SERGIO RAFFAELLI, L'ADDIO A UN AMICO
di ALDO BERNARDINI
Edav N: 382 - 2010
Conobbi Sergio nel 1961, al mio arrivo a Milano e al Centro San Fedele, quando facevo ancora il militare. Eravamo tutti e due freschi di laurea (io in giurisprudenza, lui in storia della lingua italiana, con Folena) e appassionati di cinema, e insieme entrammo a far parte della vita clandestina alla quale era allora costretto (a causa del suo saggio su LA DOLCE VITA di Fellini), il comune maestro che avevamo scelto, padre Nazareno Taddei.
Quando, terminato il servizio militare, ritornai a Milano, mi trovai con lui a far parte di una specie di famiglia: vivevamo insieme giorno e notte (il padre amava tirare tardi e lavorare di notte), si discuteva di cinema, di film e di televisione, studiavamo il trattato di teoria cinematografica che lo stesso Taddei stava ancora scrivendo, e intanto si provvedeva ad aggiornare il suo grande archivio-base destinato a raccogliere le recensioni di tutti i film in uscita in Italia. Da queste nostre conversazioni maturò presto l’idea di una pubblicazione sul cinema a schede, lo «Schedario Cinematografico», una enciclopedia internazionale, diretta da P. Taddei e firmata con pseudonimi, che avrebbe consentito di sperimentare nella pratica della critica e a rendere pubbliche le applicazioni delle teorie e della metodologia di lettura del film messa a punto dal Taddei, nello studio di singoli film, vecchi e nuovi, di registi e di argomenti relativi al cinema che man mano avremmo scelto di affrontare. L’idea funzionò, e dapprima da soli, poi con l’aiuto di altri pochi giovani apprendisti, Sergio e io – fino al 1968 - dedicammo tutto il nostro tempo allo «Schedario», coprendo tutte le fasi di realizzazione della pubblicazione: scrivendo i testi (facendoci naturalmente aiutare per le analisi dal direttore), portandoli in tipografia, correggendo le bozze, dando il visto si stampi e infine periodicamente organizzando la spedizione delle schede in appositi contenitori di cartone (quanti giri abbiamo fatto intorno al grande tavolo della redazione!).
Avevamo insomma formato un piccolo team il cui interno affiatamento, con il passare del tempo diveniva sempre piú forte: accomunati dagli stessi obbiettivi, dall’idea di assolvere a un importante servizio culturale, ma anche dal fatto di vivere insieme, come in una specie di collegio. All’inizio ciascuno aveva affittato una stanza all’esterno del Centro, ma dopo il trasferimento da San Fedele a via Santa Sofia noi della redazione vivevamo tutti nello stesso appartamento; e anche quando tutto il gruppo si spostò a Roma, nel 1967 (io mi ero anche sposato e avevo due figlie), almeno di giorno continuavamo a vivere insieme. Ciascuno di noi aveva una certa autonomia, e ci spingeva un certo spirito di emulazione, sia nella scelta dei temi, sia nello studiare miglioramenti nell’impostazione delle varie sezioni delle schede; ma naturalmente le esperienze dell’uno servivano anche all’altro, in un continuo scambio di opinioni e, in qualche caso, di discussioni. Sergio era la persona ideale con cui collaborare: la grande competenza nel campo del linguaggio e della sua storia si univa in lui a una continua disponibilità al dialogo, al confronto, il gusto per la ricerca del particolare: ho sempre ammirato lo stile limpido della sua scrittura. Ma era anche una persona modesta e schiva, nonostante l’aria professorale, e a me faceva pensare a un personaggio uscito dalle pagine di Cechov (tanto che gli avevo affibbiato l’affettuoso nomignolo di Sergej Sergievic).
Quegli anni furono per entrambi importanti: imparammo un mestiere che ci appassionava e facemmo nel contempo una straordinaria esperienza umana accanto a un vero maestro qual’era per noi padre Taddei, che, anche grazie al nostro aiuto indiretto, ottenne a un certo punto il permesso di pubblicare i suoi libri sulla teoria del cinema, sulla lettura e la critica del film, ecc. Anche quando, nel 1968, le nostre strade si divisero, con Sergio rimanemmo sempre in contatto: lui tornò all’università, ai suoi corsi, alle sue originalissime ricerche sulla storia della lingua e delle parole, nel cinema e non solo nel cinema; e fu con grande sorpresa che, dopo essermi autonomamente indirizzato, nel 1975, allo studio del cinema muto italiano, Sergio mi prese in contropiede pubblicando due anni prima di me, nel 1978, il suo importante volume Cinema film regia (*): un libro che rimane ancora oggi un importante punto di riferimento per quanti si occupano di storia del cinema italiano e del linguaggio, e che allora dimostrava come i suoi studi si fossero indirizzati, con un diverso tipo di approccio, verso lo stesso terreno di ricerca che anch’io avevo scelto di esplorare.
Da allora le nostre strade si incrociarono purtroppo raramente: ma ci aggiornavamo reciprocamente sulle nostre pubblicazioni, legati da una stima reciproca e dalla consapevolezza delle radici culturali e delle esperienze umane che ci avevano accomunati e arricchiti. Con la sua morte, mi viene oggi a mancare un prezioso collega, un vero amico.