JINGWU FENGYUN – CHEN ZHEN (La leggenda del pugno - Il ritorno di CHEN ZHEN)
Regia: Andrew Lau
Lettura del film di: Manfredi Mancuso
Edav N: - 2010
Titolo del film: JINGWU FENGYUN – CHEN ZHEN
Titolo originale: JINGWU FENGYUN – CHEN ZHEN
Nazione: HONG KONG, CINA
Anno: 2010
Presentato: 67. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2010 - Fuori Concorso
È la storia di Chen Zhen, eroico combattente cinese che, al tempo della Prima Guerra Mondiale, viene mandato (con un grande contingente di operai cinesi) dalla Cina in aiuto alla Francia. Dopo essersi distinto in guerra per aver salvato, con alcune azioni eroiche, i suoi compagni in pericolo, l’uomo torna in Cina decidendo di assumere un’altra identità e diventando socio d’affari di un boss della malavita locale. In Cina, nel frattempo i Giapponesi preparano una cospirazione per impadronirsi del paese, sottoponendo i cinesi a privazioni e umiliazioni di vario genere e compilando una vera e o propria “lista nera” di patrioti cinesi da eliminare.
Chen Zhen, vedendo la Cina in pericolo, nelle mani degli “oppressori” decide così di vestire i panni di un cavaliere mascherato (“Il cavaliere nero”) e di lottare (a mani nude) contro l’oppressore.
Dopo aver salvato, con le sue azioni, molti dei cinesi in pericolo, l’uomo si trova a combattere infine l’ultima decisiva battaglia contro un generale dell’esercito Giapponese (che, nel frattempo aveva dato una caccia spietata a Chen Zhen, uccidendogli tutti i vecchi compagni del fronte e facendogli violentare la sorella), al quale aveva ucciso anni prima il padre e che affronta in uno scontro all’ultimo sangue dentro un dojo. Ucciso anche l’ultimo nemico, Chen Zhen resterà a vegliare, in veste di guerriero mascherato, sulla resistenza cinese che, nel frattempo, grazie anche al suo esempio, si è risvegliata, unendosi contro ogni forma di oppressione sul suolo cinese.
Questa, a grandi tratti, la vicenda. Dal punto di vista del racconto il film si caratterizza in primo luogo per il modo in cui è presentato il personaggio di Chen Zhen: dotato di un coraggio straordinario e di abilità sovrumane, che lo distinguono dal resto della massa, egli decide di agire per la prima volta quando, durante la “grande guerra”, vede i suoi compagni cinesi in pericolo, stretti dal fuoco dell’offensiva tedesca e abbandonati dai presunti alleati francesi che battono in ritirata, lasciando gli operai cinesi al loro destino. È lì che Chen Zhen dà mostra per la prima volta delle sue eccezionali doti, che lo portano a correre più veloce delle pallottole che gli fischiano intorno e più forte (a mani nude) dei soldati armati fino ai denti. E risulta fin da subito lampante l’intenzione del regista di presentarci il personaggio facendo largo uso di iperboli narrative (basti pensare ai balzi da “superman” che Chen spicca o alla forza da colosso che lo contraddistingue), quasi volesse investire la sua figura di una missione ultraterrena, ammantandolo di un alone di leggenda sovrumana (e d’altra parte “la leggenda del pugno” è proprio l’indicativo titolo del film).
Parimenti l’uomo, che ha perso la sua identità una volta finita la guerra, ritorna ad essere Chen Zhen (mascherato però da cavaliere nero) quando si accorge che l’oppressione del popolo cinese da parte dell’aggressore esterno (questa volta giapponese) continua sotto altre forme. Da notare che il nostro eroe combatte tra l’altro quasi sempre a mani nude, mentre i nemici fanno largo uso di armi (bianche e da fuoco). Complementari poi alla figura di Chen Zhen si uniscono nel film altri personaggi più o meno significativi, che proprio grazie all’esempio di Chen trovano il coraggio mancante per compiere il loro destino di personaggi: è questo il caso dei giovani studenti universitari che si uniscono per organizzare i primi, non violenti, nuclei della futura resistenza cinese, ma anche del codardo ispettore di polizia che ritrova il coraggio proprio quando vede l’ingiusta sopraffazione degli universitari, arrestati senza colpa a causa di un provocatore giapponese.
Netta è d’altra parte la distinzione che il film fa tra gli esponenti del popolo cinese e gli “oppressori” (non importa di che razza o professione siano) di quest’ultimo, soprattutto i giapponesi, mostrati come spietati e crudeli uomini senza valore (proprio il contrario di quanto il mezzo cinematografico ci ha sempre mostrato, facendo sempre leva sul grande senso dell’onore che caratterizza, almeno filmicamente, la stirpe del sol levante!), disposti a tutto (perfino al tradimento e all’inganno) pur di assoggettare ai loro scopi i cinesi.
Il film, che si innesta su uno spettacolare impianto scenografico e coreografico (graficamente eccezionali alcune coreografie dei “duelli” o delle azioni spettacolari di Chen), non presenta approfondimenti tematici degni di nota e si configura come un discreto film di vicenda che scorre su ritmi assolutamente godibili. Buona, ma non eccelsa, la concezione della struttura, anche a un livello puramente narrativo, poiché l’evidente progetto di mostrare la presa di coscienza del popolo direttamente legata alla lotta di “Liberazione” di Chen Zhen perde d’efficacia man mano che il conflitto tra gli oppressi e gli oppressori, ovvero tra i cinesi (con Chen in testa) e i giapponesi si tramuta in una “lotta privata” tra il nostro eroe cinese e la sua nemesi giapponese. Oltretutto c’è da mettere in risalto anche l’uso abbondantemente spettacolare della violenza. Una violenza che, del resto, si direbbe quasi fine a se stessa, perché se è vero che da un lato la violenza dei giapponesi serve a mostrarci le nefandezze del “nemico”, è pur vero che la violenza del nostro eroe, incarnata nelle sue mirabolanti azioni, non serve poi a molto (le didascalie finali ci indicano infatti che la guerra tra giapponesi e cinesi continuerà, anche se il nostro eroe continuerà a vegliare sui suoi consanguinei). In chiusura è interessante notare come l’opera del regista di Hong Kong (che da pochi anni, come sappiamo, ha ottenuto la piena indipendenza dalla Gran Bretagna), Andrew Law, abbia una forte impronta “nazionalista” e la parabola dell’eroe pronto a mettersi a capo della resistenza contro l’oppressore suona un po’come orgogliosa rivendicazione della caparbia risolutezza del popolo cinese nel sollevare la testa ogni qual volta un governo straniero tenti (o abbia tentato) una qualche ingerenza nei suoi affari.
(Manfredi Mancuso)