LA LEGGENDA DEL SANTO BEVITORE
Regia: Ermanno Olmi
Lettura del film di: Olinto Brugnoli
Edav N: 165 - 1989
Titolo del film: LA LEGGENDA DEL SANTO BEVITORE
Titolo originale: LA LEGGENDA DEL SANTO BEVITORE
Cast: regia e montaggio: Ermanno Olmi – sogg.: dall’omonimo racconto di Joseph Roth – scenegg.: Ermanno Olmi, Tullio Kezich – fotogr.: Dante Spinotti – scenogr.: Gianni Quaranta, Jean-Jacques Caziot – cost.: Anne-Marie Marchand – mus.: Igor Stravinskij – interp. princ.: Rutger Hauer (Andreas Kartak), Anthony Quayle (il signore distinto), Sandrine Dumas (Gabby), Dominique Pinon (Woitech), Sophie Segalen (Karoline), Jean-Maurice Chalet (Kanjak) - colore - durata: 125’ (m. 3425) - origine: ITALIA, 1988 – produz.: Cecchi Gori – distrib.: Columbia Pictures Italia
Sceneggiatura: Ermanno Olmi, Tullio Kezich
Nazione: ITALIA
Anno: 1988
Premi: – LEONE D'ORO ALLA MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA 1988 - NASTRO D'ARGENTO 1989 PER LA MIGLIOR REGIA - 4 DAVID DI DONATELLO 1989 : MIGLIOR REGIA, MIGLIOR FILM, MIGLIOR MONTAGGIO (ERMANNO OLMI), MIGLIOR FOTOGRAFIA (DANTE SPINOTTI)
Chiavi tematiche: esistenza trascendente vita umana santità
La leggenda del santo bevitore rappresenta il primo film in cui Ermanno Olmi affronta una storia non sua e con attori professionisti. Il film è tratto dall’omonimo racconto di Joseph Roth e l’Autore lo sottolinea già nei titoli.
Leone d’oro alla 45a Mostra Cinematografica di Venezia (1988).
La vicenda. Andreas Kartak, ex minatore di origine polacca, vive in Francia da clandestino, per aver involontariamente ucciso il manesco marito della donna che aveva amato. La sua è una vita da barbone, da emarginato. Dorme sotto i ponti della Senna riparandosi dal freddo con dei fogli di giornale e, appena può, si rifugia in un’osteria a tracannare qualche bicchiere di vino rosso. Un giorno, un signore misterioso lo avvicina e gli dà duecento franchi, che restituirà, se lo riterrà opportuno, una domenica sotto forma di offerta a Santa Teresa di Lisieux, la cui statua si trova nella chiesa di S. Maria di Batignolles. Andreas promette sul proprio onore che manterrà fede all’impegno preso e, intanto, si serve della somma ricevuta per migliorare le proprie condizioni di vita: cibo caldo, l’immancabile vino, un po’ d’affetto, una stanza decente. Ha anche la fortuna di trovare un lavoro che gli permette di disporre di una maggiore quantità di denaro.
Una domenica si reca alla chiesa, di cui aveva annotato l’indirizzo, per «pagare il proprio debito», ma l’incontro casuale con la donna che era stata all’origine delle sue disgrazie lo porta a spendere i soldi che doveva restituire. Torna a dormire sotto i ponti e una notte sogna la stessa «piccola santa» che lo rimprovera dolcemente. L’indomani, con grande stupore, trova nel portafoglio, comperato usato, ben mille franchi. Riprende per lui la fortuna e una nuova vita: ritrova un vecchio compagno di scuola, ora pugile famoso, che lo fa alloggiare gratis in un hotel e gli regala un suo vestito; ha un’avventura sentimentale con una ballerina che provvede ad alleggerirgli il portafoglio.
Finalmente, Andreas torna alla chiesa per sdebitarsi con S. Teresa. Qui incontra un antico compagno di lavoro che si finge disperato e gli sottrae così i duecento franchi che dovevano essere «restituiti». Povero in canna, reincontra il personaggio misterioso dell’inizio che gli offre altri duecento franchi. Forse è la volta buona per riuscire a mantenere la promessa; ma una notte trascorsa all’osteria per ripararsi da un violento acquazzone va a intaccare la somma predisposta. Andreas è ora davanti alla chiesa e un poliziotto gli consegna – credendolo il proprietario – un portafoglio con dentro duecento franchi. «È un segno di Dio», afferma Andreas all’osteria di fronte all’amico che cerca di dissuaderlo. L’improvvisa entrata nell’osteria di una ragazzina con le stesse sembianze della «piccola santa» del sogno e che dice di chiamarsi Teresa accresce la determinazione di Andreas. Con i duecento franchi stretti nella mano fa per andare in chiesa, ma improvvisamente cade. Viene trasportato in sagrestia. I soldi sono ancora stretti nella mano. Finalmente può sdebitarsi. E nel contempo muore, ma di una morte «lieve e bella».
Questa storia, sotto il profilo narrativo, è strutturata nel racconto in tre grosse parti con un prologo e con una conclusione.
· Il prologo è di fondamentale importanza nell’economia dell’opera in quanto fornisce la chiave di lettura di tutto il film, quella allegorica o metaforica. Quell’uomo misterioso che in un contesto autunnale scende la scalinata di un ponte della Senna per incontrarsi con dei barboni, che si rivolge a uno di loro con parole sorprendenti e dense di significato («Dove va fratello?» e «È Dio che la mette sul mio cammino»), che afferma di star vivendo il «miracolo» della conversione, di essere debitore della piccola Teresa e di non avere indirizzo in quanto dorme sotto i ponti, che dà fiducia al primo che capita concedendogli un prestito senza pretendere alcuna garanzia e in modo assolutamente gratuito, immette tutto il film in un contesto allegorico con chiare connotazioni di tipo religioso.
Il protagonista del film, Andreas, in questo prologo non è il soggetto dell’azione principale, ma ne è l’oggetto; è colui che, senza aver fatto niente, e quindi senza merito alcuno, riceve un beneficio da parte di qualcuno che autonomamente prende l’iniziativa e gratuitamente dà. Andreas è cioè il beneficiario, colui al quale viene gratis datum qualcosa, colui al quale viene aperto un credito.
· Prima Parte. Andreas non va a nascondere, per conservare gelosamente, quanto ha ricevuto. Ma lo spende, facendolo fruttare in termini di vita umana più ricca e più piena. Egli sembra rinascere a nuova vita: mangia, beve, dorme e riassapora con vivace freschezza e ingenuo stupore tutte le piccole ma belle cose della vita. Può finalmente comperare un giornale nuovo, va in un bar decente, si rimette in sesto dal barbiere, ottiene un lavoro, compra un portafoglio, sente ed asseconda il richiamo sessuale, si mette a lavorare, fa amicizia col grassone che gli ha procurato il lavoro, va a dormire in una camera d’albergo, ecc. Tutte cose normali, ma che Andreas aveva quasi dimenticato e che ora sta riassaporando con gioia quasi infantile. Anche la vivace musichetta (i brani musicali sono di Igor Stravinskji) che accompagna il protagonista durante questi brevi nuclei narrativi, non fa che sottolineare la gioiosa riscoperta di una vita più vera perché più umana. Nel momento in cui Andreas decide di «restituire» la somma ricevuta alla «piccola santa», incontra la donna che ha segnato una svolta nella sua vita. È un fatto casuale, non voluto direttamente, ma anche questo fa parte della vita.
Di fronte alle insistenze della donna, la cui presenza suscita in lui il ricordo di fatti fondamentali per la sua esistenza, Andreas decide di seguirla: la piccola Teresa può aspettare; per ora è più importante vivere e vivere con intensità ciò che la vita offre. Il ristorante, la balera, la camera da letto rappresentano esperienze tanto più ricche in quanto diventano occasione per rivivere tappe fondamentali di un’esistenza.
· Seconda parte. Andreas si ritrova al punto di partenza, a dormire sotto i ponti. Il sogno-apparizione della piccola Teresa prelude al ritrovamento dei mille franchi nel portafoglio usato. È un colpo di fortuna. O non è forse il caso di cominciare a parlare di provvidenza? In ogni caso si tratta di un nuovo “credito” di cui Andreas è beneficiario. Ricomincia a vivere intensamente e la fortuna sembra arridergli. Rivive per una serata l’antica amicizia col pugile ora famoso, da cui riceve notevoli benefici; vive l’avventura con l’attraente ballerina con entusiasmo e trasporto; ma non dimentica il suo “debito”. Ma alla domenica, mentre si reca in chiesa, l’antico compagno di lavoro, fingendo spudoratamente, fa sì che egli non se la senta di negare all’amico i duecento franchi: la piccola Teresa può aspettare ancora; è più importante dare all’amico e vivere con lui qualche ora di gioia intensa (il ballo, la casa di tolleranza).
· Terza parte. Ci risiamo. Rimasto senza una lira, Andreas ritorna lungo la Senna e qui ritrova l’uomo misterioso dell’inizio che, non riconoscendolo, gli affida altri duecento franchi. Ancora un credito per il protagonista, che approfitta dell’inaspettato dono per rifugiarsi nella solita osteria e trascorrervi la notte al riparo da un violento nubifragio. La notte è lunga, ma piena di ricordi e densa di emozioni: il vecchio orologio affidatogli dal padre prima di partire per la miniera, la coppia di anziani nei quali il protagonista vede i propri genitori ecc. Ma al momento di uscire, la padrona, implacabile, esige il pagamento del conto. Andreas è costretto a intaccare la somma destinata alla restituzione. Ancora una volta qualcosa, un fatto casuale, impedisce ad Andreas di sdebitarsi.
· Conclusione. Ma ancora una volta avviene un “miracolo”. Di fronte alla chiesa di S. Maria di Batignolles Andreas viene avvicinato da un gendarme che – credendolo il proprietario – gli consegna un portafoglio con dentro duecento franchi. Questo «segno di Dio!», unitamente all’improvvisa comparsa di una ragazzina che dice di chiamarsi Teresa, fa capire al protagonista che finalmente è arrivato il momento della restituzione: «lo ho mancato... posso sdebitarmi finalmente». Ma la restituzione avviene contemporaneamente alla sua morte (o la restituzione è la morte del protagonista?). Andreas muore, ma in sagrestia, e seduto su una ricca poltrona, serenamente e lietamente per essersi finalmente sdebitato (si noti la breve comparsa della ragazzina in chiesa vista attraverso uno spiraglio della porta).
Il film termina con una dissolvenza in chiusura sul corpo senza vita del protagonista. Una didascalia finale riporta le parole con cui termina il racconto di Joseph Roth: «Conceda Dio a tutti noi, a noi bevitori, una morte così lieve e bella!».
Sotto il profilo semiologico, il racconto è costellato di brevi – a volte brevissimi – flashback. Tuttavia non si può parlare di una struttura a flashback o ad incastro, in quanto i brevi inserti hanno più una funzione narrativa che tematica. Servono a rievocare fatti o avvenimenti passati della vita del protagonista o per spiegare la sua situazione attuale. Tutti comunque hanno la funzione di indagare la ricca realtà interiore del protagonista che è fatta di ricordi, di sogni, di speranze e di fantasie.
La struttura, invece, può essere definita ciclica in quanto presenta alcuni elementi, importanti sotto il profilo tematico, che ritornano e si ripetono in modo pressoché identico (a parte il finale).
Per ben quattro volte il protagonista del film riceve un credito (sulla cui natura si dovrà dire), per tre volte egli trasforma tale credito in una realtà di vita più umana, piena, ricca; per tre volte, al momento della restituzione, succede qualcosa che lo porta a spendere la somma predisposta; alla fine la restituzione del credito coincide con la fine della vita. Si può osservare ancora che gli episodi che intervengono a impedire la restituzione del credito sono fatti casuali, ma possono essere considerati come fatti “di vita”, che contribuiscono a rendere più ricca e più umana la vita. Tra l’impegno della restituzione e la possibilità di vivere un’esperienza pienamente e decorosamente umana, il protagonista sceglie quest’ultima; sceglie, cioè, la vita (o, meglio, si lascia prendere dalla vita).
A questo punto è di fondamentale importanza cercare di definire in che cosa consiste quel credito (e gli altri crediti successivi) che innesca tutto il racconto e la cui restituzione conclude il film.
Il credito è qualcosa che viene concesso in modo del tutto gratuito – e senza alcun merito da parte del beneficiario – da qualcuno (si noti il contesto provvidenziale-religioso) e che serve a vivere meglio, cioè in modo più umano, diciamo pure (ma con riserva), autenticamente umano. Esso dovrà essere restituito; ma fino a che è dato (e rinnovato in vari modi) può aiutare a vivere in modo pieno e dignitoso.
Il credito è dunque una “grazia”; sono le “grazie” di cui la vita è costellata; forse è la “grazia” della vita stessa (questo spiegherebbe il fatto che la restituzione del credito coincide con la restituzione della vita). La vita è piena di doni, dunque, di “grazie”, di “miracoli” (naturalmente per chi sa riconoscerli come tali). Tutto ciò dev’essere restituito con la morte. Ma la morte è tanto più «lieve e bella», quanto più è il coronamento di una vita spesa bene, cioè in modo dignitoso e autentico, seppur tra debolezze e lacune.
È in questo senso che va intesa la santità del bevitore: non santità nel senso canonico, bensì nel senso di piena umanità, che comprende sì carenze e fragilità ma che resta sostanzialmente aperta agli altri e a Dio.
Questa idea centrale, che viene espressa dalla struttura del racconto, resta tuttavia un po’ annacquata, sotto il profilo tematico, particolarmente a causa del calligrafismo – che talvolta rasenta il virtuosismo – delle singole immagini. Queste compongono i livelli bassi della piramide strutturale; ma non si strutturano tematicamente ai livelli alti, dove pare stiano solo a illustrare – pur magnificamente – un racconto che è letterario e non cinematografico.
Il valore cinematografico del film, oltre ai pregi formali già rilevati, trova i suoi punti di forza nella calibrata recitazione degli attori, nell’impiego di brani musicali veramente azzeccati e nella capacità di creare scorci e atmosfere efficaci. Anche l’uso del sonoro relativo alle parole, quasi sempre sussurrate o bisbigliate, conferisce all’opera un carattere di intimità e, nel contempo, di interiorità.
Moralmente, si potrebbe molto discutere, soprattutto a livello di “cosa rappresentata”, circa il tipo di santità del protagonista quale risulta dal film, così intimamente commista a elementi di debolezza, di fragilità e diciamo pure di colpe umane. Ma se si guarda all’intento espressivo dell’Autore, non si può che rilevarne il positivo richiamo a una vita umana più intensa e più dignitosa e a un’apertura verso una dimensione più ampia, in qualche modo provvidenziale e trascendente, dell’esistenza. (Olinto Brugnoli)