La Pecora Nera
Regia: Ascanio Celestini
Lettura del film di: Andrea Fagioli
Edav N: - 2010
Titolo del film: LA PECORA NERA
Nazione: ITALIA
Anno: 2010
Presentato: 67. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2010 - In Concorso
È la storia di Nicola, ragazzo difficile, che, dopo aver passato l’infanzia con la nonna materna, si ritrova a vivere nel manicomio dove è morta sua madre.
Realizzato a flash back, il film alterna episodi della vita di Nicola da adulto a quelli della vita da bambino.
Sull’immagine di Nicola adulto sulla terrazza del manicomio, la sua voce fuori campo racconta la barzelletta dell’istituto dei cento cancelli e dei due matti che per scappare ne saltano 99, ma poi, di fronte all’ultimo, per la stanchezza decidono di tornare indietro.
Dopo di che partono i titoli di testa e ritroviamo Nicola bambino, negli anni Settanta (lui è nato negli anni Sessanta, «i favolosi anni Sessanta», sentiremo ripetere più volte). Con lui la nonna, che invece è «nata vecchia» e dispensa uova di gallina a tutti. Sentiamo anche le prime cantilene del tipo «come t’ho fatto ti disfo... pio, pio, pio...». La voce narrante e le cantilene saranno la caratteristica fondamentale del film. In certi momenti ci sarà persino una sorta di doppio parlato: i personaggi ripeteranno i dialoghi anticipati dalla voce fuori campo, che tra l’altro è quella del regista e protagonista del film Ascanio Celestini.
Nicola, denigrato dal padre e dai due fratelli maggiori allevatori di pecore (da qui anche il titolo del film che acquista poi un valore metaforico in quanto è Nicola, per loro, la pecora nera, così come sono pecore nere per la società i matti), vive il manicomio come un «condominio di santi: sò santi i poveri matti, santa la suora che accanto alla lucetta sul comodino suo si illumina come un ex-voto. E il dottore è il più santo di tutti, è il capo dei santi, Gesù Cristo». Del resto, «il disordine del cervello si mette a posto con l’ordine dell’istituto.... Chi mette in ordine ritrova tutto.... Quello che non c’è nella lista non si può comprare.... L’importante è la lista».
Concetti condivisi dall’amico (Nicola alter ego di Nicola) con il quale va tutti giorni a fare la spesa e con il quale non condivide solo i pensieri, ma persino il letto.
Nella testa scompaginata di Nicola (che per lunga parte del film non pensa tra l’altro di essere Nicola) si scontrano realtà e fantasia (continui i riferimenti ai Marte e ai marziani) producendo imprevedibili illuminazioni. Ma i matti, come dice il personaggio che pronuncia l’ultima battuta del film, sono coloro che non vedono il sole («Noi che non vediamo mai il sole»). E il mondo all’interno dell’istituto non è poi molto diverso da quello all’esterno («Il manicomio, il supermercato, il Regno dei Cieli è tutto la stessa cosa»). E’ contro quest’unico mondo che Nicola si ribella quando comincia a trangugiare tutto quello che trova sugli scaffali del supermercato dopo che è fallito il nuovo incontro con Marinella, la ragazza dei suoi sogni già al tempo dell’infanzia e che da adulto aveva ritrovato commessa al supermercato addetta alla promozione delle cialde per il caffé. L’ordine dunque non basta e nemmeno la fantasia. «Pancotti Maurizio», l’obeso compagno di scuola, morirà infilzato nel cancello che tenta di scavalcare dopo essere stato a trovare Nicola in manicomio ed essere rimasto chiuso dentro. A quel punto Nicola ammetterà di fronte all’altro amico, Robertino, che non è in grado di risuscitare le persone come invece voleva far credere ai compagni con il «miracolo» della lucertola «resuscitata» dopo averla spezzata in due (in realtà aveva staccato solo la coda e come si sa le lucertole vivono ugualmente).
«Ma i matti a chi servono?», si domanda lo stesso regista-protagonista verso la fine del film. In realtà, sembra rispondersi, i matti non servono a nessuno, vanno solo tenuti buoni, magari con l’elettroshock. Per il resto «dormono, mangiano, cacano e pisciano e poi tornano a dormire». Per il regista è l’ipocrisia del tutto in ordine, che riguarda un po’ tutte le istituzioni. A suo giudizio i luoghi dell’alienazione aumentano e non diminuiscono, nonostante che i manicomi non esistano più e che lui stesso ne abbia dato un’immagine nemmeno troppo negativa. Quanto meno senza particolari forzature in questo film che segna il debutto di Celestini dietro la macchina da presa. Il trentottenne regista romano, con precedenti di teatrante e scrittore, affronta il tema dei manicomi rifacendosi al suo lavoro teatrale (pubblicato da Einaudi) La pecora nera. Elogio funebre del manicomio elettrico, presentato nel 2005 dopo tre anni di interviste con infermieri, medici e pazienti che hanno conosciuto alcuni tra i maggiori manicomi italiani. LA PECORA NERA è l’unica in Concorso tra le 11 opere prime presenti quest’anno alla Mostra nelle varie sezioni.
Film di buon livello, con tutto l’entusiasmo dell’opera prima, ma con il limite di essere più teatrale che cinematografico: più parola che immagine. Lo stesso ritmo del film è cadenzato dalla voce narrante a cui abbiamo fatto cenno e senza la quale il film non starebbe in piedi. Evidente in questo senso il passaggio dal testo teatrale al film.
Da notare, infine, che la critica all’istituzione manicomio allargandosi a tutte le altre istituzioni porta con sé anche la Chiesa, che dalla pellicola non esce certo bene soprattutto a causa della figura del prete dell’oratorio, di alcune affermazioni della voce narrante e in parte anche delle suore di cui viene comunque salvato almeno un lato umano.
(Andrea Fagioli)