome di Beckam e offrono a lui e alla sua famiglia dei sandwich, che possiedono in gran quantità (essendo impiegati in un Discount). Ma al momento di esibire al controllore i loro biglietti, s’accorgono che ne manca uno. I sospetti cadono sul ragazzino albanese. Dopo varie discussioni, decidono di interrogare il ragazzo e pretendono di vedere tutti i biglietti dei componenti la sua famiglia (costituita, oltre che dal ragazzo e dal fratellino piccolo, anche da una sorella maggiore, dalla loro madre e dalla nonna). In effetti i loro sospetti si rivelano fondati. Decidono di denunciare la cosa al controllore, ma la ragazza li implora e li scongiura di non farlo, raccontando loro le traversie e gli inganni che hanno dovuto subire per poter andare a Roma ad incontrare il padre, che non ha ancora visto il bambino ultimo nato. Dopo varie incertezze e discussioni, uno dei tre tifosi, proprio quello che all’inizio sembrava il piú determinato e insensibile, decide di regalare il suo biglietto alla ragazza albanese, ben sapendo che ciò comporterà l’intervento della polizia italiana. Ma, appena giunti alla stazione di Roma Termini, approfittando di un malinteso tra le forze dell’ordine, i tre tifosi scappano e riescono ad evitare i poliziotti, mescolandosi tra i tifosi della Roma che li proteggono in un clima di festosa solidarietà.
1) Dopo il titolo del film – già di per sé chiaramente emblematico, e sul quale si ritornerà cercando di formulare l’idea centrale – si vede il professore che entra nel vagone ristorante e si siede comodamente ad un tavolo, mentre la porta automatica si richiude alle sue spalle lasciando fuori la famiglia albanese, che si trova tra due scompartimenti del treno, vicino ai servizi, senza nemmeno uno strapuntino su cui sedersi. L’accento viene subito posto su questa stridente differenza tra chi viaggia con tutti i confort e chi a malapena viene accettato e, spesso, come si vedrà, viene maltrattato.
Protagonista di questo episodio è chiaramente il professore, un uomo colto e dall’aria vagamente misteriosa. Un uomo «arrivato», che sembra assorbito completamente dall’impegno professionale e dagli affetti familiari (il riferimento al nipotino e l’urgenza di arrivare a casa per partecipare al suo compleanno).
Ma la struttura filmica, estremamente elaborata e complessa, mette gradualmente in risalto la profondità del suo mondo interiore. Sono presenti quasi tutti i tipi di struttura: da quella lineare all’inserimento di numerosi flashbacks, dal leit-motiv al montaggio parallelo. Inizialmente si segue lo sviluppo cronologico; poi, incominciano i vari flashbacks che si riferiscono a vari piani di realtà: le azioni che avvengono nella sala del convegno; il commiato alla stazione con l’affascinante segretaria; il ricordo, legato alla sua infanzia, di una musica di Chopin che usciva da una finestra aperta e da lui collegata ad un’enigmatica ragazzina; il sogno di cenare con la segretaria (il cui nome scoprirà essere Sabine). Alcune di queste immagini, soprattutto quelle della ragazzina, ritornano spesso, costituendo un vero e proprio leit-motiv. Ed infine prende il sopravvento il montaggio parallelo, che si ritrova sia nel filone del presente sia all’interno di alcuni flashbacks, soprattutto in quelli relativi alla stazione.
Dopo essersi seduto, senza quasi accorgersi degli altri che non trovano posto (significativo che lui possieda la prenotazione per due turni al ristorante per poter rimanere tranquillamente seduto, privando però cosí qualcun altro della possibilità di potervi accedere), il professore inizia la sua relazione. Ma il suo pensiero comincia a vagare. Il primo ricordo è relativo all’annuncio datogli da Sabine circa la chiusura dell’aeroporto e, in seguito, all’alternativa prospettatagli di prendere il treno. Lui risponde sbrigativamente, tutto teso com’è ad arrivare a casa il piú presto possibile. Ma poi l’immagine di quella donna dolce e affascinante, che gli porta i biglietti alla stazione e gli sorride con aria di mistero, sembra fissarsi nella sua mente e incomincia a trasformarlo interiormente. Sospende la relazione e incomincia a scrivere una lettera: «Gentile signora», che poi diventerà: «Gentile amabile signora». Il monologo interiore prosegue: «Solo adesso mi rendo conto di non averla adeguatamente ringraziata…». Il cambiamento è sottolineato anche da un piccolo particolare: in precedenza il professore aveva rifiutato l’aperitivo offertogli dal cameriere, ma subito dopo, quasi con aria di sfida, lo accetta: «Perché no?». E incomincia a scrivere a Sabine, entrando in un’altra dimensione, quella dei sentimenti, del sogno, della fantasia. Il sentimento che lui prova per Sabine gli ricorda ripetutamente quel sogno di felicità accarezzato da bambino, quando sentiva quella musica uscire da una finestra («…Ma dentro era buio e non si vedeva chi suonava e io me ne stavo là a fantasticare»). La trasformazione che sta avvenendo nell’animo del professore risulta evidente dalle sue stesse parole: «Prima pensavo solo di ritornare a casa…ora, invece, se il treno si fermasse e invertisse la sua corsa sarei contento». Ed ecco il desiderio di poter chiamare «Cara Sabine» quella dolce signora. Ecco il sogno di poter cenare con lei («Sono sempre stato portato per i sogni…nei sogni non c’è nulla da spiegare; non ci sono “perché”, perché non ci sono risposte…nei sogni siamo sempre giovani, e anche belli»). Quindi nei sogni non c’è il pericolo di essere patetici; non c’è il bisogno, quando si è entrati nella vecchiaia, di mascherare i propri sentimenti per paura di apparire ridicoli. L’immagine del professore riflessa (a volte anche doppiamente) sul vetro del finestrino sta ad indicare i vari piani di realtà che convivono nel suo animo.
Ma poi, come s’è detto, il montaggio parallelo prende il sopravvento. Questo era già presente nei vari flashbacks relativi alla stazione, e metteva in risalto, oltre al protagonista, la presenza dei militari e della famiglia albanese. I militari erano dappertutto, controllavano tutto (anche i documenti del professore), in un clima di grande tensione e di allarme. La famiglia albanese aspettava con ansia di poter salire sul treno. Ora questi elementi ritornano e determinano una svolta nell’atteggiamento del protagonista, che è quasi costretto ad uscire dal proprio mondo di ricordi e di sogni e prendere coscienza della realtà che lo circonda. Quel militare, con gli occhiali scuri e l’aria da «duro» che gli si siede di fronte, lo incuriosisce, ma anche l’inquieta. Forse per la prima volta s’accorge della presenza di quella famiglia di immigrati al di là della porta e prova tenerezza per quel piccolo bambino sballottato di qua e di là. Resta sorpreso e amareggiato dalla durezza con cui il militare interviene per far smettere il bambino che si divertiva a premere il pulsante per aprire e chiudere la porta automatica (significativo che poi il militare, per riposarsi, si copra la faccia con la giacca della divisa: l’immagine si sofferma su quella divisa, segno di un potere ottuso e senza volto, cioè disumano). Ed è proprio questo militare che, andando in bagno, costringe i componenti la famiglia ad alzarsi, e poi, uscendo, rovescia il latte del biberon. Anziché scusarsi, diventa ancora piú aggressivo e li fa allontanare («Non possono stare qui… chi è questa gente?»). Arriva un inserviente a pulire. Tutti guardano, ma nessuno interviene. È a questo punto che il professore reagisce e ordina al cameriere un bicchiere di latte tiepido. L’immagine si sofferma sul bicchiere di latte e sul computer con le prime parole della lettera indirizzata a Sabine. Il professore prende una decisione importante: non «salva» la lettera che stava scrivendo e si reca, dopo aver attraversato due porte, a portare il latte al bambino. In altre parole, il professore, di fronte al comportamento ingiusto e disumano del militare, spegne il computer (cioè abbandona i propri sogni e i ricordi) e compie un gesto – piccolo, ma estremamente significativo – di solidarietà e di bontà. Forse non è stato inutile tuffarsi nel proprio mondo interiore, che può risvegliare sentimenti e pensieri troppo spesso sopiti. Ma ad un certo punto, di fronte ad una realtà discriminante ed ingiusta, è necessario uscire da se stessi, dalle proprie preoccupazioni e dai propri sogni, per compiere un gesto nobile e sincero a favore degli altri, di chi si trova nel bisogno.
2) Nel secondo episodio, protagonista è senza dubbio la «generalessa», una donna anziana, grassa e preoccupata solo di sé. In questo episodio (come nell’ultimo) la struttura filmica è lineare, cioè cronologica, e i modi del racconto sono prevalentemente narrativi (a differenza del primo, ricco di elementi semiologici). La vediamo salire in una stazione non meglio identificata, accompagnata da Filippo, il suo giovane assistente. È affannosamente alla ricerca di un posto libero ed è carica di bagagli. Si porta appresso un vestito che dovrà indossare all’ultimo momento, per evitare che si spieghi, in vista della commemorazione funebre cui si sta recando. Appena salita, rimane impressionata dalla moltitudine di persone presenti sul treno che evidentemente le creano disagio e paura. Decide pertanto, con grande sfrontatezza di andare ad occupare due posti in prima classe, nonostante le obiezioni di Filippo. Guarda con aria di invidia le donne giovani e belle e manifesta una sorta di gelosia nei confronti di Filippo, cui fa cambiare posto per evitare che guardi una provocante signora. Nella sequenza del cellulare conteso (un signore, che aveva sbagliato posto e si era seduto vicino a lei era convinto che lei stesse usando il suo telefonino), lei aveva indubbiamente ragione, ma, anziché cercare di risolvere la diatriba in modo civile e accomodante, dimostra tutta la sua prepotenza e il suo menefreghismo. In seguito, di fronte a quei due signori che reclamano i posti che avevano prenotato, si comporta con arroganza al punto da far intervenire il controllore, che, resosi conto del carattere impossibile della signora, trova una soluzione facendola accomodare in uno scompartimento (prenotato, ma libero fino a Chiusi). Quando vede Filippo che parla con una ragazzina, lo chiama immediatamente e lo manda al bar a prenderle un caffè. Piú tardi Filippo incontra un’altra ragazzina (probabilmente sorella di quella di prima) che dice di conoscerlo bene. Tra i due nasce un rapporto di confidenza (entrambi sono di Bracciano) che fa emergere ricordi e fa rievocare a Filippo problemi familiari (la morte del padre, la sorellina che non vede da anni, la sua ragazza, ecc.). Ma la «generalessa» non sopporta che il «suo» assistente la trascuri e lo chiama, con tono di comando. Si fa aiutare da lui a cambiarsi d’abito, lo rimprovera, lo accusa di essere maldestro, di andare in giro a chiacchierare, di fare i comodi suoi. Filippo, esasperato, reagisce fuggendo da lei. Il tutto sotto gli occhi allibiti della ragazzina che aveva seguito lo svolgersi degli avvenimenti. La donna lo insegue percorrendo tutto il treno ed aprendo tutte le porte degli scompartimenti, con la speranza di trovarlo. Ma invano. Arriva fino alla locomotiva, dove vede un macchinista a torso nudo. Forse in lei si riaccende un tardivo desiderio. Ma l’invidia, la gelosia, il desiderio non possono che trasformarsi in disperazione. Decide di scendere a Chiusi (non si capisce se questa era la sua destinazione o se decide di scendere prima), aiutata proprio da quel signore con cui aveva litigato a causa del telefonino. La vediamo sola, sul marciapiede della stazione, seduta sulle sue valigie. Ha l’aria smarrita. La porta del treno si richiude e lei resta fuori. L’immagine, in soggettiva, la fa vedere sempre piú lontana. È la ragazzina, cui l’autore dedica un primo piano nell’ultima inquadratura, che la guarda con aria pensierosa e preoccupata.
Questa donna, preoccupata solo di se stessa, arrogante e incapace di un gesto di tolleranza o di apertura nei confronti degli altri, è inevitabilmente destinata alla solitudine e alla disperazione.
3) Protagonisti del terzo episodio sono i tre ragazzi tifosi del Celtic. Chiassosi, ma simpatici, dimostrano fin dall’inizio di non avere pregiudizi nei confronti di alcuno e di essere aperti e generosi nei confronti della gente. Attaccano discorso con il piccolo albanese; cercano di agganciare alcune ragazze italiane; offrono sandwich al ragazzino e a tutta la sua famiglia. Quando s’accorgono che uno dei tre è senza biglietto, cercano di trovare un rimedio, ricorrendo alla cassa comune. Ma i soldi non bastano per pagare un nuovo biglietto comprensivo di multa. Uno dei tre (quello rosso di capelli) comincia a sospettare del ragazzino albanese cui il suo amico aveva mostrato i biglietti per la partita. Gli altri non sono d’accordo con lui e difendono l’albanese. Ma poi decidono di indagare e scoprono che effettivamente il ragazzo s’era impossessato del loro biglietto. Decidono di denunciare la cosa al controllore, ma la ragazza albanese li ferma e, con toni drammatici, li implora di non farlo: «Mio padre ci sta aspettando alla stazione di Roma; non ha mai visto il bambino…». E racconta una delle tante storie di immigrati: il padre arrivato in Italia con una barca; alcuni dei suoi compagni morti annegati; la promessa di far venire a Roma tutta la famiglia; l’inganno subito da parte di alcuni uomini senza scrupoli che avevano detto loro di essere arrivati a Roma, mentre non era vero; la vendita degli anelli della madre che però non è servita per comperare i biglietti per tutti. Questa storia fa riflettere i tre ragazzi. E provoca in loro varie reazioni: da un lato la comprensione, dall’altro il dubbio (potrebbero essere tutte bugie) ed il sospetto (potrebbero essere dei terroristi o dei ricercati). Infine la paura: se uno di loro viene arrestato dalla polizia rischia di perdere il lavoro. Poi, improvvisamente, il gesto di solidarietà e di umana compassione, che potrebbe essere pagato a caro prezzo. Gesto che verrà contraccambiato – inaspettatamente – proprio dai tifosi della loro squadra avversaria, la Roma, in nome di una passione sportiva che potrebbe (o dovrebbe) essere elemento di unione, anziché di divisione e di odio.
Si può pertanto affermare che questo coraggioso gesto di pietà e di solidarietà non solo fa del bene agli altri, ma non resta sterile e viene di fatto in qualche modo ricompensato.
Nell’analisi dei tre episodi, si sono volutamente tralasciati alcuni elementi che ora è necessario recuperare per poter cogliere l’idea centrale dell’intero film.
1) Tutti e tre gli episodi sono ambientati su di un treno che parte dalla Germania e arriva a Roma. È fin troppo chiaro che il viaggio diventa metafora della vita stessa, che abbraccia moltitudini di persone diversissime tra di loro, che vivono gomito a gomito.
2) Il secondo elemento che accomuna i tre episodi è costituito dal titolo del film, TICKETS. Si riferisce certamente al modo di viaggiare di queste persone: c’è chi possiede due biglietti, perché se lo può permettere, rischiando di escludere altri; c’è chi, pur possedendo il proprio biglietto, cerca di fare il furbo e di occupare il posto degli altri; c’è chi, per indigenza, non riesce a procurarsi i biglietti necessari e cerca di arrangiarsi per poter sopravvivere; c’è infine chi i biglietti li ha ed è disposto a regalarli a chi ne è privo, pur correndo cosí grossi rischi.
3) Ma l’elemento strutturale narrativo piú importante di tutto il film è rappresentato dalle porte. Dall’inizio alla fine vediamo porte che si aprono o che si chiudono. È chiaro che, al di là del fatto narrativo, queste porte rappresentano le varie situazioni in cui ci si viene a trovare, ma anche i diversi atteggiamenti delle persone nei confronti degli altri, atteggiamenti che possono essere di chiusura (di esclusione) o di apertura (di solidarietà). A questo proposito assume un significato emblematico il latte rovesciato dal militare: il latte (legato al bambino che si divertiva ad aprire la porta) resta in parte al di qua e in parte al di là della porta automatica, obbligando l’inserviente a spalancare la porta se non altro per pulire. Certo, si possono aprire materialmente le porte anche per egoismo, come fa la «generalessa», che percorre tutto il treno e apre tutte le porte per rintracciare Filippo; ma alla fine è lei a rimanere chiusa fuori dal treno.
Solo chi sa aprirsi agli altri con un atteggiamento di umana pietà, di comprensione e di solidarietà migliora la qualità della vita (degli altri e di se stesso); chi invece si chiude in un atteggiamento egoistico e prepotente rovina la vita degli altri e rovina la propria vita. (Olinto Brugnoli)