NOI CREDEVAMO
Regia: Mario Martone
Lettura del film di: Manfredi Mancuso
Edav N: - 2010
Titolo del film: NOI CREDEVAMO
Nazione: ITALIA, FRANCIA
Anno: 2009
Presentato: 67. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2010 - In Concorso
È la storia di tre ragazzi del sud Italia, Domenico, Angelo e Salvatore, i quali, nel periodo risorgimentale, a seguito delle feroci repressioni borboniche, decidono di unirsi ai moti clandestini miranti all’unificazione dell’Italia. Entrano così a far parte della “Giovine Italia” di Giuseppe Mazzini, viaggiando per l’Europa in cerca di finanziatori per le loro azioni rivoluzionarie e trovando, in un primo momento, l’appoggio di Cristina Trivulzio di Belgiojoso, principessa animata da forti sentimenti antiaustriaci e liberali. Dopo il fallimento del tentativo di spedizione in Savoia, organizzato da Mazzini, la principessa però ritirerà il suo appoggio, anche se il suo salotto resterà un circolo di ritrovo per gli intellettuali e gli esuli italiani.
Salvatore, figlio di contadini, viene (per le sue umili origini) scelto per incontrare Mazzini a Ginevra, e incaricato di procurarsi un’arma con la quale un cospiratore, Antonio Gallenga, medita di assassinare Carlo Alberto di Savoia (ma il Gallenga, intimorito non porterà a termine il suo piano, nascondendosi). Dopo il fallimento della spedizione egli viene accusato da Angelo di essere una spia al servizio dei piemontesi e viene ucciso da questi in un impeto di fanatismo ideologico. Dopo l’assassinio Angelo scappa, viaggiando a lungo per l’Europa dove finirà per entrare nel circolo di Felice Orsini, rivoluzionario che si è distaccato dalle idee di Mazzini, ritenendo i di lui metodi inadeguati per la lotta politica e che medita un attentato a Napoleone III. L’attentato, in cui viene coinvolto anche Angelo, fallisce però miseramente e l’Orsini insieme con Angelo e altri due compagni viene arrestato e processato. Angelo e Orsini finiranno con l’essere quindi condannati a morte ed entrambi ghigliottinati in Francia.
Domenico, nel frattempo, dopo aver passato in carcere gran parte della sua giovinezza, stringendo durante la prigionia amicizie con alcuni importanti esuli italiani attivi nella lotta politica, torna nel sud Italia dove incontra il giovane Saverio, figlio del vecchio amico Salvatore, legandosi insieme a lui ai garibaldini e vivendo con loro la presa del potere di Vittorio Emanuele II e la conseguente disillusione per un’Italia unità nel nome di ideali repubblicani e democratici. Caduti in mano piemontese, anche il giovane Saverio finirà vittima della repressione dei bersaglieri inviati dai Savoia. Ormai vecchio, Domenico assisterà inoltre agli ultimi sviluppi del post-unità, vivendo una nuova, forte disillusione dopo aver assistito al repentino distacco di Francesco Crispi dai vecchi ideali mazziniani e l’avvicinamento a politiche monarchiche e repressive. Stanco e disilluso a Domenico non resterà che meditare tristemente sulle passate speranze e sulle presenti delusioni (e tradimenti ideologici) che segnano tragicamente l’inizio della storia d’Italia.
La vicenda, lunga e complessa è, a livello del racconto, schematizzata in quattro parti, divise in altrettanto sezioni con rispettivo titolo.
Nella prima parte (intitolata: «Salvatore») viene mostrata, a grossi tratti, la vicenda di Salvatore, il più umile dei tre amici cospiratori dalla sua “investitura” mazziniana (con il relativo “onore” di essere da Mazzini incaricato di armare la mano del Gallenga) fino alla morte, avvenuta per mano di Angelo, ormai diventato fanaticamente ossessionato dalla rivoluzione. Nella seconda sezione («Domenico» viene invece presentata la figura di Domenico, nei suoi fervidi tentativi cospiratori contro il nemico borbonico e austriaco. In questa parte del film la figura di Domenico è ancora mostrata come piena di giovanili speranze e di fiducia nell’ideale mazziniano e rivoluzionario. La sezione dedicata a Domenico si interrompe lasciando il posto alla terza (quella di «Angelo», di cui si parlerà a breve), ma torna alla fine nella quarta sezione («L’alba dell’Unità») in cui la sua figura sarà nuovamente protagonista.
Tornando alla terza parte, abbiamo il delinearsi della figura di Angelo, ormai invecchiato, ma non per questo rassegnato nel suo ideale del gesto “risolutore” e violento che dovrebbe dare una svolta alla lotta politica. Macchiato dalla colpa dell’omicidio di Salvatore, che porta come un peso, la storia di Angelo si conclude, anche in questo caso, con la morte del personaggio, invischiato nel fallito attentato di Napoleone III e giustiziato. La quarta e ultima sezione, infine, ripresenta come detto la figura di Domenico, dai lunghi giorni di prigionia fino alla sua adesione ai garibaldini. Le quattro sezioni qui presentate sono (tranne la vicenda di Salvatore che è quasi “autoconclusiva”) a tratti intrecciate tra loro, restituendoci la visione d’insieme di un grande “affresco” della storia risorgimentale attraverso le emblematiche vicende dei tre personaggi.
In questo grande affresco, spicca con evidenza la grande disillusione di Domenico, personaggio che non a caso sopravvive ai due amici, entrambi uccisi ed entrambi “perdenti” nel triste gioco della lotta politica. La disillusione di Domenico è del resto ben motivata dalla similarità dei comportamenti dei nemici borbonici e austriaci e degli “amici” piemontesi, che vengono mostrati dall’autore nel compimento di analoghi comportamenti repressivi nei confronti dell’inerme popolazione locale, come a dire che, cambiando pur l’ordine delle dominazioni (straniere o italiche che siano), il risultato finale di sopraffazione non cambia. La sequenza della morte di Saverio, personaggio legato a quello di Salvatore (suo padre nella vicenda) ed egualmente “sconfitto”, è a questo riguardo molto indicativa: egli infatti viene ucciso, non dal nemico borbonico, ma dalla repressione dei piemontesi (e, anzi, l’episodio della sua morte, con la fucilazione a “tradimento” dei bersaglieri Savoia, nonostante l’armistizio e il mancato processo di un legittimo tribunale acuisce la sensazione di arbitraria malvagità delle azioni repressive dei “nuovi dominatori”). La finale disillusione di Domenico, poi, è ben motivata dalla consapevolezza del prezzo che la neonata nazione ha dovuto pagare, nonostante le numerose morti. La nuova Italia, è sì unita, ma tradita nelle fondamenta ideologiche profonde che avevano ispirato le insurrezioni. Non a caso l’ultima sequenza del film mostra, in un parlamento vuoto, l’ombra di Francesco Crispi durante il famoso e storico discorso con il quale l’ex rivoluzionario democratico mostrerà di aver cambiato del tutto (con l’opportunismo che coinvolge la maggior parte degli esponenti della nuova classe politica) il suo credo ideologico: «noi unitari siamo monarchici e sosterremo la monarchia meglio dei monarchici antichi(!)». E l’amara riflessione finale di Domenico chiude il film, dando quindi un significato profondo al titolo «Noi credevamo», che mostra come l’Unità italiana sia stata raggiunta tradendo però tutto quel complesso di ideali, speranze e convinzioni che avevano animato, nel profondo, i protagonisti dei moti risorgimentali.
Il film di Martone si caratterizza, in ultima analisi, come un ottimo film di vicenda dalla buona struttura e dall’eccellente realizzazione artistica, che non fa pesare le oltre tre ore di visione, supportato anche da un cast di attori – quasi tutti ben diretti – che aggiungono valore a un’opera che, per l’impegno complessivo, meriterebbe di sicuro un riconoscimento (di qualsiasi tipo) in questa mostra del cinema.