VALLANZASCA - GLI ANGELI DEL MALE
Regia: Michele Placido
Lettura del film di: Manfredi Mancuso
Edav N: - 2010
Titolo del film: VALLANZASCA - GLI ANGELI DEL MALE
Nazione: ITALIA
Anno: 2010
Presentato: 67. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2010 - Fuori Concorso
È la storia di Renato Vallanzasca, bandito meneghino che svolge la sua attività criminale nella Milano anni ’70.
Insofferente fin da giovanissimo delle regole della società, Vallanzasca diventa in poco tempo un “affermato” rapinatore di banche, radunando intorno a sé una piccola banda con gente presa tra conoscenti e amici d’infanzia. Il mondo della mala milanese è però, in quegli anni, nelle mani di Francis Turatello, un “pezzo grosso” con cui Valanzasca si trova a scontrarsi per questioni di predominio territoriale.
Uomo che detesta la violenza fine a se stessa, Renato si trova all’improvviso sbalzato agli onori della cronaca quando uno dei suoi uomini, fermato da una volante della polizia, consegna un falso documento del Vallanzasca, aprendo successivamente il fuoco sugli agenti. Da allora Vallanzasca diventa il ricercato numero uno, mentre le sue scorribande diventano sempre più frequenti e i suoi obiettivi sempre più ambiziosi.
Aumentano anche i conflitti a fuoco con le forze dell’ordine che mietono sempre vittime da una parte e dall’altra degli schieramenti. Durante una delle scorribande Vallanzasca viene arrestato, ma corrompendo una guardia riesce a fuggire e a continuare per un po’ indisturbato nella sua attività. Arrestato nuovamente per la soffiata di uno dei suoi uomini, Vallanzasca viene processato per direttissima (mentre l’interesse dei media nei confronti della sua figura si fa sempre più pressante) e condannato all’ergastolo. In carcere, ha modo di chiarirsi con Turatello, con il quale vi erano stati, in precedenza, alcuni scontri cruenti. I due, diventati adesso buoni amici (tanto che Turatello gli farà, in carcere, da testimone di nozze) progettano di diventare un “potere occulto” delle carceri italiane, ma il progetto svanisce quando i due vengono separati e Vallanzasca trasferito in un altro carcere per affrontare nuovi processi a suo carico. Alcuni mesi dopo Turatello viene ucciso in carcere mentre Vallanzasca riesce a vendicarsi del traditore della sua banda (arrestato anch’egli e trasferito nello stesso carcere), uccidendolo.
Riuscito a evadere ancora una volta dal carcere, durante un trasferimento via mare, il bandito concede un’intervista radiofonica e va a trovare i genitori, prima di essere definitivamente arrestato da un giovanissimo carabiniere, al quale rifiuta di sparare avendo appreso la sua giovane età.
La vicenda fin qui narrata è trattata da Placido con un ritmo frenetico e abbondante uso di elementi spettacolari. Il personaggio di Vallanzasca, protagonista del film è raccontato dal film attraverso due diversi segmenti. Una prima parte, che mostra l’infanzia del bandito e la sua consacrazione alla malavita, attraverso le rapine in banca e una seconda, che si svolge per la maggior parte tra il carcere e i tentativi di fuga e si conclude con la sequenza del suo arresto definitivo. Se prendiamo in esame la prima sezione, che inizia con una citazione di Truman Capote («quando Dio ti concede un dono ti consegna anche una frusta e questa frusta è intesa unicamente per l’autoflagellazione»), viene presentata la figura di Vallanzasca bambino. La morte del fratello (“lui per me era tutto”) viene presentata come un momento di forte lutto che proietta il Vallanzaca nell’età adulta, facendogli perdere un punto di riferimento importante. Fin dall’infanzia le “doti” di capobanda del piccolo Vallanzasca vengono mostrate con evidenza, mentre raccoglie intorno a sé delle piccole bande di amici con i quali compie piccoli furtarelli o azioni di vandalismo a suo modo giustificate (come la liberazione della tigre del circo). Il “capo” Vallanzasca è allo stesso momento anche un po’ padre della sua banda che tratta con condiscendenza e affetto (come si può assistere per es. nella sequenza del ferimento di uno di loro, mentre due compagni giocano con le armi da fuoco), nutrendo per loro sentimenti autentici. Altri valori (sui generis, ma pur sempre valori) vengono poi evidenziati nel suo personaggio che, si badi bene, non usa mai la violenza come arma fine a se stessa, ma solo come forma di difesa (“io mi difendo”, dice d’altra parte in un’intervista a un giornale). E da notare è anche il fatto che egli non viene mai mostrato nell’atto di uccidere qualcuno (a uccidere, quasi sempre per errore o involontariamente, sono sempre gli altri membri della banda), ad eccezione del traditore, che aveva però in precedenza “aggredito” i genitori del Vallanzasca e dal quale il bandito si fa prima accoltellare (anche in questo caso quindi una forma di difesa dall’aggressione). Quando anzi, il bandito ha la possibilità di uccidere facilmente (il giovane carabiniere nel finale), si arresta alla scoperta della giovane età della sua possibile vittima, mostrando così una grande umanità.
La giustificazione che il personaggio Vallanzasca fa del suo essere criminale è però tanto laconica quanto disarmante: “c’è chi nasce scarafaggio, chi nasce poliziotto, io sono nato ladro”, ma questa giustificazione non può bastare – e difatti non basta- a livello del racconto, a giustificare una tale scelta. Essa infatti non viene mostrata in modo chiaro, ma solo attraverso una fragile dichiarazione verbale, mentre le immagini indugiano più che altro, in maniera come detto spettacolare, sulle conseguenze – in buona parte “positive”, dato che sono i soldi e la possibilità di uno stile di vita più agiato il frutto immediato delle rapine- di una tale scelta. E né la cattura di Vallanzasca (che potrebbe a prima vista sembrare una sconfitta) né la sua ambizione smodata (“fermati o per te sarà la fine!”, lo supplica l’amica di lunga data, Antonella) che sfuma sempre più la figura del protagonista verso un sorta di cupio dissolvi bastano a dissolvere quell’aura da “vincente” che il regista (involontariamente?) dà al criminale; fatto che ci permette quantomeno di sollevare qualche dubbio a livello morale sull’opportunità di mostrare bello e vincente un personaggio che (direttamente o meno) tanti lutti ha sulla coscienza.
Placido, che aveva dichiarato prima dell’uscita del film, di aver cercato volutamente di tenersi lontano da un’esaltazione di Vallanzasca non potrà certamente essere pienamente soddisfatto del risultato ottenuto. Detto questo il film è sicuramente gradevole e per di più si avvale della recitazione di uno straordinario Kim Rossi Stuart che, se il film fosse stato in concorso, avrebbe potuto accreditarsi come serio pretendente della Coppa Volpi.