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LA PRIMA COSA BELLA



Regia: Paolo Virzì
Lettura del film di: Franco Sestini
Edav N: 377 - 2010
Titolo del film: LA PRIMA COSA BELLA
Cast: regia: Paolo Virzì - sogg. e scenegg.: Francesco Bruni, Francesco Piccolo, Paolo Virzì - fotogr.: Nicola Pecorini - mus.: Carlo Virzì - mont.: Simone Manetti - scenogr.: Tonino Zera - cost.: Gabriella Pescucci - interpr.: Valerio Mastandrea(Bruno Michelucci nel 2009), Micaela Ramazzotti (Anna Nigiotti in Michelucci 1970-1980), Stefania Sandrelli (Anna Nigiotti in Michelucci nel 2009), Claudia Pandolfi (Valeria Michelucci nel 2009), Marco Messeri (Il Nesi), Aurora Frasca(Valeria Michelucci nel 1970), Giacomo Bibbiani (Bruno Michelucci nel 1970), Giulia Burgalassi (Valeria Michelucci nel 1980), Francesco Rapalino (Bruno Michelucci nel 1980), Isabella Cecchi (Zia Leda Nigiotti), Sergio Albelli (Mario Michelucci), Fabrizia Sacchi (Sandra) - durata: 116' - colore - produz.: Fabrizio Donvito, Marco Cohen, Benedetto Habib, Paolo Virzì, Carlo Virzì per Indiana Production Company, Medusa Film, Motorino Amaranto - origine: ITALIA, 2009 - distrib.: Medusa (15.01.2010)
Sceneggiatura: Francesco Bruni, Francesco Piccolo, Paolo Virzì
Nazione: ITALIA
Anno: 2009

È la storia di Anna, vista nell’arco della sua vita, a cominciare dalla prima sequenza del film che ce la mostra mentre viene eletta – negli anni ’70 – come la “mamma più bella dei bagni Pancaldi” (struttura balneare mitica di Livorno) con la stupida e immotivata gelosia del marito, carabiniere, che arriverà, addirittura, a cacciarla di casa insieme ai loro due figli, Bruno e Valeria; da notare che il personaggio di Anna viene interpretato in questa epoca del film, da Micaela Ramazzotti e i due ragazzi da attori/bambini, tra l’altro bravissimi.

Anna si trova così a dover cercare il modo di sbarcare il lunario sia per se che per i figli: dopo avere cercato invano l’aiuto della sorella, si ricorda che un “personaggio” le dice che l’avrebbe vista bene nel cinema e così si sposta verso Castiglioncello dove Dino Risi sta girando un film con Mastroianni: verrà assunta come semplice figurante e un ambiguo conte le offrirà un alloggio; tutti sono attratti da lei, dalla sua esuberanza fisica che viene scambiata per “disponibilità”, mentre la donna non si concede mai totalmente, rimanendo fedele alla “famiglia”, ai figli ed al simulacro del marito che si va sempre più sbiadendo, ma che non viene sostituito

Dopo l’avventura nel cinema, Anna si ritroverà a fare i lavori più vari, sempre finalizzati a campare decorosamente lei e i figli: da segretaria di un avvocato a ragioniera in un esercizio commerciale che vende articoli sportivi: il modo con cui Anna affronta questa vita è sempre lo stesso, tipico di una donna troppo bella per non creare dolore in chi le è vicino , ma anche dal cuore troppo grande per non amare sempre e comunque anche quando viene offesa e a volte umiliata.

Dopo un breve intermezzo collocato temporalmente all’inizio degli anni ’80 e in cui assistiamo alle vicende soprattutto dei due figli che cominciano a vivere le loro prime storie d’amore e di sesso, il grosso della narrazione è ai giorni nostri e troviamo la donna – interpretata ora da una splendida Stefania Sandrelli – e i due figli, interpretati da Claudia Pandolfi e da Valerio Mastandrea che vivono ormai separati e conducono delle esistenze assai diverse: Anna è ormai minata da un cancro allo stadio terminale ed è giunta al livello delle cure palliative, mentre la figlia è sposata – non in modo completamente felice – con un vigile urbano di Livorno ed è quella che è rimasta un po’ più vicina alla madre; Bruno invece, forse fuggendo da questa madre così ingombrante, si è trasferito a Milano, dove è insegnante di lettere in un liceo ma è terribilmente infelice: ci viene mostrato mentre si addormenta al parco e viene investito da una pallonata; è in preda alla droga e non riesce a entrare in sintonia con la fidanzata, una ragazza solare che cerca sempre la parte positiva delle cose.

Con l’aggravarsi delle condizioni di salute della madre,  Valeria è decisa a riconciliare il fratello con la madre e si reca a Milano quasi per “rapirlo” e condurlo a Livorno, dove Anna giace in ospedale alternando momenti di gaia spensieratezza (incredibili!!) a crisi fortissime nelle quali i medici intravedono l’avvicinarsi dell’inesorabile fine.

Bruno, che ha sempre stigmatizzato la eccessiva esuberanza della madre a cominciare dall’evento iniziale – l’elezione a miss – e non ha mai nascosto una sorta di astio verso la bellezza e la disponibilità della madre verso tutti, giunto a Livorno, deve fare i conti con la sua inesauribile vitalità ed è costretto a “rivivere” – in lunghi e reiterati flash back – il passato trascorso con Anna, le estreme difficoltà che la vita ha messo davanti a questa donna e la inconscia “non accettazione” del ragazzo di tutti questi arrabattamenti della donna, tutti volti a far andare avanti la loro famiglia.

Nella nuova realtà di Anna, fatta di dolore e di crisi violentissime, Bruno, ma anche Valeria, scoprono questa madre in tutta la sua grandezza ed estrema peculiarità: a cominciare dal vicino di casa, Oriano, con il suo amore silenzioso e disinteressato ed anche un nuovo, inatteso e misterioso fratello che spunta all’improvviso, Cristiano, il quale rappresenta il frutto di una sola “scappatella” di Anna con l’avvocato suo datore di lavoro.

Dopo una scappatella di Anna che se ne è andata al cinema a vedere un film “da piangere” ed è stata rintracciata da Bruno, i due improvvisano una sorta di “zingarata” che si svolge in una pista da ballo, dove madre e figlio – dopo aver mangiato lo zucchero filato - si lanciano in un tango appassionato; ovviamente la scappatella ha le sue conseguenze e le condizioni di Anna si aggravano, tant’é  vero che l’Ospedale autorizza i figli a portarsela a casa: tanto, quello che viene fatto in clinica potete farlo anche voi!! Come dire che siamo alla fine!!

Ed in casa, nel suo letto, Anna chiede ai figli di poter sposare Oriano, colui che le è stato vicino negli ultimi anni di vita, senza nulla chiedere; la cerimonia viene febbrilmente organizzata e ad essa viene invitato anche “il terzo figlio”, Cristiano, che mentre in un primo tempo sembra rifiutare ogni rapporto con questi fratelli appena scoperti,  in realtà si presenterà con tanto di madre (il padre è morto) e fidanzata.

Anna spira serenamente e da questa morte, ma soprattutto dai ricordi che ha suscitato la vicinanza con essa, i due figli ritrovano una loro dimensione e si predispongono ad affrontare quello che resta della loro vita: Valeria capisce di non essere innamorata del marito ma del “datore di lavoro”, così come aveva predetto Anna e quindi si dirige verso questa soluzione per il proprio futuro; Bruno, nel frattempo raggiunto dalla fidanzata che dopo avere appreso della gravi condizioni della madre, decide di partire per Livorno per non lasciarlo solo, si rende conto che alla fin fine la ragazza è quanto di meglio possa desiderare e riprende la relazione con lei; ma Bruno fa di più: la madre gli aveva detto che “a lui avrebbe fatto bene un bagno in mare”, come a invogliare il figlio a vedere la vita con più distacco e ottimismo, ed infatti Bruno, nell’ultima sequenza, invita la fidanzata ad andare con lui a tuffarsi in mare ed è lì, abbracciati tra le onde, che il film li abbandona.

Il film, è temporalmente compreso tra quando Valeria porta Bruno a Livorno per andare a visitare la madre in fin di vita e la morte di Anna; ma questo spazio cinematografico appare riempito anche – direi soprattutto – dai ricordi che i due figli fanno scaturire in continuazione e che occupano buona parte della narrazione: quindi, andando a ritroso,  il film si muove su tre piani: l’oggi (il suddetto periodo), un altro spazio che potremmo collocare attorno ai primi degli anni ’80 e, infine,  l’inizio di tutto, cioè la famosa elezione di Anna a miss (1971), la cacciata di casa e l’arrabattarsi per tirare avanti.

È  pertanto in quasi 40 anni di vita di questi tre personaggi che l’autore presenta la sua narrazione; c’è da dire che non si fa una grande fatica a districarsi sul periodo di cui si parla, anche perché Virzì rappresenta tutte le vicende che non riguardano “il presente” con una grana di pellicola decisamente diversa, con una patina di “sabbiato” che ci consente di collocare tali narrazioni in “altri” periodi storici che non sia l’oggi.

In sostanza, attraverso il marchingegno dei ricordi rappresentati da altrettanti flash back, il regista intende dare alla vicenda un’altalenante ritmo che ci conduce comunque alla sequenze finali, nelle quali si può constatare che tali rivisitazioni hanno in qualche modo fortemente inciso sulla psiche dei due figli e così facendo ci dovrebbe condurre alla tematica del film che, per la verità appare espressa con notevole approssimazione: comunque  l’autore intende dire che solo il superamento di vecchi blocchi psicologici può consentire (nello specifico ai due figli) di affrontare il futuro con buone speranze di poter raggiungere la felicità; ho specificato “ai due figli”, perché di universalizzazione non c’è neppure da parlarne, stante la specificità dei personaggi e delle atmosfere.

Questi che ho chiamato “superamenti” sono per entrambi i giovani, l’incombenza di questa “grande madre”, grande in tutto, sia nella bellezza che nella disponibilità a donarsi per la felicità di altri; e gli atteggiamenti di Anna sono stati visti dai due bambini (specialmente da Bruno) come esagerate manifestazioni di affetto ma questi stessi episodi, rivisitati da adulti mostrano loro una donna che lotta in una provincia immersa in un torpore continuo e in una diffusa incomprensione maschile, ma forse sarebbe meglio definirla “maschilista”; a questo proposito cito l’episodio di Anna che ritorna al proprio tavolo dopo essere stata eletta miss: ebbene, durante il tragitto s’imbatte in un uomo che si sente autorizzato a toccarle il sedere e, per tutti, la colpa non è dell’uomo ma dell’appariscenza della donna e fra questi “tutti” dobbiamo annoverare anche i figli.

La mamma, ha nella prima parte la fisicità dirompente, la simpatia ed il candore di Micaela Ramazzotti, qui impegnata in una prova difficile che mi sembra abbia superato alla grande; nella seconda parte – ai giorni nostri – il ruolo di Anna è sulle spalle di una Stefania Sandrelli mostruosamente brava, che impegna tutte le proprie astuzie di attrice ormai navigata, per dare al suo personaggio lo stesso candore che si è visto nella prima parte e, in più, mostra la dolente natura della donna che si avvicina alla fine e lo fa nel modo più appropriato, sempre pronta a donare felicità a tutti, anche a coloro che non ne capiscono l’utilità e che si ricrederanno solo dopo aver “inquadrato” la madre con occhi nuovi e meglio messi a fuoco: una donna esuberante e bellissima, cacciata di casa dal marito geloso senza che lei avesse la minima colpa, costretta ad un lungo peregrinare con i figli al seguito, rincorrendo un sogno fragile come il cristallo, quello di poter essere accettata per quello che è.

Ma voglio aggiungere che il film, oltre a rappresentare una sorta di “riconciliazione” di Valeria e di Bruno con la loro madre, può considerarsi anche una “riappacificazione” di Virzì con la sua città, Livorno, dopo la fuga giovanile che lo ha portato a Roma e solo una volta, per “Ovosodo” è tornato nella sua città, nella quale ha sofferto della tipica crudeltà della provincia verso colui che vuole affermarsi artisticamente. Mi dicono che la sintonia è stata ritrovata così bene che il regista ha anche comprato casa a Livorno, dove si augura che la co-protagonista del film, Micaela Ramazzotti, sua moglie, partorirà a breve un suo figlio. Auguri alla coppia, anche per le fortune di questo film che si vede essere realizzato con “la pancia” oltre che con il cervello, il che se da una parte toglie qualche sprazzo di nitidezza alla  struttura ed al complesso della narrazione, dall’altra conferisce ardore e sentimenti a iosa: proprio in puro stile “livornese”.

(Franco Sestini)
 


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