DIE FREMDE (WHEN WE LEAVE)
Regia: Feo Aladag
Lettura del film di: Adelio Cola
Edav N: - 2010
Titolo del film: DIE FREMDE (WHEN WE LEAVE)
Titolo originale: DIE FREMDE
Nazione: GERMANIA
Anno: 2010
Presentato: 67. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2010 - Giornate degli Autori
Anticipiamo che il film, per il MODO con cui è stato diretto, è un chiarissimo atto di denuncia e d’accusa contro, non il Corano e le sue leggi, ma contro chi le interpreta alla lettera e le intende osservare fino alle estreme conseguenze.
Partiamo dalla fine del film, ricordando le scene conclusive. La protagonista, Umay, al capezzale del padre ricoverato all’ospedale per infarto (soffriva di pressione alta), saluta l’ammalato per l’ultima volta, che si pente d0’averla sempre maltratta e offesa come “prostituta e colei che ha rovinato tutto, la famiglia e il suo onore presso i conoscenti”, avendo avuto un figlio dal marito che non riesce più a sopportare e quindi abbandonando il letto coniugale con l’indignazione dei genitori. Con sorpresa degli spettatori, che l’hanno conosciuto come irremovibile nella decisione di non volere più vedere la figlia, le si rivolge con parole a lei medesima incredibili: ”Perdonami, bambina mia!”. La figlia aveva dovuto “andare via”, allontanarsi dal luogo dove aveva cercato rifugio lontano dalla famiglia e dalla sua Istambul, emigrando a Berlino portandosi dietro Cel, affettuosissimo figlioletto di cinque anni, “’unica cosa che mi rimane.”. E’ raggiunta sulla strada dal fratello minore, che la minaccia con la pistola, che poi lascia cadere a terra fuggendo via di corsa. (A questo punto comprendiamo l’inquadratura iniziale del film, nella quale il medesimo personaggio aveva puntato l’arma contro una donna, allontanandosi poi di corsa. E’ una specie di inclusione del film tra principio e fine. Arriva il fratello maggiore, l’irriducibile, il violento alla maniera del padre, (anche se quest’ultimo negli eccessi del figlio verso la sorella gli ‘comanda’ di non esagerare), e con occhi infuocati di vendetta colpisce a morte Cel in braccio alla madre. A Umay non resta che allontanarsi sulla strada dove nessuno s’interessa di lei, con il morticino in grembo, dopo aver emesso un urlo di protesta disperata. “E se io, aveva proposto al padre morente, mi sposassi con l’uomo che amo?” (un collega di lavoro precario, ottenuto per amichevole raccomandazione di chi la conosceva). La risposta l’aveva data lei stessa al giovane disposto a sposarla per amore: ”Non cambierebbe nulla, perché una prostituta rimane sempre una prostituta!” L’ambiente famigliare sociale d’una donna che ha commesso “il delitto” non può essere dimenticato e lei non può che pagare con la morte. E’ particolarmente evidenziata dalla giovane regista la figura del padre di famiglia: padre-padrone, despota, dittatore nelle dicisioni senza appello. Unica autorità alla quale egli soggiace in maniera, ci si permetta l’espressione, maniaca è la legge islamica. Il buon nome e l’onore della famiglia è per lui, e con lui per tutti i componenti della famiglia suoi ‘sudditi’ , “quello che pensano gli altri, i vicini: Dipende da loro, che conoscono la condotta della figlia, “la prostituta”. Amici e ospiti che l’accoglieranno quando lei abbandonerà la sua casa, saranno da vigilare e considerare vergognosamente complicità del male. Il film è come un treno che corre a velocità pazzesca su questo binario, e corre…verso la tragedia finale. Gli episodi di intolleranza e di violenza, prima a prevenzione di mali peggiori e in seguito per paterna e fraterna vendetta, si ripetono nello svolgimento della storia di Umay con intensità crescente. La ripetizione di eventi con la medesima radice e motivazione diminuiscono l’efficacia al contesto frl film non soltanto, ma addirittura al cumolo di prove portate a dimostrazione della tesi scelta dalla regista. Bisogna anche dire, quasi ad attenuarne il ‘peso’, che i membri della famiglia di Umay hanno tutti il sangue bollente e i nervi a fior di pelle. La causa che li muove (spesso sembrano attori sinceri …ma sul palcoscenico d’un teatro!) è per loro legittimo motivo di esecrazione e vendetta, ma lo spettatore resta nel dubbio che tutti i loro correligionari siano ‘’così’’! Diretto molto bene e interpretato con grande impegno, il film ‘tocca e lascia il segno’, anche se immediatamente non convince. Sarebbero degni di interesse studio e rilievo delle personali differenze tra padre, madre, sorella e fratelli minori della protagonista. Tutti in realtà sono succubi delle decisioni del capo di casa. Soltanto Umay ha la forte personalità di ribellarsi alla insostenibile situazione e sceglie di andarsene a vivere per conto proprio con “l’unica cosa che le rimane”, il figlio, sbeffeggiato dai familiari come “bastardino”. Non si può concludere che nel film i genitori nei suoi riguardi siano insensibili e senza sentimenti umani. Essi sono, però, soffocati dalla paura della LEGGE. (Adelio Cola)