DEPARTURES
Regia: Yojiro Takita
Lettura del film di: Adelio Cola
Titolo del film: DEPARTURES
Titolo originale: OKURIBITO
Cast: regia: Yojiro Takita sogg.: Shinmon Aoki da un suo racconto scenegg.: Kundo Koyama fotogr.: Takeshi Hamada mont.: Akimasa Kawashima colonna sonora: Joe Hisaishi scenografia: Fumio Ogawa luci: Hitoshi Takaya interpr.: Masahiro Motoki (Daigo Kobayashi), Ryoko Hirosue (Mika), Tsutomu Yamazaki (Sasaki), Kimiko Yo, Tetta Sugimoto, Kazuko Yoshiyuki, Takashi Sasano durata: 131 colore produtt.: Toshiaki Nakazawa, Toshihisa Watai produz.: Amuse Soft Entertainment, Asahi Shimbunsha, Dentsu, Mainichi Hoso, Sedic, Shochiku Company, Shogakukan, Tokyo Broadcasting System (Tbs) origine: GIAPPONE, 2008 distrib.: Tucker Film (9/4/2010)
Sceneggiatura: Kundo Koyama
Nazione: GIAPPONE
Anno: 2008
Premi: PREMIO OSCAR 2009 COME MIGLIOR FILM STRANIERO
Il film è ambientato in una rustica regione giapponese lontana dalla capitale.
Il protagonista DAIGO, fresco di matrimonio con l’estroversa MIKA, fin dall’asilo è stato avviato alla pratica musicale, iscritto come allievo d’una scuola di violoncello. Suo padre, ch’egli ricorda appena senza riuscire a rammentarne la fisionomia, lo abbandona fin da bambino “per seguire un’altra donna”. Di lui non avrà più notizie e ne conserverà un odio tale che, “se lo incontra, lo ammazza!”. Diplomatosi nel suo strumento, entra a far parte d’una celebre orchestra di Tokio. Ma l’arte, come la poesia, non dà il pane. L’insostenibilità dei debiti costringe il “padrone dell’orchestra” a “scioglierla”. Daigo si trova costretto a rivendere lo strumento, che gli era costato otto milioni. Conserverà tra i tesori personali il violoncello piccolo che usava da bambino. Quando nel film lo vedremo suonare, eseguirà la musica con il piccolo strumento del suo bel tempo antico.
E’ il PRELUDIO del film, che si dividerà in due parti strutturali.
Nella PRIMA PARTE l’ex violoncellista, lasciatosi illudere dall’annuncio pubblicitario d’offerta di lavoro d’una “Agenzia di viaggi”, accetta incoscientemente l’impiego senza sapere con esattezza ciò che deve fare e senza informare la moglie della scelta prevista ’dal destino’.
E’ successo così: il gestore gli mette in mano una discreta somma di benvenuto come anticipo ed egli, più frastornato che soddisfatto, accetta il lavoro. Il giorno dopo la segretaria gli telefona perché c’è già “il suo primo cliente” che l’aspetta. Si reca all’appuntamento insieme con il padrone dell’agenzia. Si tratta di preparare un defunto per la cerimonia funebre della cremazione. Bisogna ripulirlo, lavarlo, sbarbarlo, restaurarlo riportando il corpo morto alla condizione esterna di quand’era nel fiore della salute, rivestirlo con l’abbigliamento migliore a disposizione dei familiari, collocarlo “con delicatezza” nella cassa, contraccambiare profondi inchini tradizionali e sentite condoglianze con i parenti presenti alla lunga cerimonia, lasciando la celebrazione della cremazione alla ditta incaricata del rito. Il nostro osserva stupefatto la lezione impartita dal suo principale, che il giorno dopo, nella sala di rappresentanza dell’agenzia, lo induce a posare come defunto davanti alla ripresa documentaristica del suo trattamento come ‘cadavere’:impara l’arte e …la mette da parte. Cosa non bisogna fare per mettere insieme il pranzo con la cena! Si adatta non solo ma, seppur a malincuore e con nostalgia di ben altra sua professione del tempo felice, entra nell’organico dell’Agenzia di viaggi, cioè, come gli spiega il capo, “dell’ultimo viaggio”, al quale tutti devono avviarsi.
LA SECONDA PARTE del film incomincia con la casuale scoperta fatta da Mika del nuovo lavoro che permette al giovane marito disoccupato di guadagnarsi lo stipendio. Fino ad allora erano stati un cuor solo e un’anima sola. Ora il rischio dell’incomprensione potrebbe insidiare il loro rapporto. Quando Mika casualmente trova il documentario filmato in cui Daigo si finge ‘morto’ e scopre il segreto del marito, scoppia la crisi. Ella disapprova quella ‘scelta’ avventata:”Ora tutti ti prenderanno in giro!”. Ma vivere bisogna e, per vivere, bisogna mangiare! Non resta che accettare con buona pace quel lavoro antipatico: la ragione ha il sopravvento sul sentimento! Il protagonista si dedica all’adempimento del suo impegno con iniziale ripugnanza e fatica ma infine con professionale soddisfazione, gratificato dalla recuperata amorevole comprensione della moglie.
Viene comunicata per posta al protagonista la morte di suo padre, del quale non aveva nessuna notizia da trent’anni. Sarà l’ultimo cliente da ‘accudire’. Di fronte alla morte il suo cuore di ghiaccio si scioglie. Prepara il cadavere inondandolo di lacrime di pentimento, essendo stato informato che il defunto nella vita “non aveva inseguito nessuna donna e che aveva sempre amato soltanto sua moglie”.
E’ stato necessario riferire i particolari della preparazione dei morti, sopra ricordata nei dettagli, perché quello è il contenuto del film. Le vicende vedono al centro personaggi vivi che si danno da fare su personaggi morti. “I morti, dirà un giorno il titolare dell’Agenzia dell’ultimo viaggio, mantengono i vivi”. E’ vero che egli nel caso si riferiva agli animali (“sono esclusi gli alberi!”, specificava con cinico umorismo), messi a nostra disposizione come cibo dal macellaio, ma forse nell’intenzione egli andava più in là!
Tra i ‘clienti’ serviti dall’agenzia dobbiamo ricordare in particolare quelli che aiutano lo spettatore a rendersi conto del messaggio del film, che indicheremo come “idea centrale”.
Al caso d’un ricco signore, che si lamenta del restauro operato da Daigo sul corpo della defunta moglie anziana “perché il colore dei suoi capelli e della carnagione erano molto più vivaci”, segue quello del rimprovero rivolto al protagonista dai genitori della defunta giovane figlia, “perché in vita ella era molto più bella!” di come il nostro era riuscito a truccarla con detersivi e belletti.
Una sequenza particolarmente significativa nel contesto del film, è quella del marito della signora che gestiva “il bagno pubblico migliore di Tokio”. Quest’ultimo consisteva in due piccole vasche cubiche di cemento, affiancate l’una all’altra per risparmio di spazio, riempite d’”acqua che viene su dalla terra”, che accoglievano nell’abbraccio del loro tepore i clienti, che davano da vivere ai due vecchietti sposi. La morte è arrivata anche in casa loro. Chi deve eseguire l’incenerazione del cadavere della moglie è suo marito, l’attuale vedovo che da cinquant’anni esercitava quell’ufficio per incarico pubblico. L’avevamo visto apatico e indifferente all’ascolto di casi tragici di vite troncate e di conseguenti delusioni umane. E’ da lui che ascoltiamo il lamento:”Io non mi rassegno a pensare che con questa vita sia finito tutto e che non ci sia qualcos’altro al di là!”.
La definitiva tappa dell’evoluzione psicologica del protagonista è raggiunta dal figlio di fronte alla rivelazione della verità circa la vita del padre defunto, che egli ha odiato da sempre e che ora si trova davanti cadavere, già ingiustamente giudicato responsabile di colpe non commesse.
Dall’insieme delle vicende si deduce che il film suggerisce di giudicare i cosiddetti valori della vita, benessere avvenenza successo, osservandoli dal punto di vista della morte. Essa dal film non viene esorcizzata come ingiusto castigo, ma presentata come naturale conclusione di ogni vivente.
Verrebbe spontaneo concludere che ‘il lamento’ sopra citato costituisca il messaggio del film. Potrebb’essere. Nelle due ore di spettacolo la morte viene presentata sempre come un viaggio, l’ultimo: non si dice verso dove, ma la meticolosa dispendiosa preparazione di coloro che si avviano ad esso è frutto d’una segreta istintiva speranza. La cerimonia funebre è diversa a seconda della religione professata dai viventi che salutano i morti,. Il film documenta che la tradizione giapponese prevede meticolose azioni ‘purificatrici’(“addio, sussurra un adulto alla madre nella cassa, ti raggiungerò!”), la fede nella risurrezione finale suggerisce ai cristiani confidenti preghiere a Dio misericordioso, ma per tutti la morte è “distacco, dolore, lutto, VIAGGIO” verso un Dove misterioso ma certo.
Nel trattamento d’un argomento così insolito il regista non ha caricato le scene né di umano ‘ribrezzo’, né tanto meno di horror collocando di fronte alla cinecamera i cadaveri, neppure quando l’occasione (vedi “il ritrovamento d’una povera vecchia morta una settimana fa e ridotta in stato pietoso!”) si sarebbe prestata al macabro spettacolo. Riserbo e grande rispetto connotano tutte le riprese dei ‘morti’.
Non è la cinica sentenza dell’agente dell’Agenzia, (“I morti mantengono i vivi”), che può pretendere di esprimere il significato del film, e neppure il suo gesto finale di gettare le chiavi dell’impresa funebre al protagonista, designandolo come legittimo successore d’una iniziativa che gli consentirà, ora che sta attendendo con gioia la nascita del primo figlio, di mantenere la famiglia. Sarebbe tutto banalizzato quanto abbiamo visto, tutto finirebbe nella gelida disperata professione della vita intesa come un viaggio verso il vuoto.
Non si riuscirebbe a spiegare, a rendersi conto di tutto il generoso dispendio di energie profuso a beneficio d’un cadavere insensibile e perciò incapace di riconoscenza. Quando i personaggi in lutto piangono, salutano il morto, danno l’arrivederci e l’appuntamento dopo l’ultimo futuro viaggio personale, nel film non stanno fingendo ruoli che non condividono. Tali sono i contorni due del film.
Le vicende diventano racconto per il MODO con il quale sono state dirette.
Ho già ricordato le tappe dell’evoluzione psicologica del protagonista. Egli passa gradualmente dalla meraviglia d’aver fortunatamente trovato lavoro (il destino!) alla stupefatta sorpresa del genere del medesimo, per terminare, dopo la condivisione sentimentale della giovane moglie, nell’accettazione d’un impiego che gli permette di guardare con fiducia al futuro. La sua dedizione alla preparazione dei morti è connotata da diligenza, sommo rispetto dei corpi, condivisione del/al lutto dei sopravvissuti.
L’ambientazione delle vicende nella case delle famiglie visitate dalla morte è severa e dolorosa, mai disperata. Chi rimane in vita saluta i morti rimanendo in attesa di ricongiungimento con loro. I cadaveri, rifatti ‘belli’, non spaventano i bambini, anch’essi fatti testimoni d’un evento che non risparmia nessuno, giovai e vecchi, ricchi e poveri: la nipotina bacia con naturalezza il volto della nonna gentilmente deposta nella cassa.
Notevole la doppia colonna sonora del film (prescindiamo dall’esplosione della Nona sinfonia di Beethoven nel PRELUDIO).Una sobria composizione originale d’autore contemporaneo accompagna le sequenze principali, frequenti interventi di un’affascinante concerto di Brahms sottolinea costantemente i momenti più ‘toccanti’. Le due linee melodiche sono opportunamente scelte tra le opere con violoncello solista, in omaggio alla iniziale professione del protagonista. Le sue due esecuzioni ‘en plein air’, con le quali egli si esibisce immerso nello splendore della natura primaverile, possono assurgere a ottimistico significato simbolico.
Durante il film ascoltiamo la ripetuta esecuzione del pezzo di Brahms eseguita sempre con andamento ‘lento con molto sentimento’, in contrasto con l’’allegretto quasi festoso’ mentre scorre sullo schermo la coda del lungo cast finale.
Una parola dobbiamo riservarla, una soltanto!, all’umorismo che nella prima parte del film fa ogni tanto capolino. Deriva da circostanze fortuite di carattere ‘comico’, da sorprendenti inattesi incontri tra personaggi ‘strani’, da particolari fotografici chiaramente previsti a scopo discutibilmente divertente (vedi il protagonista come finto cadavere che respira).
Tra i personaggi si distingue per professionalità il proprietario dell’Agenzia di viaggi. Egli si esprime con lenti controllatissimi gesti, con rare lente parole. Lo vediamo nella vita privata quasi scanzonato, ingordo nel gustare il profitto economico della sua impresa, dotato d’istintivo ‘fiuto’
d’intuizione nella scelta dei collaboratori, in particolare della segretaria e di Daigo. Nella esecuzione del suo lavoro è diligente, preciso, scrupoloso, in una parole “eccellente”, e perciò bene retribuito dai committenti..
Qua e là, ma senza insistenza, entra in campo ‘vocale’, da parte di due personaggi, il “destino”, al quale si attribuisce buona parte delle cause di successo o di “sfortuna” che succedono nella vita. L’argomento non è approfondito, ma soltanto accennato come convinzione personale di chi lo chiama in causa. E’ pur vero che nel film le ‘cose’ principali, dalle quali derivano quasi tutte le altre come ‘logiche’ conseguenze, dipendono dal destino. Vedi, ad esempio,:il misterioso abbandono del figlio e il finale ritrovamento del padre defunto da parte del protagonista, la professione di musicista e poi di dipendente dell’Agenzia di viaggi’ del medesimo, la scoperta del suo sassolino bianco là dove mai avrebbe creduto possibile.
Ho già ricordato la partecipazione al duplice problema del marito, la delusione dopo il licenziamento da orchestrale e la ricerca d’un nuovo lavoro, che si rivelerà subito antipatico ma necessario e al quale adattarsi.
La prestazione del personaggio femminile è simpatica e spontanea, anche se, a parere personale, marcatamente ‘adolescenziale’, soprattutto nel doppiaggio, oltre che nei gesti. La comunicazione d’essere incinta provoca nel marito la sincera felicità di scoprirsi “prossimo padre”.
Merita un rapidissimo accenno il ‘lievissimo’ dubbio che il segreto del marito, che lavora fuori casa senza mai rivelarle il mestiere che fa, si fondi sul fatto di incontrarsi con un’altra persona…Il cielo sarà definitivamente sgomberato dalle nebbie quando scoprirà la verità.
Lamento che certi simboli usati del regista, come l’avvicendarsi delle stagioni, l’arrivo e la partenza per il loro viaggio di stormi di uccelli migratori, la faticosa e pericolosa risalita dei fiumi da parte dei salmoni “che vogliono tornare al punto di partenza per morirvi”, i pesci morti trascinati dalla corrente, sono ben poco originali.
C’è un rimprovero da rivolgere al montatore del film: la riproposta, durante lo scorrere del cast finale, d’una scena in cui il protagonista compie il suo lavoro su un cadavere, quasi a ricordarci, ma non ce n’era bisogno, che quanto avevamo visto nelle due ore precedenti era tutta ‘finzione’.
Brutta, a mio parere, la pessima abitudine che è entrata nel montaggio di alcuni film recenti.
Riservo per ultimo il ricordo dell’inclusione che apre e chiude il film in modo, anch’esso, simbolico.
Nel PRELUDIO il protagonista bambino scambia con il padre il dono d’un bianco sassolino rotondo (simbolo di serenità…), raccolto sulla spiaggia, con quello d’un grosso sasso ruvido di colore scuro (di significato opposto). Poi il padre scompare dalla vita del figlio, che non riuscirà più a ricordarne con chiarezza la fisionomia (la rivedrà nel ricordo sempre come al di là d’una fitta nebbia). Ritroverà il suo sassolino bianco stretto dalla mano del padre defunto. A quel segno di affetto d’un genitore ingiustamente ritenuto ‘cattivo’ il protagonista ‘si converte’, cioè evolve definitivamente, recupera il suo simbolico dono, lo mette nelle mani della moglie e glielo accosta al seno dove già pulsa il cuore del figlio. Soltanto adesso Daigo riesce a recuperare dal profondo della memoria il volto radioso di suo padre, bello e sorridente.
Il regista non si attarda in spiegazioni e previsioni del futuro. Allo spettatore è già tutto chiaro: Non giudicare, vivi e coltiva la speranza.
Viene quindi riaffermata l’IDEA CENTRALE del film: CONVIENE GIUDICARE E VALUTARE LA VITA ALLA LUCE DEL SUO ULTIMO VIAGGIO, SENZA RINUNCIARE ALL’IMPEGNO FINCHE’ VIVIAMO.
Le valenze positive del film in funzione della formazione della personalità di spettatori giovani e adulti sono più che evidenti, (anche se gli interpreti sembrano poco ‘spontanei’ ed anche ‘un po’ caricati’a noi che siamo avvezzi ad ammirare i loro colleghi di scuola hollywoodiana, che “recitano” al modo occidentale).
E’ LA STORIA DI DAIGO, GIOVANE VIOLONCELLISTA da poco sposato, IL QUALE, dopo aver subito il licenziamento senza sua colpa dal precedente lavoro, avendo cercato un altro impiego per mantenere la famiglia ed essersi casualmente trovato in esso quasi per destino senza scelta personale, dopo la prime difficoltà psicologiche essendosi ad esso adattato, anche perché è in attesa della nascita del primo figlio, trovatosi, mentre accudiva diligentemente al suo dovere, inaspettatamente di fronte al padre morto, ch’egli odiava per essere stato, secondo lui, dal medesimo abbandonato trent’anni prima con accuse infamanti, conosciuta la verità delle cose, SI RICONCILIA TARDIVAMENTE CON LA MEMORIA DEL DEFUNTO E RESTA IN FIDUCIOSA ATTESA DEL NASCITURO.(Adelio Cola)