IL TEMPO SI E' FERMATO
Regia: Ermanno Olmi
Lettura del film di: Sergio Raffaelli
Edav N: - 1961
Titolo del film: IL TEMPO SI E' FERMATO
Titolo originale: IL TEMPO SI E' FERMATO
Cast: reg. sogg. e scenegg.: Ermanno Olmi - fotogr.: (in totalscape b. e n.) Carlo Bellero - mont.: Carla Colombo - mus.: Pier Emilio Bassi - interpr.: (nella parte di se stessi) Natale Rossi, Roberto Seveso, Paolo Quadrubbi - organizz.: Alberto Soffientini - produz.: Sezione Cinematografica della Edison-Volta - origine: ITALIA, 1959 - distrib.: Lux - m. 2736
Sceneggiatura: Ermanno Olmi
Nazione: ITALIA
Anno: 1959
Chiavi tematiche: modo di considerare la vita e l'uomo
• Gli interpreti appartengono alla categoria sociale che rappresentano; durante la lavorazione, oltre che come attori, hanno collaborato con le mansioni specifiche della loro professione, alla quale sono ritornati dopo la realizzazione del film. Solo il Seveso, da un ufficio è passato alla Sezione Cinematografica in qualità di aiuto operatore.
• Ufficialmente il film doveva essere una documentazione sulla vigilanza invernale delle dighe Edison, ma partendo per le riprese, Olmi aveva già intenzione di farne il film che poi ha fatto.
• Le riprese sono state effettuate a 2.800 m. sotto la cima dell'Adamello nel cantiere della diga del Venerocolo, trasformato, si può dire, in stabilimento cinematografico perfettamente attrezzato. La troupe di circa 25-30 persone, assistita da un medico e da un sacerdote, ha dovuto lavorare duramente per il freddo e l'altitudine, ma non ha dovuto subire alcuna penuria grazie alla eccezionale organizzazione del Soffientini. Tra l'altro, per mezzo di portatori di montagna la pellicola girata scendeva a Milano e dopo qualche giorno ritornava lassù sviluppata, sicché il regista e i suoi collaboratori potevano constatare in proiezione l'effetto delle scene.
• Premi: alla X Mostra Internazionale del Film Documentario e Cortometraggio (Venezia, 1959) «Gondola d'oro» del CIDALC (Comitato Internazionale del Cinema Educativo Culturale - Parigi) (motivazione: «ha saputo commuovere il pubblico presentando un soggetto altamente umano con un'estrema semplicità di mezzi ») e «Premio S. Giorgio» della Fondazione Cini (motivazione: «scopre con chiarezza e con misura i valori essenziali della semplicità e dell'amicizia attraverso una serena visione della vita in coraggioso contrasto col pessimismo oggi dominante»); «Rododendro d'oro» per il migliore lungometraggio di montagna all'VIII Festival Internazionale Film della Montagna e dell'Esplorazione (Trento, 1959) (motivazione: «imposta e risolve un delicato rapporto psicologico dentro un quadro ambientale insolito con finezza di notazioni, con discrezione di accenti e con viva partecipazione umana»); Menzione Speciale della Giuria alla V Semana Internacional de Cine Religioso y de Valores Humanos (Valladolid, 1960); Targa «Mario Gromo» (St. Vincent, 1960), destinata a segnalare la prima significativa affermazione di un giovane regista italiano; Grand Prix al II Rencontre Cinématographique (Prades, 1960); Premio «San Fedele» 1960 (motivazione: «per la delicata poesia di una tessitura narrativa di lineare semplicità che raggiunge sullo sfondo pittorico di austere solitudini alpestri un'atmosfera lirica di profonda umanità »).
• Il film è stato invitato anche alla Sezione Informativa della XX Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica (Venezia, 1959), dove ebbe grande successo di critica e di pubblico, ma fu trascurato dalla Giuria perché non conforme allo statuto; e ancora al II Festival Cinématographique de Versailles (1961).
• Fino dal 1959 è incluso nei programmi di Cineforum, Circoli del Cinema, Cineclub, Cinema d'Essai di tutta Italia. È stato proiettato con grande successo a 4 mila giovani al «Gaumont-Palace» di Parigi il 3 marzo 1960. Accolto con entusiasmo dalla critica di tutti i vari Festival a cui fu presentato, è stato quasi ignorato dal grosso pubblico, forse per lancio pubblicitario inadeguato.
• Indice di frequenza in Italia: prime visioni 69 (incassi: L. 4.520.000); intero mercato: 3 (incassi: L. 9.105.461) (dati aggiornati al 31-3-61; da «Cinemundus»).
• Particolarmente adatto per cicli sulla nuova fase del cinema italiano (dopo il 1958), sul cinema che si basa su intimi valori umani, sul problema della solidarietà, sul mondo del lavoro o come esempio di cinema attraente al di fuori dei consueti ingredienti di violenza, sesso e masse.
È LA STORIA DI due uomini (l'uno anziano guardiano invernale della diga, l'altro giovane studente inviato lassù a sostituire per qualche giorno il secondo guardiano sceso a valle per motivi familiari) i quali, troppo diversi per situazione sociale e per abitudini mentali e di vita, a poco a poco riescono – nell'immensa solitudine montana – ad intendersi e ad affiatarsi su un piano di profondità umana, sul quale la rozza tempra del guardiano rivela tutta la solidità della sua saggezza, del suo calore e della sua comprensione; e la vanesia ingenuità del giovane rivela la capacità di cogliere, apprezzare ed assimilare valori fin allora sconosciuti e forse deprezzati. Tutto ciò avviene attraverso una storia senza storia, cioè attraverso i piccoli contatti quotidiani dei quali il meno consueto è quello finale in cui il giovane, spaventato per un malessere passeggero mentre fuori infuria la tormenta, è simpaticamente e delicatamente curato dal comprensivo compagno. Il tema, più che dall'intenzione del regista, risulta dall'humus umano nel quale egli ha sentito la tenue storia dei due uomini isolati nell'immensità della montagna. Non c'è nessuna tesi, nessun messaggio che il regista vuol lanciare allo spettatore: c'è solo un certo modo di considerare la vita e l'uomo. Ed è un modo buono, caldo, sano, sostanzialmente cristiano per ciò che il cristianesimo ha portato di riflesso all'umanità.
GIUDIZIO UFFICIALE CATTOLICO (C.C.C.): «Da questo film, che contiene alcune notazioni di indubbio valore positivo, si ricava un utile insegnamento: se aspirate alla serietà di un’esistenza tranquilla, non la troverete certo nel ritmo febbrile di una vita lanciata alla ricerca di sempre maggiori comodità materiali. La visione del film è ammessa per tutti.»
« (…) Con felice intuizione e fresca sensibilità, il regista ha saputo fondere i personaggi nell'ambiente. Ne è risultato un originale tipo di documentazione tutta vista e sentita dall'interno. L'Olmi non si interessa infatti alle cose (diga, impianti, ecc.) se non quando entrano in rapporto con l'intimo dei suoi personaggi. Pensate, per esempio, alle suggestive distese di neve. Mai lo sguardo indugia su di esse per una compiaciuta descrizione, ma sempre ci vengono presentate o come visioni soggettive, colorate dai riflessi psicologici dei personaggi, o come scenografia nella quale i protagonisti dominano la natura o sembrano, a volte, esserne dominati. (…) Opera dunque, a nostro avviso, compiuta, nella quale una profonda emozione umana trova costantemente equilibrio nelle immagini e nel ritmo senza alcuna forzatura o compiacenza.» (Mario Casolaro in Letture, 1959, 8, pp. 631- 632).
« ( ... ) Stilisticamente il film risente senza dubbio delle esperienze del neorealismo. Un neorealismo di tipo zavattiniano, portato cioè ai limiti dell' “estetica del quotidiano”, del rispetto quasi ossessivo, quasi religioso della realtà di tutti i giorni ( ... ).» (D[EL] F[RA] in Avanti!, 18-5-60.
«( ... ) Olmi ha voluto tornare al neorealismo più rigoroso: interpreti non professionisti, ambienti veri, presa diretta. Tornare, anzi, è un termine incongruo, perché il neorealismo non ha mai raggiunto una purezza così ascetica. ( ... ) Non c'è una nota stonata, né un segno fuori posto: è un piccolo film perfetto che sarebbe piaciuto al Flaherty di Louisiana Story. ( ... ).» (Tullio Kezich in Sipario, 1960, 1).
«Parlando di questo film, il termine “poesia” non cade a sproposito, se usato con precauzione; poesia alla quale Olmi ci ha abituati con precedenti documentari industriali. In questo film l'uomo è sempre in primo piano. E' questa preminenza direi che determina lo stile e impone il ritmo del linguaggio di Olmi. Tale caratteristica di linguaggio è l'adozione di un tempo cinematografico che tende a identificarsi col tempo reale. E si può dire anche che questa caratteristica sta alla base dei felici esiti del giovane regista. Mediante tale narrare, egli mostra a suo agio i più piccoli particolari delle espressioni, carica di significati i gesti più consueti e indifferenti, conferisce un valore agli oggetti più comuni e più umili. Conseguenza di questo narrare è il dover procedere in un certo modo (potremmo chiamarlo “divisionistico”?) nel creare un personaggio, un'atmosfera, una storia. Modo che non può non fare i conti con i limiti del metraggio imposto da uno spettacolo cinematografico. Se infatti da qui deriva quella ricchezza di felici notazioni che avvince ed esilara lo spettatore, quell'immediatezza e freschezza di rappresentazione che nasce spontanea, naturale in quel momento, qui anche si nasconde il pericolo di una eccessiva frammentarietà e quindi di bozzettismo: pericolo che (speriamo non a caso) in questo film è stato evitato.» (Sergio Raffaelli in Note Schedario).
« Le grandi – meritate – lodi che il film e Olmi hanno avuto da tutti mi dispensano dal ripeterle. D'altra parte l'amicizia che mi lega a Olmi mi permette (e forse mi impone, dal momento che egli è ancora giovane e agli inizi di una carriera che potrà essere brillante) di cogliere i punti deboli della sua opera. Sotto il profilo stilistico si può avvertire qua e là non perfetta coerenza tra l'idea dell'Olmi che dirige le riprese e quella dell'Olmi che dirige il montaggio. Voglio dire che se le riprese sono in funzione di un'aderenza del tempo cinematografico al tempo reale (caratteristica della sensibilità cinematografica dell'Olmi) il montaggio è in funzione di un ritmo e di un lavoro di lima che non coincidono sempre con quella. La sua preoccupazione pertanto di ritmare e di limare si direbbe frutto di una nuova ispirazione, la quale purtroppo non può tralasciare il fatto che la pellicola è già impressionata ed è già quello che è. Ne nasce quindi un vero - anche se poco avvertito - disagio stilistico, un vero scivolamento da un'originalità di linguaggio verso un linguaggio più consueto e più tradizionale. Il rimedio - se le cose stanno così - si può avere solo in una maggiore insistenza di impegno creativo nella fase del film che precede le riprese ed è in grado di condizionarle; cosicché, al montaggio, il problema del ritmo sia questione quasi solo tecnica e per così dire materiale, non inventiva o creativa." (Nazareno Taddei in Note Schedario).
« (…) Due esseri che tendono sempre più ad avvicinarsi (…). Questo avvicinamento, descritto dal regista con notazioni psicologiche attente e precise, trova un puntuale riscontro nelle immagini: dalle prime inquadrature, dove tutto fa muro di separazione tra i due, si passa progressivamente ai letti avvicinati in cucina durante la bufera, alla stupenda composizione dei giacigli nell'interno della chiesetta (i due distesi, per terra, testa a testa, con un unico cuscino al centro), per concludere infine con il vecchio visibilmente felice che porta a cavalcioni il giovane, ancora un tantino malconcio per la nottata, ma anche lui sereno e contento. ( ... ).» (Mario Casolaro in Letture, 8, p. 632).
« (…) L'uomo e il ragazzo divengono amici, ma una siffatta amicizia può sostenersi e giustificarsi soltanto alla condizione che l'uomo e il ragazzo rimangano ciascuno al proprio posto. L'uomo sarà paterno, il ragazzo filiale. Il meraviglioso è di aver saputo rendere plausibile sullo schermo, ossia in sede di spettacolo, una situazione tanto naturale sul piano umano, quanto assurda nei confronti della posizione reciproca che si crede occupino oggigiorno i giovani e gli anziani.» (Guido Guarda in L'Osservatore Romano, 25-5-60).
« (…) Il film non ci appare come una costruzione convenzionale ma come un brano di esistenza umana. Ha i limiti e il respiro del “racconto breve” ma tutte le qualità per renderlo gradito quale esempio di un cinema in cui la realtà e la vita trasfondono sullo schermo palpiti di poesia e calore di umanità.» (N. M. Lugaro in Bel Mondo, maggio 1960).
« (…) A parte la limitata prospettiva ( ... ) c'è qua e là - proprio nei momenti in cui l'osservazione psicologica dovrebbe penetrare in profondità - una certa facilità sentimentale, un aspetto deamicisiano che possono infastidire lo spettatore più esigente. Ma è, probabilmente, lo scotto che bisognava pagare alla semplicità, alla freschezza, alla modestia che sono alla radice del film, buono come il pane fatto in casa (...).» (M. M[orandini] in La Notte, 7-4-60).
GIUDIZI DELLA CRITICA: ASPETTO MORALE
« ( ... ) Il messaggio di fraternità ( .. .) viene dalla comprensione pura di due creature diverse che si comprendono in quanto tali e si amano proprio per aver scoperto in sè quel qualcosa che è necessario all'altro per completarsi a vicenda.» (M. R. in Mamme d'oggi, marzo 1960).
«( ... ) Dà un'impressione di pulito, di onesto, di genuino e oltretutto riesce veramente divertente, di un divertimento che non svuota il cervello, ma lascia al fondo qualcosa di utile, di educativo ( ... ).» (Sandro Zambetti in Rivista del cinematografo, 1959, 9-10, p. 314).