La comunicazione sociale negli atti della Chiesa
di ANDREA MUZZEDDU
Il brano seguente è tratto da: «MNEME AMMENTOS», semestrale di studi e ricerche dell’Istituto EuroMeditteraneo - ISR, fascicolo 1, luglio-dicembre 2005, ed. Gruppo Editoriale Zonza, maggio 2006
Con l’autorizzazione dell’autore
LA CULTURA DI MASSA DEMOLISCE L’AUTONOMIA DEL PENSIERO
RIFLESSIONE SU UNA METODOLOGIA D’INTERVENTO
SULLE RAGIONI DEL MALESSERE MENTALE
1) La questione della “comunicazione sociale”
Il modo come affrontare la comunicazione sociale, con l’ottica della “fede cristiana”, è una cosa seria, dibattuta da diverso tempo e ai diversi livelli della gerarchia della chiesa, non solo dai fedeli.
Risale agli anni Sessanta, esattamente al periodo del Concilio Vaticano II° svoltosi in quegli anni. Sulla base delle osservazioni rilevate è stato diffuso un libricino, curato dai vescovi allora riuniti in commissione: Inter Mirifica (1), che consigliamo di leggere perché offre il primo approccio per l’uso corretto degli “strumenti della Comunicazione Sociale – Cinema, Tv, Radio e Stampa - ”.
Per semplificare ricordiamo che la “via da seguire” è quella della VERITÀ. Essa richiede sia ai “produttori” sia ai “consumatori” due semplici cose (ma di non facile applicazione perché richiedono “competenza”): rispetto della cosa comunicata e del modo con cui viene comunicata (ai primi); la cosciente comprensione del messaggio ricevuto e la corretta valutazione morale del suo significato (ai secondi); a entrambi, la coerenza delle proprie azioni con la fede cristiana... In altri termini significa conoscere i “codici espressivi” (di natura linguistica) e le “strutture iconiche” (di natura semiologica) per poter rispettare la comunicazione, tanto per chi la “produce” (costruzione e scelta del tipo di messaggio da parte del COMUNICANTE: giornalista, produttore o regista...), quanto per chi la riceve (decodificazione e lettura del messaggio per il RECETTORE: il pubblico).
Sono trascorsi quarant’anni dall’assemblea conciliare eppure il problema della “Comunicazione Sociale” può dirsi tutt’altro che risolto. Periodicamente il mondo cattolico (vescovi, sacerdoti e responsabili del settore) ripete la sua esortazione ad essere più vigili e preparati. Sotto quest’aspetto, nel 1985, è stata diramata una nota della CEI sul Dovere Pastorale della Comunicazione Sociale, riproposta nel 1989, in occasione della ricorrenza del ventennio dalla pubblicazione della COMMUNIO ET PROGRESSIO, dal Pontificio Consiglio, con riferimento ai criteri di collaborazione ecumenica ed interreligiosa nel campo delle comunicazioni sociali, impartendo specifiche istruzioni sul modo di intendere ed utilizzare i mass media nell’AETATIS NOVAE.
Lo stesso Papa, in occasione della XXV^ GIORNATA MONDIALE DELLA COMUNICAZIONE SOCIALE (13 ottobre 1991) ricorda ai fedeli che «Da molto tempo la Chiesa ritiene che i media siano da considerare dei Doni di Dio» e subito dopo precisa che in quanto tali il loro fine è «lo stesso dei mezzi di comunicazione più tradizionali (il gesto, il disegno, le parole e la scrittura): avvicinarci l’un l’altro più intimamente nella fratellanza e nella mutua comprensione, ed aiutarci a progredire nella ricerca del nostro destino umano»; il Papa, consapevole della delicatezza di questo nostro “andare” e, nello stesso tempo, preoccupato per la fragilità della persona, quasi ad ammonire i possibili tentatori, ricorda che «l’uso dei mezzi di comunicazione (oggi) così potenti (...) richiede in tutti coloro che ne sono coinvolti (produttori e fruitori) un alto senso di responsabilità (di competenza, conoscenza ed uso)... Se essi (i media) adempiono o non allo scopo per il quale ci sono stati dati, dipende in larga misura dalla saggezza con la quale se ne fa uso. (...) In questo quadro, ogni membro della famiglia dell’uomo, dal più semplice consumatore al più grande produttore di programmi, ha una responsabilità individuale».
Questa personale responsabilità è talmente grande che obbliga periodicamente i vescovi e i sacerdoti a indicare ai fedeli, con scritti, omelie e corsi formativi, il modo in cui seguire la via cristiana attraverso i media.
Nella ricostruzione, sia pur breve, di queste linee guida mi limito a citare (al momento) solo due persone, il Cardinale Carlo Maria Martini e il sacerdote gesuita Padre Nazareno Taddei, presidente del CiSCS (Centro internazionale dello Spettacolo e della Comunicazione Sociale, con sede a Roma e a La Spezia).
Il Cardinale Martini, con una lettera pastorale, ha subito fatto eco alle parole del Papa, evidenziando sia la provvidenzialità del progresso massmediale, sia la difficoltà di approccio a questi strumenti, e in modo particolare per quello televisivo. «Essi - precisa il Cardinale - tendono ad esaltare il ruolo soggettivo tanto come libertà produttiva, quanto come fruitiva». «Il problema sorge - osserva Padre Taddei - dalla presunta “obiettività informativa (in cui si celano i giornalisti e i produttori televisivi e per la quale, o nella presunzione di essere tale, introducono, nelle loro informazioni e programmi, di tutto e, se possibile, qualcosa in più) e nella “libertà di scelta” dei programmi (tanto acclamata dagli spettatori che si credono immunizzati dai condizionamenti negativi ed edonistici perché stringono fra le mani il telecomando, come se tutto il problema si risolvesse cambiando semplicemente il programma)... va da sé, allora, che il “mito dell’informazione obiettiva” va un po’ rivisto» (2).
A questo punto è necessario sottolineare che “informazione” deriva da “informare” che significa “mettere in forma, dare forma o far prendere forma” a qualcosa, come fanno i bambini con la sabbia bagnata mentre giocano sulla riva del mare, o gli artisti con la creta. La televisione (il cinema o la stampa) è uno strumento informativo. Per sua natura tende a “formare” dei “contenuti mentali” attraverso le notizie che dirama, gli spettacoli che manda in onda e gli spot che trasmette; quindi agisce per “dare forma” al suo prodotto (per esempio: vendita) utilizzando la struttura mentale (pensieri, opinioni, idee) della gente, uniformandola... Gli elementi persuasivi che utilizza, in “modo clandestino” (3), per non essere bloccati nella frontiera della nostra razionalità, agiscono sulla mentalità soggettiva (individuale) trasformandola in collettiva (di massa) come agiscono le tenere manine del bambino sulla sabbia umida o quelle sapienti dell’artista, che trasformano la molteplicità dei granelli della materia informe in qualcosa di unitario, ben strutturato e corrispondente alla sua “idea”.
I persuasori occulti si avvalgono dell’offerta del successo (l’apparire nelle trasmissioni come pubblico o protagonista di cose futili... portando la persona nella condizione del sembrare piuttosto che dell’essere), dell’illusione del denaro facile (ruota della fortuna, quiz a premi, totocalcio... insinuando nell’uomo il ripudio alla fatica, al lento ma positivo procedere nella vita col proprio onesto lavoro... per questo oggi ci si trova di fronte a giovani che desiderano tutto e subito e che non esitano ad uccidere i propri genitori) e, infine, ma non ultimo, del successo politico (considerato come “potere” contrapposto al “servizio sociale” per il quale l’incarico amministrativo è stato richiesto e, pertanto, concesso dall’elettore).
Diviene facile così scandalizzarsi, senza offendere le anime dei defunti, nel vedere la correlazione fatta da diversi media informativi tra la morte tragica di Lady Diana e quella meno tragica, ma più toccante, di Madre Teresa di Calcutta... e l’uso spettacolare delle due celebrazioni funebri (si pensi all’applauso –manifestazione di allegra partecipazione allo spettacolo- effettuato al passaggio della bara –spettacolo, se così vogliamo chiamare il funerale, di ben altra levatura e riflessione delle rappresentazioni teatrali, sia pur culturalmente elevate-).
Contro questa comunicazione così alienante ed edonistica che cosa bisogna fare? Spegnere la televisione? No! È un dono di Dio, ha precisato il Papa, e allora come tale deve essere usata. «Non sta scritto che si debba essere eroi –scrive nella sua lettera pastorale il Cardinale Martini – ma uomini sì: a questo siamo chiamati». È l’uomo è tale quando ha coscienza di sé, quando fa uso consapevole del proprio “libero arbitrio”. Il codice deontologico degli operatori massmediali non è sufficiente. «È necessario – suggerisce padre Taddei – che anche l’altro versante (chi guarda) sia munito degli strumenti indispensabili per “leggere le immagini” perché paradossalmente, se si sa leggere l’immagine si sa anche scegliere il programma, quindi, senza patemi d’animo, decidere se vederlo oppure no, se semplicemente commentarlo o analizzarlo in profondità... e ciò conduce ad obbligare i produttori ad una maggiore attenzione al contenuto dei programmi e ad un maggior rispetto della morale naturale (per non parlare di quella sociale perché attualmente sembra un po’ compromessa) e della coscienza religiosa».
Comunicare è un’attività essenziale per l’esistenza e lo sviluppo dell’umanità. Capire la comunicazione è altrettanto essenziale. Se con la comunicazione verbale e scritta capire l’altro (se si ha conoscenza del codice linguistico utilizzato) è abbastanza facile, così com’è facile (con questo tipo di comunicazione) non lasciarsi ingannare, in quanto si ha sempre la possibilità di confutare le informazioni concettuali con i dati obiettivi raccolti dai documenti e dalle testimonianze umane (perché la comunicazione orale e verbale “cammina con noi”, rispetta il nostro passo), con la comunicazione massmediale le cose si modificano, il controllo viene meno e con esso la possibilità di controllare l’informazione. Tutto “cammina” in modo più veloce: “corre”.
La notizia prima ancora di essere assorbita secondo i nostri schemi logici è già scomparsa, è stata ingurgitata da altro (si pensi ai conflitti tribali ancora presenti in alcuni territori dell’Africa, da qualche tempo non se ne parla più, eppure in quei luoghi le persone continuano a morire... e nello stesso tempo i missionari cristiani continuano a vivere in uno stato di precarietà impressionante e con grandi sofferenze... ma non se ne parla più, salvo che, in quei territori, non accada un fatto sensazionale: un’ecatombe).
Ciò che resta di queste notizie diffuse a “velocità visiva” (non più semplicemente uditiva) è una labile impressione immaginifica, una più o meno acuta emozione, che presto cade nell’oblio, favorita dal mutamento informativo, rapido e improvviso, d’immagine e contenuto. In questo modo abbiamo l’impressione di acquisire conoscenze mentre, di fatto, veniamo quotidianamente abituati alla disinformazione (4), e su questa base affrontiamo la nostra esistenza sempre più secolarizzata e dedicata a beni effimeri.
Siamo talmente presi da questo linguaggio che se la stessa notizia viene ripetuta per alcuni giorni di seguito, indipendentemente dalla sua importanza, cessa di interessarci e ci viene a noia. In altri termini, si diventa insensibili, apatici a tutto, esclusa la pressione emozionale che, però, dura un attimo e non di più. Tutto ciò che richiede più tempo d’apprendimento significa impegno, e nessuno ne sente più l’esigenza. Salvo poi meravigliarsi, con qualche venatura d’indignazione, quando le cose intorno a noi non vanno come dovrebbero andare, quando succede il fattaccio. Così si resta impigliati nel mondo delle pseudo-cose in cui i valori perdono ogni riferimento morale e le persone, sempre più sole, parlano tra loro utilizzando frasi fatte e slogan... Il tutto provocato dalla disconoscenza del nuovo sistema comunicativo introdotto dai media (che utilizzano comunicazioni analogiche e in giustapposizione, piuttosto che logiche e per connessione). Gli spettatori affascinati dalla qualità dell’immagine (che per quanto estetica possa essere non descrive ma rappresenta) si lasciano comodamente trasportare dall’impressione visiva (e non razionale) trasmessa con quel programma (e da tutte le altre trasmissioni che seguono).
L’impressione visiva, la più nota caratteristica della cultura per immagini, è l’unica cosa che la comunicazione massmediale ripete ossessivamente... senza mai irritare la nostra pazienza(!).
LA NUOVA CULTURA
Per capire la dimensione di questa nuova cultura non dobbiamo mai dimenticare che, per esprimere i contenuti di un evento, il “linguaggio dell’immagine” (tecnica), in special modo quella riprodotta dalla TV, si avvale, contemporaneamente, del “contenuto concettuale” (tipico della tradizione orale) e della descrizione figurativa (di natura grafica). La comunicazione con l’immagine è sempre avvolta da questa doppia patina informativa che costituisce, per un verso, l’interpretazione ideologica (che concettualizza l’ideologia di riferimento), e, per l’altro, la riproduzione idealogica (che determina l’idea che, di quell’avvenimento, l’autore dell’immagine si è fatta) (5).
Queste due parti rafforzano il contenuto della comunicazione iconica. Le fanno assumere significati diversi da quelli scaturiti dalla realtà dei fatti. In altri termini, si mettono al servizio di un’idea culturale (idealogia), obbligando la “verità”, riferita allo svolgimento degli avvenimenti reali, a piegarsi alle ragioni di parte (ideologia), condizionando così, in modo più o meno palese, la riflessione del destinatario della comunicazione circa l’informazione di cui è venuto a conoscenza.
La combinazione idea-ideo-logia, che si determina con la “comunicazione audiovisiva”, forma l’humus indispensabile per concimare la mala pianta del condizionamento sociale. In altri termini, siamo di fronte al “veicolo” che trasporta, clandestinamente, l’esistenzialità dell’autore del segno e, proprio perché il trasporto avviene in modo clandestino, ci si rende conto dei suoi malefici effetti solo a cose accadute (6)… Noi vediamo passare questo veicolo (il programma televisivo) e ci lamentiamo per la sua insistenza di traffico (il ripetersi degli argomenti), ma quando vediamo che sta per fermarsi gli diamo una mano per riprendere la sua corsa (la ricerca continua di spettacoli d’evasione a basso profilo morale). In questo modo facilitiamo il suo percorso socio-formativo e accettiamo la schiavitù mentale che c’impone, nelle tipiche forme del disinteresse sociale e del consumismo.
È una situazione grottesca. Sembra quasi di trovarsi di fronte ad un gatto che ruota su se stesso inseguendo la coda. I responsabili dei palinsesti televisivi (enti privati o pubblici, la cosa non cambia) dicono che “mettono in onda” ciò che la “gente” dimostra di gradire… il telespettatore dichiara di guardare quel determinato programma perché la Tv non offre di meglio… Ora, se è vero che basta un “pesce” per bloccare la girandola del gatto, è altrettanto vero che basta una “buona educazione” per smascherare il condizionamento mentale prodotto dalla Tv. Ma data la nuova natura della “cultura sociale” è da supporre che questa “buona educazione” sia da intendere in modo diverso da quella conosciuta per “tradizione”. Una diversità nei “modi” di procedere, non nella sostanza. È necessario, fin dai primi anni di scolarizzazione, come si fa per tutte le altre discipline, insegnare a “leggere i media”, cioè far apprendere agli alunni l’alfabetizzazione iconica e le modalità comunicative utilizzate dai massmedia (aspetti che si discostano alquanto dalla semplice “cultura pittorica o artistica”).
Se per un attimo osserviamo il numero dei telespettatori presenti alle trasmissioni evasive, con una media di share settimanale pari al 74%, allora, forse, ci renderemo conto che c’è bisogno di una rieducazione permanente, non solo per i giovani, ma anche per la cosiddetta “generazione degli adulti”.
La televisione appartiene ormai al nostro quotidiano. Sembra quasi che non possiamo più vivere senza di lei. Non è più un semplice “oggetto di svago”, bensì “strumento d’informazione”. Ci serviamo dei suoi programmi per avere conoscenze, emozioni e soluzioni di vita... le sue proposte (spettacolari) c’interessano perché col loro modo di “informare” ci affascinano. Comunicano in modo comprensibile e ci aiutano a far trascorre il tempo… Per avere questo consenso, l’audiovisivo domestico utilizza i “cambi di quadro” e un continuo gioco di luci. Senza questa variazione d’immagine (inquadratura, colore, suono, ecc.), tenderebbe a stancare.
Per avere un’idea di quanto la “comunicazione con l’immagine tecnica” possa aver influito sulle nostre scelte di vita basta pensare al modo con cui affrontiamo la lettura del giornale: istintivamente siamo portati a non leggere più il contenuto degli articoli; ci accontentiamo di sbirciare il titolo e se questo ci “stimola” allora affrontiamo la lettura del pezzo. La stessa cosa avviene con la Tv. Cambiamo canale quando un programma è presentato senza gioco d’immagini. Lo riteniamo “noioso” al di là del contenuto concettuale che esso esprime.
Di fatto, come ha scritto il Papa, la comunicazione di massa «ha creato una nuova cultura- la quale -più che dai contenuti, nasce dal fatto stesso che esistono nuovi modi di comunicare, con nuovi linguaggi, nuove tecniche- tipiche della comunicazione contemporanea, -e nuovi linguaggi psicologici». Questo nuovo linguaggio, tocca anche l’educazione religiosa. Al riguardo ha precisato che «l’evangelizzazione stessa della cultura moderna dipende in gran parte dall’influsso dei massmedia» (7). Chi considera ancora la comunicazione sociale (e con essa la Tv) come semplice trasmissione di concetti, da affidare alle consuete strategie d’uso della parola, rischia di veder naufragare i suoi, pur pregevoli, sforzi.
Questo fallimento avviene ormai in diversi istituti educativi provocando momenti di sconforto fra i suoi operatori. Le nuove generazioni affrontano l’impegno scolastico (e non) per sequenze episodiche, collegandole tra loro con la “logica del prima e del poi”. La logica del “linguaggio iconico” privo di sviluppo interno.
3) Nuova cultura nuove esigenze
Possiamo dire, al punto in cui siamo, che non è più sufficiente avere una notevole preparazione culturale. Non che questa non serva più, anzi… Oggi più che mai di cultura, quella vera, ne abbiamo grande bisogno; purtroppo non è più solo una questione «di nuovi contenuti o di pure tecniche operative- come ha scritto Zaffagnini, -è piuttosto una questione di adozione di criteri e di modi di pensare atti a combattere una mentalità superficiale, paga dell’esteriorità e dell’uso puramente tecnico o spettacolare degli strumenti della comunicazione» (8). Il che significa che non è sufficiente, «educare ai linguaggi delle tecnologie», per la produzione d’immagini, bensì è necessario, oltre che corretto ed urgente, educare con i linguaggi delle immagini. Se, oggi, vogliamo impostare un’autentica “azione educativa” dobbiamo imparare a conoscere, ed utilizzare correttamente, il linguaggio iconico, in modo da leggere il messaggio strutturato con le immagini tecniche (i veri protagonisti della trasformazione linguistica) al fine di capire il significato profondo che si cela e che noi cogliamo come nostro senza sapere che c’è stato trasmesso (le comunicazioni clandestine).
Conoscere solo le tecniche riproduttive delle immagini e saperle realizzare non è sufficiente per comprendere la reale portata della “nuova cultura”. Si è solo in grado di ottenere effetti speciali… e di questi, davvero, non ne abbiamo certo bisogno perché invece di renderci “persone” consapevoli e quindi “libere” ci condizionano fino al punto di farci perdere ogni forma d’autonomia. La libertà è figlia della coscienza di sé, la quale emerge solo se si ha conoscenza delle cose, dei fenomeni e degli avvenimenti secondo criteri di oggettività. Un sapere questo che affonda le sue radici nel nostro passato, quindi intriso degli atti della formazione mentale. Il passato è la vita del nostro presente. Impariamo a conoscerlo.
ALLE ORIGINI DELLA COMUNICAZIONE SOCIALE
La vicenda della comunicazione sociale si sviluppa all’interno della storia dell’umanità e, per
essere compresa nella sua concreta incidenza culturale, necessita di essere considerata in un duplice aspetto:
- quello dello sviluppo del “modo” con cui l’uomo ha comunicato col suo prossimo attraverso i secoli, che include in se la “cosa” (intesa come materia e tecnica) di cui s’è servito, via via per comunicare;
- quello dell’incidenza sociale derivata da quel “modo” di utilizzare le “cose” (materia e tecnica) per comunicare e che, attraverso i secoli, si è non solo evoluta, ma ha anche tracciato le “linee della conoscenza”, la quale poco o tanto che sia, costituisce la base dell’organizzazione socio/familiare ed etico/culturale della società umana, sia pur considerandola nelle diverse forme di aggregazione e/o sfumature ideologiche.
Cerchiamo di vedere insieme, sia pur rapidamente, tutto il suo sviluppo cronologico e cognitivo al fine di capire, con maggior precisione, che cosa sta succedendo nel nostro tempo e il perché di tanta attenzione da parte della Chiesa alla comunicazione massmediale:
a) Lo sviluppo del “modo” con cui l’uomo ha comunicato col suo prossimo attraverso i secoli può essere ripartito in cinque periodi (9):
- il primo (dal momento della creazione dell’uomo fino alle prime forme di aggregazione sociale in gruppi etnici interparentali”) riguarda –oltre la parola, il mimo e il gesto che, comunque, continuano ad accompagnare ed a sostenere la “comunicazione” dagli albori della presenza umana sulla terra fino ai giorni nostri- l’uso delle “cose naturali” in funzione di “informazioni situazionali” a significato unitario e privo di articolazione interna. E’ il caso, per esempio, dei teschi d’animali posti su tronchi d’albero per indicare il territorio di appartenenza ad una data tribù con la funzione di “avvertimento” per gli estranei; dei rami spezzati per indicare la via percorsa da qualcuno per facilitare il suo ritrovamento da parte di altri; delle pietre collocate a piccoli cumuli su grandi massi, o rilievi, per consentire l’orientamento, o indicare la posizione di qualcosa come una sorgente, e via dicendo;
- il secondo (dalla fase terminale della preistoria fino alle prime forme di “civiltà organizzate”, capaci, cioè, di estendere il loro controllo su un vasto territorio abitato da gruppi etnici diversi) coincide con “l’intervento intenzionale” dell’uomo sulle “cose naturali”, o modificando la forma originaria della “cosa” (materia) fino a farle assumere (con le tecniche) la “contornualità” della comunicazione che si è inteso esprimere (idea), o dipingendo figure sulle pareti di pietra, incidendo la roccia, con lo scopo di rappresentare (avvalendosi della concreta materia) il proprio pensiero (frutto di astrazione mentale). E’ il caso, per esempio, dei disegni e dei graffiti realizzati con lo scopo di rappresentare, o documentare, gli avvenimenti del loro vivere quotidiano; delle prime forme di antropomorfizzazione delle pietre (menhir) fino alla realizzazione di statue attraverso le quali, per es., rappresentare la Dea Madre, o altre divinità;
- il terzo periodo (dall’invenzione della scrittura ideografica [geroglifica - cuneiforme] e alfabetica [greca - latina] fino all’invenzione della stampa) è il momento in cui il “segno/parola” (inteso come “suono esprimente un concetto”) inizia a trovare concretamente, e in modo funzionale, un “segno/grafico” corrispondente. Espresso in altri termini, questo significa che il “codice linguistico” trova, nella “convenzione simbolica”, la sua codificazione permanente, cioè la corrispondenza “suono/segno/suono” che consente, in modo sempre più articolato e complesso, l’astrazione mentale, ovvero il passaggio dall’oggetto (significato) al segno che lo rappresenta (significante), sia esso parola, disegno o scrittura, e da questo al concetto che da esso ne deriva. Ha inizio la “trasmissione” e la “conservazione” delle conoscenze abolendo, in un certo modo, sia lo spazio (superando le distanze territoriali con l’invio di epistole), sia il tempo (attraverso la lettura di pergamene scritte nei secoli precedenti);
- il quarto (dall’invenzione della stampa fino a quella della macchina fotografica) interessa tutto quel periodo che ha visto l’affermarsi della “immagine tecnica” (tipografica e fotografica) sulla immagine normale (manoscritti e disegni), includendo in questa fase anche l’invenzione del telegrafo e del telefono, strumenti, questi ultimi, capaci di ridurre effettivamente le barriere del tempo e dello spazio, annullando le distanze e consentendo la comunicazione auditiva in tempo reale. E’ il momento in cui, tanto per la “cosa” utilizzata per la “comunicazione sociale”, quanto per il “come” questa si realizza, si verificano i primi grandi stravolgimenti idealogici, e non solo ideologici, dell’umanità. Si esce dalla “fattura arcaica” degli amanuensi e si entra nella “organizzazione tecnica” dalla cultura. Il “libro stampato” conquista il mercato dei lettori, a dispetto dell’ostinazione dei “tradizionalisti”, che vedevano nella struttura del nuovo libro uno snaturamento della cultura. Per la riduzione del prezzo che su di esso si può praticare, grazie al nuovo sistema di scrittura per mezzo della stampa ideata da Gutemberg, il libro si avvicina sempre più al “popolo”; così il latino inizia la sua parabola discendente in favore delle diverse parlate nazionali. Le idee circolano per l’Europa diffondendo nuove conoscenze, a volte con sviluppi eversivi. L’immagine non è più semplice “rappresentazione” della realtà, bensì “riproduzione” della stessa (grazie alla fotografia), quindi “testimonianza” (poco importa se fedele o meno), e come tale “sostituta” della “realtà vera”;
- il quinto (dall’invenzione del cinematografo fino al computer) è il periodo della diffusione, su larga scala, dei “mezzi di comunicazione di massa”: giornale, radio, cinema, televisione... Esso riguarda, per un verso, tutto il XX° secolo e, per l’altro, in modo particolare gli ultimi quarant’anni del nostro tempo. È il periodo in cui “l’immagine in movimento”, la “rapidità delle informazioni” e la “scrittura elettronica” hanno iniziato a scardinare tutte le forme consolidate, nei secoli precedenti, del modo di trasmettere le conoscenze e di acquisirle, e ciò grazie allo strumento (la cosa) utilizzato per comunicare informazioni, fatti e avvenimenti inerenti la quotidianità, i grandi eventi e la cultura. Paradossalmente viviamo oggi ciò che i nostri antenati vissero nel XVI° secolo quando i sistemi di stampa meccanica iniziarono a diffondersi per l’Europa, così come oggi si diffondono la Tv, le videocassette, i CD. Allora molti si chiusero in un “ghetto culturale”, sordi ad ogni innovazione tecnica, convinti che solo nel (e col) “libro manoscritto” fosse possibile la trasmissione della “vera cultura”... Oggi succede la stessa cosa nei confronti dei massmedia: non pochi operatori culturali negano l’incidenza formativa ed educativa di questi mezzi tecnici ed elettronici e insistono nell’indicare nel solo libro lo strumento sicuro per apprendere, perdendo così l’occasione di avvicinarsi ai giovani utilizzando il loro modo di conoscere e comunicare, quindi di insegnare loro qualcosa di veramente valido e serio.
Purtroppo arroccarsi in questa posizione, come osserva da diverso tempo la stessa gerarchia ecclesiastica, significa ragionare come nel Cinquecento quando gli ultimi amanuensi si ostinavano nel contendere il primato della validità del testo manoscritto a quello stampato. Da allora sono trascorsi cinque secoli e la stampa gutemberghiana sta subendo l’ultima, e forse definitiva, trasformazione. È iniziata l’era della “stampa elettronica”: Il periodo in cui la cultura e le conoscenze si trasmettono soprattutto con le “immagini” (tecniche): Questa nuova impostazione dell’informazione (quindi della trasmissione delle conoscenze), ne sanno qualcosa i giovani e i bambini, che con le loro quattro e più ore passate quotidianamente a guardare i programmi televisivi, apprendono ciò che noi adulti non avremmo voluto che apprendessero (almeno in quel modo) maturando esperienze indirette, non percepite in prima persona, ricavandone così atteggiamenti che non sempre corrispondono al corretto agire sociale.
b) Lo sviluppo dell’incidenza sociale derivata dal “modo” di utilizzare le “cose” (materiali e tecniche) per comunicare.
Per rendere più comprensibile lo sviluppo dell’incidenza sociale, provocato dal variare del modo di realizzare l’informazione, è sufficiente ricordare come il passaggio fra la preistoria e la storia si compie con l’apparire di civiltà che trovano l’alfabeto e vi si legano per la loro comunicazione, così il passaggio fra l’epoca moderna e quella contemporanea si compie con la diffusione su grande scala delle nuove tecniche. Questa diffusione di comunicazioni, fatte in sostanza col linguaggio dell’immagine, ha introdotto un “nuovo modo” di intendere le conoscenze e concepire il mondo e la vita; analogo al periodo pre-alfabetico, nella riproduzione grafica delle cose materiali e sensibili (disegnate dagli uomini secondo le loro capacità tecniche e in relazione alla loro idea-mentale), ma differente per il modo di realizzare le immagini per la comunicazione con le immagini (perché frutto della mediazione delle macchine [e dell’elaborazione tecnica] anche se guidate dall’uomo).
L’immagine dei nostri giorni non è più quella imitativa in funzione espressiva, prodotta dagli uomini agli albori della nostra civiltà, bensì un’immagine informativa, in altre parole un’immagine carica di significati aggiunti. In breve: «all’inizio il fare immagini è stato un bisogno di esprimere, cui è seguito un bisogno di concretare sulla materia anche il discorso verbale che, affidato ai primi suoni, e quindi alla memoria, un po’ alla volta svaniva nel nulla. Nel tentativo di tradurre in segni registrati la parola parlata, la strada più ovvia è stata quella di partire dalla imitazione grafica di quegli oggetti, affinché il recettore identificasse concettualmente, nel segno imitante, quella realtà che egli identificava concettualmente nella realtà ogni volta che si trovava di fronte all’oggetto stesso. L’immagine dunque era in funzione di registrazione visiva di ciò che la parola parlata aveva trovato modo di dire. Ed è per questo che l’immagine, un po’ alla volta, si tramuta sempre più in segno convenzionale verbale, sillabico e alfabetico. L’immagine d’oggi, invece, nasce con l’intento di non tradurre un discorso verbale, bensì di far conoscere delle realtà contornuali a scopo informativo, o anche solo diversivo. Non a caso il primo film della storia del cinema è L’ARROSSEUR ARROSÈ, una piccola storia inventata, che propone una situazione comica, ovviamente per far ridere. E non a caso, fin dai primissimi tempi, il cinema si fa anche documentario, per far conoscere contorni che a parole non è possibile far conoscere nella loro vera realtà concreta» (10).
Anche la televisione (come in precedenza la radio) si presenta come “finestra sul mondo” (e non solo come “notizie dal mondo”). Si propone di informare sugli avvenimenti ma, data la natura visiva della sua informazione diventa anche “spettacolo” disponibile a tutte le ore, sfruttando la videoregistrazione, che annulla (con l’emissione del programma in differita) la gran prerogativa del mezzo televisivo, cioè la sua possibilità di trasmettere un avvenimento nel momento stesso in cui si verifica. Analogo passaggio lo ha subito la stampa. Nasce come semplice “notiziario”, semplice informatore di avvenimenti, e si modifica in “contenitore” di informazioni varie, con la scusa di dare informazioni più complete: in realtà, oggi, abbiamo il “giornale” la cui notizia è data più con l’immagine che con il contenuto del testo. E tutto ciò perché questa è l’epoca dell’immagine tecnica giacché, paradossalmente, è proprio la tecnica che ci consente di ottenere delle immagini che ci permettono di raggiungere questi risultati.
Il problema della comunicazione sociale non si esaurisce con quanto prima scritto, anzi proprio per effetto di quanto detto in precedenza nasce e si sviluppa.
Possiamo esporre la questione nel seguente modo. L’immagine, per sua natura, informa oltre il contenuto del segno riprodotto in imitazione della realtà. Nella riproduzione grafica di una donna non ho solo l’identificazione della figura umana nel genere di appartenenza (e se la riconosco, nella zia Tal dei Tali), ma ho anche l’informazione del tipo di abbigliamento che indossa e (se visibile) della sua pettinatura... quest’aspetto è il veicolo che conduce al fenomeno del divismo e della moda. L’immagine viene realizzata con lo scopo di mettere a contatto il recettore con una realtà (accattivante) in modo tale che, in virtù della bellezza scenica, si convinca della bontà del prodotto (pensate ad uno spot)... Di qui i modelli di vita non sempre condivisibili.
L’intenzione di mettere il recettore a contatto con qualcosa (d’interessante) c’è anche quando la storia è stata inventata per divertire o commuovere, grazie al rapporto di correlazione che crea l’immagine con la realtà. L’immagine pertanto viene concepita come tramite tra la “realtà rappresentata” (spesso distante e non raggiungibile dallo spettatore) e la “realtà vera”, oppure come “traduzione in contorni visivi del pensiero umano” in modo da facilitarne, in un certo modo, la comprensione. Al recettore della comunicazione massmediale è la “realtà rappresentata” che deve parlare di sé, esprimere il proprio significato. Per dire meglio ciò che intende dire, l’autore dell’immagine, si avvale delle “nuove tecniche di ripresa” o di “realizzazione. Utilizza, nel miglior modo possibile, la “struttura espressiva dell’immagine” e non più (e non solo, come in precedenza) il codice linguistico di natura fonetico-sillabica; anzi, sempre più spesso i due sistemi sono utilizzati in modo combinato e parallelo, e sempre più con la prevalenza dell’iconico (rappresentativo) sull’alfabetico (concettuale).
L’esatto “contenuto”, espresso con questo tipo di comunicazione, è desumibile solo dalla “lettura” integrata dei due sistemi espressivi: l’iconico e l’alfabetico. Per comprendere l’effettiva incidenza formativa di questo “nuovo” sistema comunicativo è sufficiente pensare, per un istante, alla “visione passiva”, effettuata dai bambini, giovani e adulti, di molti spettacoli televisivi (o di lettura degli articoli di una certa stampa) in cui “l’immagine racconta” molto di più di quanto dicano le parole (pronunciate o scritte), e come questa comunicazione iconica insegni molto di più di quanto si è portati a credere.
La comunicazione per (e con le) immagini tecniche si avvale di modi di rappresentazione mediati da strumenti meccanici ed elettronici che, sotto tutti gli aspetti, favoriscono un linguaggio diverso da quello conosciuto con la convenzione linguistica e pittorica. L’uso di obiettivi che schiacciano la profondità, il movimento di macchina o il semplice montaggio di spezzoni di pellicola, o il fotomontaggio, per es., sono sufficienti a far dire all’immagine qualcosa di completamente diverso da ciò che, in realtà, è stato ripreso.
E siamo al punto. L’immagine per sua natura non può essere considerata come “corretta fonte d’informazione”, poiché tra la realtà (ripresa dal comunicante) e il recettore (di quell’immagine) c’è appunto l’immagine. Vale a dire: tra il comunicante ed il recettore c’è una netta differenziazione dell’approccio gnoseologico: il primo conosce (direttamente) la realtà in tutte le sue naturali dimensioni, il secondo conosce la realtà di riferimento solo attraverso l’immagine e, soprattutto, nel modo con cui è stata realizzata e di tutte le significazioni di cui è stata fatta oggetto.
L’immagine si carica della soggettività del suo autore, e nel passaggio segnico “realtà-immagine” (tridimensionale- bidimensionale più i modi di ripresa) cambia sostanzialmente il tipo di conoscenza che tramite essa viene effettuata sulla cosa rappresentata.
L’espressione iconica provoca nel recettore un’identificazione concettuale silente circa il diverso modo di osservare la cosa (fra lui e il comunicante), tant’è che egli identifica come realtà ciò che non è più realtà bensì rappresentazione della realtà ripresa in un certo modo, e in quel modo c’è tutta l’esistenzialità (cultura, fondi mentali, stile di vita, ecc.) dell’autore dell’immagine che, in modo più o meno palese, viene accolta dal fruitore del segno insieme al contenuto della cosa comunicata.
Qui si nasconde tutto il problema dell’atteggiamento gregario e massificato delle nuove generazioni, la loro pseudo libertà materiale e la loro effettiva sudditanza mentale a “opinions leaders” di natura massmediale, cioè dipendenza da persone che esercitano la loro influenza sulla massa della gente più per il loro modo di gestire la propria immagine (sembrare), che per l’effettivo valore del contenuto mentale che comunicano (essere).
Ogni messaggio è il prodotto della mente del suo autore. La realizzazione del messaggio per immagini, poi, facilita il recettore nell’identificazione della realtà: la riconosce come tale perciò ripone sull’immagine ciò che appartiene alla realtà e, contemporaneamente, crede di riconoscere nella stessa ciò che invece è semplicemente filtrato dal contenuto dell’immagine. Si pensi alla sensazione di “grandezza” (o imponenza) che assume l’immagine di una persona ripresa dal basso verso l’alto. Questa sensazione (frutto dell’impressione visiva) è data dal “modo” con cui la persona è stata ripresa (quindi appartiene all’immagine), ma non è propria della persona (considerata nella sua vera natura).
In questo “scarto interpretativo” si colloca la capacità (o il potere) della comunicazione massmediale di diffondere idee completamente avulse dalla realtà e in ogni caso accolte come conseguenza della realtà fatta conoscere attraverso la sua rappresentazione. Così, a poco a poco, nel recettore s’ingenera un particolare modo di relazionarsi col suo “prossimo” e con le “cose”: crede di essere libero mentre, di fatto, non lo è. In altre parole si accentua il solipsismo alimentato da una secolarizzazione moralmente devastante.
Egli è sì (e quindi si sente) “libero fisiologicamente”, e fa quello che crede opportuno fare (nel suo esclusivo interesse), ma mentalmente non lo è. Molte delle idee che esprime (e per conseguenza gli atteggiamenti che assume) derivano dall’insegnamento ricevuto (inavvertitamente) dall’immagine massmediale. E poiché tale tipo di “formazione mentale” non è consciamente percepito egli considera questa forma educativa come frutto del suo modo di essere, quindi frutto della sua capacità cognitiva. Così, non credendo possibile di essere stato mentalmente manipolato dai sistemi di comunicazione di massa, finisce con l’applicare questi insegnamenti assumendo atteggiamenti socio-affettivi e morali non pertinenti la cultura della sua etnia, in dispregio dei valori più alti dell’espressione umana: la spiritualità.
Il suo atteggiamento è, pertanto, il frutto di “opinioni” che non derivano più dalla sua esperienza diretta e sottoposta al vaglio del suo raziocinio e al filtro sociale della comunità in cui si trova inserito, ma è qualcosa che si deposita in lui per sedimentazione passiva e prolungata nel tempo. Si tratta dell’effetto provocato dall’esperienza passiva o indiretta fornita (a tutte le ore del giorno) dalla comunicazione di massa, sottoposta all’interesse economico che considera la persona come “potenziale acquirente” e non come Uomo. Un apprendere stili di vita e conseguenti riferimenti socio-culturali che non necessitano nessuna fatica mentale: è sufficiente sedersi e guardare, accontentarsi dell’estetica dell’immagine, del sogno di un’esistenza diversa reso possibile dall’identificazione col protagonista del racconto, e, soprattutto, trovarsi nella comoda posizione di “non pensare”.
Ciò che conta, per coloro che gestiscono i “media” e che si preoccupano soprattutto del loro conto in banca, non della qualità della vita del prossimo, è che il “popolo” non si renda conto di questa moderna forma di “colonizzazione”, la quale s’interessa soprattutto dei “cervelli” (non a caso curano soprattutto gli aspetti materiali dell’esistenza: dall’abbigliamento alla vacanza, dalla cura del corpo all’automobile, e via dicendo). Le intelligenze devono assopirsi, distrarsi e lasciarsi coinvolgere in un turbinio di musiche e uno sfavillare di luci, in un’orgia di beni effimeri.
I contenuti mentali, quelli più sensibili alla riflessione e all’assunzione di responsabilità all’interno della società, devono naufragare. Non possono trovare posto (mentale) perché (sarà pure un caso ma...) le menti attive conducono alla scoperta e al risveglio della spiritualità.
Ecco allora, in tutta la sua evidenza, la ragione del richiamo accorato della Chiesa sui media e la Sua richiesta di una maggiore attenzione (e per conseguenza preparazione) verso queste nuove forme di comunicazione sociale, che, di fatto, applicano un nuovo linguaggio, apparentemente noto ma sostanzialmente sconosciuto.
Ecco la Sua preoccupazione per l’integrità morale e culturale della Persona, intesa come soggetto unico e irripetibile.
Quest’aspetto della particolarità di ogni soggetto umano, che la Chiesa considera insito in ogni generazione, è irrinunciabile perché indispensabile per la dignità umana, non solo per ragioni di fede ma anche per motivi sociali. È davvero inopportuno, oltre che deleterio, accettare la trasformazione della specificità umana: da Persona unica e irripetibile a individuo indistinguibile nella massa.
In che modo i massmedia agiscono nel processo di massificazione dei cervelli? E com’è possibile proteggersi da questa subdola subordinazione mentale? Proviamo a dare una risposta.
Il termine “massmedia” è un’abbreviazione dell’espressione inglese “mass communication media” (mezzi di comunicazione di massa), chiamati così perché i messaggi trasmessi con il giornale a larga diffusione, via radio o con il cinema e la televisione, raggiungono la “massa” della gente, cioè fanno conoscere alla moltitudine delle persone, superando le barriere del tempo e dello spazio, quanto loro viene comunicato in modo “uniforme”; in altri termini, tutti leggono, sentono, vedono lo stesso articolo, lo stesso programma radiofonico, lo stesso film o spettacolo televisivo (incluso il sistema integrato introdotto ultimamente dal computer via Internet), senza che tra il “comunicante” (autore di quella informazione) e il “recettore” (destinatario della comunicazione) si interponga un “mediatore etico/sociale”, come avviene, per esempio, nell’interpretazione sociale di un evento locale, la cui dinamica comunicativa si sviluppa, nell’espressione orale dei componenti di quella comunità, come “filtro” tra il fatto accaduto (a volte dirompente) e il recupero dei “valori morali” comuni, messi a rischio dalla vicenda di cui si parla.
Le caratteristiche essenziali che specificano i massmedia sono due:
2) l’uso del linguaggio dell’immagine (tecnica): visiva, sonora, audiovisiva.
La caratteristica della “diffusione in contemporanea” dei media è cosa ben nota a tutti per cui tralasciamo di parlarne. Diciamo, però, qualcosa sul “linguaggio dell’immagine”. Non sono pochi coloro che non sono ancora a conoscenza della sua reale valenza formativa, del suo modo di incidere (concettualmente) negli apprendimenti e, per conseguenza, della sua capacità di incidere sul cambiamento della stessa “comunicazione orale”. La sua “struttura informativa” sta imponendo, fra le altre cose, un ritmo incalzante al cambiamento delle relazioni sociali e dei valori morali finora conosciuti, compresa la secolarizzazione dei sentimenti e l’impoverimento della sensibilità e della spiritualità.
Il “nuovo linguaggio”, derivato dall’immagine tecnica, utilizzato dai mezzi di comunicazione di massa, è, contemporaneamente, “rappresentazione” (della cosa utilizzata per comunicare) ed “espressione” (del contenuto mentale dell’autore della comunicazione).
- come significazione immediata, colta in modo cosciente da tutte le persone (adulti e bambini) in quanto fa riferimento al significato più diretto espresso dalle parole intese come significanti di significati ben precisi;
- come significazione mediata, colta solo in parte dai fruitori, in quanto esige una maggiore attenzione della precedente significazione; essa richiede la messa in relazione del contenuto semantico con le modalità d’uso di quella struttura comunicativa –lo scopo della comunicazione-;
- come comunicazione profonda, colta a livello cosciente solo da chi effettua la “lettura dell’immagine”, la quale rivela la reale esistenzialità dell’autore del segno comunicativo.
È quest’ultimo livello comunicativo, celato da (e mescolato con) gli altri due livelli precedenti, che, se non viene colto in modo palese nel suo significato più profondo, penetra in noi come “fondo mentale”, privo della nostra “mediazione razionale”, e si deposita nella nostra coscienza in “modo inavvertito”, come se appartenesse al nostro vissuto, incidendo nel nostro bagaglio esistenziale, e, così, sedimentandosi nella nostra coscienza insieme a tutte le altre “comunicazioni inavvertite” assimilate nel tempo, forma, proprio grazie al nostro modo di “godere” i media, le “idee allo stato di opinione” che noi crediamo nostre (e per questo siamo pronti a difenderle), ma che nostre non sono. Esse appartengono alla mentalità di altri che ce le hanno trasmesse a nostra insaputa, facendoci sorridere nel propinarci certi tipi di spettacolo, favorendo in questo modo la nostra accoglienza alle loro idee, o, ancora più subdolamente, assecondandoci con programmi pseudoculturali inerenti certe nostre richieste di chiarimenti circa determinate esigenze.
Il semplice motivo di essere stati trasmessi alla televisione, o pubblicati da un giornale, ha fatto loro assumere quel “concetto di importanza”, riconosciuto da molti (alonatura di notorietà e fama), indipendentemente dal fatto che, come avvenimento in sé, “importante” lo sia davvero. In ogni caso, anche andando oltre la valutazione critica del suo contenuto, resta, nel recettore, il parametro mediatico di valore, sia per il modo come la notizia è stata trattata, sia per il semplice fatto di essere stata oggetto di pubblicazione. Nel bene o nel male, quest’elemento d’induzione al “concetto d’importanza”, se non viene colto nella lettura del messaggio, filtra oltre le maglie della nostra attenzione cosciente e costituisce, a lungo andare, il tessuto del mutamento sociale e dell’effetto massificante di cui parliamo.
Il condizionamento mentale, cui è sottoposta la “massa della gente”, derivato dalla semiologia dei media, è la causa dell’impoverimento culturale, sociale e morale del nostro tempo. La massa delle persone –secondo comune definizione di alcuni psicologi e sociologi, quali Musatti, Ferrarotti, Moles, Bruner, ecc., è una moltitudine caratterizzata da un denominatore comune di natura interiore. Il denominatore comune che caratterizza, interiormente, gli individui può essere di vario genere: etnografico (la massa degli uomini di colore), geografico (la massa degli europei), politico (la massa degli aderenti ad un determinato partito), categoriale (la massa degli studenti) e via dicendo. Il denominatore comune della massa dei mass media, invece, è di natura cognitiva, vale a dire, la massa di coloro che agisce allo stesso modo sulla base della medesima mentalità. Va da se che i media, per la caratteristica che conosciamo, e come riferito da diversi semiologi, McLuhan, Eco, Wright ed altri ancora, non sono destinati alla massa bensì fanno massa.
La mentalità acquisita dai media è un complesso di idee che esistono in noi allo stato di opinione, entrate nel nostro bagaglio esperenziale in virtù dell’abitudine a servirci delle comunicazioni di massa in modo superficiale, anzi, dando loro l’importanza di essere dei “portatori di verità”, anche quando trattano argomenti in cui la spettacolarizzazione mal si addice al contenuto. Il loro caratteristico linguaggio, con la ripetizione di schemi iconici consolidati, crea assuefazione e abitudine a ricevere (e desiderare) sempre quel determinato tipo di comunicazione; così in assoluta libertà (o credendola tale), accogliamo l’idea esistenziale dell’autore del messaggio massmediale senza alcuna protesta, ed essa si deposita realmente in noi e in noi si sedimenta come se fosse frutto del nostro modo di essere e non quello mediato da altri.
Un aspetto rilevante della mentalità imposta dai media, e che noi seguiamo come cuccioli legati al guinzaglio, consiste nell’esserci abituati a rilevare i valori delle “cose” dai fattori “spettacolari” della loro presentazione, piuttosto che dai reali contenuti del messaggio trasmesso. Per es. l’acquisto di un prodotto per i “buoni punto” che offre, e non per la qualità intrinseca del prodotto stesso (dimenticando che, anche quando il prodotto è di qualità, il gioco dei punti-regalo ripaga abbondantemente il dono messo a disposizione).
Lo stesso vale per determinati comportamenti affettivi verso i quali non pochi giovani sembrano aver perso il senso della riservatezza.
L’intimità (uscita di senno) è resa pubblica nelle piazze e nelle vie (come avviene in alcuni rotocalchi). Sempre più spesso ci si trova di fronte a coppie di giovani in tenero intrattenimento. Non che il volersi bene sia qualcosa di sbagliato, anzi... è che questo modo di intendere il volersi bene, con effusioni pubbliche, è più il risultato di un’imitazione (valore estrinseco) di situazioni apprese mediante la fruizione di spettacoli (che hanno favorito anche quest’aspetto di mentalità secolare), piuttosto che dal significato profondo dell’amore (valore intrinseco), perché questo tipo di sentimento (come valore in sé) riguarda “solo” le due persone che reciprocamente provano questo affetto profondo (delicato e riservato insieme), soprattutto nel momento della sua nascita (corteggiamento), e solo successivamente, nella certezza dell’amore che li unisce, teso ad “aprirsi al mondo”, non con le effusioni pubbliche ma col frutto maturo della sua naturale crescita seguendo l’ordine dei valori: matrimonio e figli.
Purtroppo, oggi, si osserva sempre più che l’umanità contemporanea sta diventando “massa condizionata dai media”. Troppo spesso si ha la consapevolezza di trovarci di fronte ad una “moltitudine di persone che hanno smarrito la propria razionalità”.
Per nostra fortuna, la persona, come atto innato, conserva la sua “radice di libertà ed autonomia” che la rende indipendente e diversa dalle altre, e questa “indipendenza” e “diversità” di natura trascendente, mai annullata nella sua essenza più profonda nonostante i continui attacchi dell’immanenza (e, quindi, sempre recuperabile, anche se necessita di lunghi periodi di riflessione e studio), rende l’uomo “soggetto” della propria esistenza e “oggetto” di relazioni, per cui, questo suo essere soggetto e oggetto contemporaneamente lo responsabilizza e, quando disperde questo dono della Creazione, lo inquieta spingendolo alla ricerca del “vero”.
Che poi l’uomo eserciti o meno, e fino a quale livello eserciti, il proprio “libero arbitrio” è una faccenda che rientra nella sfera della sua libertà. Ciò che conta, però, è che egli, in potenza, è una persona “realmente libera” e che la sua “schiavitù mentale” è solo un atto di “pigrizia”, dovuto all’assunzione di una “mentalità” difforme dalla propria, a causa della mancata applicazione del “raziocinio” nella fruizione della comunicazione massmediale, e anche, a dir il vero, per la mancata conoscenza del “nuovo linguaggio delle immagini”, che è necessario conoscere ed apprendere così come, nei primi anni di scolarizzazione, si impara a leggere e scrivere secondo il proprio codice linguistico.
Tutto ciò significa che la procedura massificante dei media non è né deterministica né irreversibile. Attraverso l’acquisizione di “conoscenze idonee” ai nuovi sistemi comunicativi è possibile intervenire e “aiutare” la corretta formazione dell’uomo, giovane o adulto che sia. Non è un caso, infatti, che il Cardinale Martini, con la sua lettera, ci abbia ricordato che se si è «chiamati ad essere uomini» è necessario rispondere da uomini, in pratica, come suggerisce Padre Taddei, «andare oltre lo stereotipo della “televisione finestra sul mondo”», perché si è portati ad agire mentalmente come si agisce fisicamente con le finestre vere: affacciarsi e stare a guardare... e non lasciarsi coinvolgere. Così facendo (nella quiete del disinteresse sociale) l’insegnamento cristiano “ama il prossimo tuo” lentamente si trasforma in “perché lo devo amare?”. Per amare il nostro prossimo, o meglio, per riuscire a capire il nostro prossimo (e quindi amarlo), nella comunicazione sociale è necessario reagire con percorsi di formazione, scientificamente validi e rispondenti alle esigenze dell’epoca contemporanea.
Se, noi adulti, per un attimo ci fermiamo a pensare alla nostra infanzia ci rendiamo immediatamente conto dell’enorme differenza creatasi fra il nostro modo di stare con gli altri e il modo di proporsi, nelle relazioni interpersonali, dei nostri figli. Non si tratta di eccesso di confidenza, e di semplice permessivismo, oppure di mancanza di rispetto nei confronti del prossimo (anche se qualche volta i ragazzi in questo eccedono). È qualcosa di più profondo. È avvenuto che il passaggio dalla società industriale a quella post-industriale ha provocato le conseguenze che oggi noi osserviamo ai diversi livelli della struttura sociale: dalla prevalente produzione di merci si è passati alla produzione di servizi; dal lavoro che obbligava l’uomo ad un rapporto con la macchina, al lavoro che lo mette in relazione con la macchina e, tramite questa, con gli altri esseri umani. In questo rapporto l’influenza dei massmedia ha assunto forme e contenuti impensabili fino a poco tempo fa: la spettacolarità e il far mostra di sé ha sostituito il capire gli avvenimenti e l’agire.
In questi primi anni del 2000 abbiamo avuto un prodigioso sviluppo della “comunicazione visiva” interessando tutti gli strati sociali. Il linguaggio interpersonale è divenuto più rapido, più frammentato e strettamente dipendente da frasi fatte e luoghi comuni, diffusi da spot ed altri programmi popolar-culturali. Le cose accadono e si raccontano con l’elementare casualità del quotidiano. Il sapere non è che un flusso di immagini, spesso prive di rapporti logici.
L’essere a conoscenza dei fatti del giorno mediante la continua fruizione del telegiornale, del quotidiano, della navigazione via internet o con l’uso del videocellulare, se non ci si ferma a riflettere sulla cosa conosciuta, non significa apprendere bensì semplicemente assistere ad una serie di immagini che forniscono informazioni contrapposte. Di tutto ciò non si ricordano che frammenti. Si crede di conoscere mentre in realtà non si è appreso nulla. Non abbiamo imparato perché, a dirla con le parole del sociologo Francesco Alberoni: “per imparare qualcosa occorre collocare le esperienze vissute in un sistema di apprendimento; è necessario ordinare le conoscenze acquisite col metodo della classificazione” (11).
Purtroppo la sconsiderata fruizione delle immagini non soltanto non offre questo metodo ma impedisce di costruirselo. Il modo di proporsi dei media audiovisivi non consente di ritornare al già visto, di riflettere su quanto ascoltato, di verificare l’autenticità dei fatti osservati. La loro comunicazione si effettua mediante lo scorrere delle immagini e questo comporta un approccio informativo poco razionale e spesso carente, sia per il contenuto emotivo, sempre presente nel programma messo in onda, sia per la natura stessa delle immagini, in quanto ottenute per mezzo di macchine tecniche, fatte a posta per riprendere, guidate dall’uomo per rappresentare la realtà da un particolare angolo di ripresa... con effetti suggestivi e in grado di modificare la verità dell’avvenimento anche se ripreso in “diretta”.
L’immagine, pertanto, per la natura della sua capacità riproduttiva si colloca all’opposto del pensiero logico il quale esige un atteggiamento razionale finalizzato alla corretta espressione concettuale, scritta o parlata che sia.
L’immediato futuro (per non parlare del presente) necessita di una “figura educativa” impegnata quotidianamente ad ingaggiare una difficile battaglia, non tanto contro il mezzo televisivo (o altro massmedia), perché come strumento tecnico è meraviglioso, quanto contro gli effetti formativi che derivano dal suo modo di comunicare.
“Un tempo, non molto lontano, ci ricorda il semiologo Umberto Eco, i docenti e gli educatori erano in prima linea impegnati contro i miti, i pregiudizi, le abitudini scorrette; poi, lentamente, sono stati retrocessi dall’incalzare dei nuovi sistemi informativi (considerati come educatori e amici elettronici) più accattivanti del libro e dell’esercizio scritto” (12). Oggi, di fronte allo sfacelo prodotto da questo folle uso dei media, i docenti, i catechisti, gli adulti responsabili, devono riacquistare le loro posizioni di “avanguardia” incaricata a trasmettere conoscenze solide e, con esse, i valori etici riconosciuti. Probabilmente, oggi, la battaglia è più difficile di ieri perché il bambino contemporaneo, data la facilità con cui è abituato ad ottenere le cose, si dedica soprattutto a ciò che è semplice, che lo diverte... ed il mezzo televisivo (computer e videogiochi) contengono in sé le caratteristiche indicate.
In questo modo ciò che si ottiene (come conseguenza formativa) è la frammentazione del sapere, la debolezza delle conoscenze e la difficoltà ad organizzarsi autonomamente. In altre parole, è come se si trovasse sempre di fronte ad un video-game: un agire senza riflettere sul contesto sociale, come fa il turista superficiale e godereccio che visita le città d’arte solo perché ne ha sentito parlare, o per far sapere che “anche lui” è stato in quella località, ma per tutto il tempo della visita si è preoccupato più delle vetrine illuminate e delle trattorie fuori porta che dei monumenti e della sua storia. Quest’uso superficiale della mente, osserva Marchal McLuhan, comporta “una mentalità frammentaria, disordinata e finisce con l’atrofizzare il pensiero logico e la potenzialità mnemonica” (13).
Data la situazione rilevata, è possibile che l’educatore di questo millennio sia costretto a contrapporsi frontalmente contro la tendenza alla facilità della soluzione dei problemi della vita e al disordine mentale, oltre che al farsi carico del recupero dei valori sociali insieme a quelli culturali e morali (cosa che, in qualche maniera, anche se in modo non ancora del tutto organico, già avviene nei vari progetti formativi sulla salute, l’intercultura, l’educazione stradale, ecc., dettati dal Ministero dell’Istruzione –anche se privi di monitoraggio territoriale e conseguente formazione dei docenti).
L’insegnante (e non solo lui) a qualsiasi livello operi, da “esperto didatta dell’immagine con l’immagine”, come suggerisce il Massmediologo Nazareno Taddei, dovrà introdursi fra la Tv e il bambino per obbligare quest’ultimo a riconsiderare se stesso in rapporto alle cose e agli altri”(14). Dovrà obbligare (sia pur senza coercizione) l’alunno a saper scegliere, distinguere, ricordare e ripetere il proprio vissuto. Dovrà insegnargli a non abbandonarsi passivamente, ad esercitare coscientemente la propria volontà e a sviluppare il proprio pensiero. “Il pensiero, ci ricorda Karl Popper, è un frutto razionale, un prodotto della volontà che deve procedere secondo un percorso logico, ovvero attraverso la discriminazione dei fatti e degli eventi” (15).
L’insegnate post-moderno dovrà imparare ad insegnare utilizzando le immagini, trasformandone il loro flusso. Dovrà adoperarsi per aiutare l’allievo a cogliere l’aspetto spettacolare anche quando le immagini trattano argomenti scientifici. Si tratta, in definitiva, di progettare un itinerario di analisi semiologica, in relazione allo specifico del linguaggio iconico e in rapporto al programma visionato, in modo da abituare l’allievo ad organizzare la conoscenza del messaggio con le immagini facendo uso della “lettura delle immagini”, finalizzata all’individuazione di contenuti coerenti ed utilizzabili e scientificamente corretti nelle scelte esistenziali oltre che nello sviluppo del pensiero razionale (16).
Date le condizioni attuali, non è un compito facile. È prevedibile la ribellione dell’alunno che trova noiosa e costrittiva qualsiasi strategia didattica che gli richiede impegno. Si ribella perché se per un verso non gli è facile abbandonare l’abitudine delle conoscenza facilitate e comode (anche se incomplete e confuse), per l’altro perché in questa sua protesta trova spesso degli alleati: non solo i ragazzi della sua età ma anche i genitori che, sempre più, si dimostrano propensi ad accettare il “credo” degli spot piuttosto che curare la formazione dei propri figli. C’è più interesse al prodotto, da consumare in fretta, che preoccuparsi dei problemi della vita.
“L’edonismo oggettuale” sopravanza l’“essere”. In ossequio alla “società dei consumi” l’imperativo sociale diviene sempre più “sembrare” (o apparire) diversi da ciò che in realtà siamo.
Una quota di responsabilità in questo mutamento formativo ricade su alcune scelte di politica scolastica: l’abolizione degli esami di riparazione (a settembre) ha provocato (per il modo con cui è stata concepita) un “diritto di passaggio” alla classe successiva; un “dovuto” per ragioni di “democrazia”(!) e come metodo per combattere la “mortalità scolastica”. I problemi da risolvere nella preparazione degli alunni sono altri e di ben diversa levatura. Oggi si rende omaggio all’“ignoranza culturale” e chi osa opporsi è chiamato, dai genitori degli studenti, di fronte al giudice.
Nell’affidare i propri figli all’istruzione scolastica, questo “genere” di genitori pretende (perché sopportati da politici irresponsabili) non solo che la scuola si prodighi ad istruirli alla vita (ma secondo il cliché dei media, basati su “beni materiali”, e non su una “preparazione per la vita” sulla base di valori umani che si collocano oltre il contingente), bensì, ed anche, esige il proseguo educativo del loro modo di pensare in funzione individuale (imparare ad essere più scaltro del prossimo) e non sociale (favorire l’inserimento dei più deboli). In questo modo, apparentemente alleati dei figli, guidati dal sentimentalismo (e non dal sentimento), ma in realtà privi di amore profondo (perché l’amore vero richiede qualche sacrificio in previsione del futuro e non del semplice avere quotidiano), accusano gli insegnanti impegnati sull’effettivo recupero sociale e morale, attraverso il consolidamento dei saperi essenziali, di “nozionismo culturale e scarsa democraticità”.
In questo modo la “strada” per la “disgregazione della società” è ormai tracciata.
Se questa cultura massmediale, oggi in fase di consolidamento, trova ancora humus nella mentalità delle persone possiamo ben affermare che l’attività docente è definitivamente compromessa. Per evitare che ciò avvenga e nell’interesse delle nuove generazioni, cui è demandato il futuro amministrativo del nostro territorio (Città, Regione, Stato, nel quadro di un contesto sempre più internazionalizzato), è necessario, fin d’ora, incidere con maggiore vigore nella “Formazione della Persona” che non può più prescindere dall’applicazione, a tutto campo, della “cultura dell’immagine” massmediale.
NOTE E BIBLIOGRAFIA
1) Sulle disposizioni della Chiesa sulla Comunicazione Sociale e la Sua Missione si vedano. INTER MIRIFICA –Decreto conciliare sugli strumenti di comunicazione sociale- Edizioni Paoline; COMMUNIO ET PROGRESSIO –Istruzione pastorale sulla comunicazione sociale- Edizioni Paoline; IL DOVERE PASTORALE DELLA COMUNICAZIONE SOCIALE –Nota della commissione della CEI a vent’anni dal decreto conciliare “Inter Mirifica”- Edizioni Paoline; CRITERI DI COLLABORAZIONE ECUMENICA ED INTERRELIGIOSA NEL CAMPO DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI –Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali- Edizioni Paoline; AETATIS NOVAE –Istruzione pastorale sulle comunicazioni sociali nel 20 anniversario della “Communio et Progressio”- Edizioni Paoline; in modo particolare, la lettera di Giovanni Paolo II, REDEMPTORIS MISSIO, in riferimento alla validità del mandato missionario- Edizioni Paoline.
2) NAZARENO TADDEI, “Mass Media e Famiglia”, in “Documenti” anno IV, n. 22/23, CISF- Centro Internazionale Studi Famiglia, Soc. S. Paolo.
3) Sulle “comunicazioni clandestine” si veda: N. TADDEI, “Lettura strutturale della fotografia” edizioni EDAV, Roma, 1984; sugli effetti dei programmi televisivi è interessante leggere il saggio di KARL R. POPPER e JHON CONDRY, “Cattiva Maestra Televisione”, in RESET, 1994, Del saggio non condivido la soluzione da loro proposta, in quanto si limita al controllo del contenuto, ovvero al semplice aspetto concettuale dell’informazione televisiva. Gli autori ignorano gli elementi massmediali dell’immagine tecnica (e quindi la necessità di apprendere il nuovo alfabeto iconico). I dati rilevati dalle ricerche e sperimentazioni finora hanno dimostrato che il recupero cognitivo, inteso come autonomia del pensiero, è reso possibile solo mediante l’uso degli elementi di iconicità propri dell’immagine e non della convenzione linguistica.
4) Per saperne di più, N. TADDEI, “Leggere la disinformazione”, sette articoli pubblicati in “EDAV –Educazione Audiovisiva”, dal n. 245/96 al n. 252/97, rivista mensile, edizioni Edav-CiSCS, Roma. Sul comportamento delle persone di fronte ai massmedia, UMBERTO ECO, “La cultura di massa e livelli di cultura” in “Apocalittici ed integrati”, edizioni Bombiani, Mi.1973;
5) N. TADDEI, “Lettura strutturale della fotografia”, op. cit.; U. ECO, “Segno”, edizioni Isedi, Mi.1978; DOMENICO VOLPI, “Didattica dei fumetti –tecniche per una scuola nuova”, edizioni La Scuola, Br.1977; CHARLES R. WRIGHT, “La comunicazione di massa –prospettiva sociologica”, edizioni Armando, Roma, 1976.
6) Sugli effetti del gioco delle immagini sul pensiero logico, BEN GRADUS, “La pubblicità televisiva”, edizioni Gremese, Roma,1992; BERNARD WILKIE, “Effetti Speciali –per il cinema e la televisione”, edizioni Gremese, Roma, 1982.
7) PAPA GIOVANNI PAOLO II, “Redemptoris Missio”, enciclica –art. 37.
8) LUIGI ZAFFAGNINI, “metodologia didattica e mentalità massmediale”, articolo sul mensile “EDAV- Educazione Audiovisiva” n. 249/97, edizioni Edav-CiSCS, Roma, pgg.10/13; AA.VV –a cura di N. TADDEI, “Scuola 2000: insegnare con l’immagine –una metodologia”, atti di Convegno- Monastero di S. Croce –Bocca di Magra (SP) 12-13 dicembre 1992, edizioni Edav-CiSCS, Roma, 1994.
9) La ripartizione della civiltà dell’uomo, dalle sue origini fino ai nostri giorni, segue la traccia dello sviluppo delle comunicazioni sociali e ha, come riferimento di mutamento relazionale, le scoperte che maggiormente hanno inciso nel sistema informativo. Per approfondire l’argomento si consiglia: GIORGIO FANO, “Saggio sulle origini del linguaggio”, edizioni Einaui, Mi. 1962; MARSHALL McLUHAN, “Gli strumenti del comunicare”, edizioni Il Saggiatore, Mi. 1967; MASSIMO BALDINI, “Storia della comunicazione”, edizioni Newton, Roma, 1995; JEAN-NOEL JEANNENEY, “Storia dei media”, Editori Riuniti, Roma, 1996.
10) NAZARENO TADDEI, “L’avventura semiologica del film”, edizioni CiSCS- Roma, 1978; sul cinema, come sistema di comunicazione, si consigliano alcuni testo datati ma significativi: PIO BALDELLI – EVELINA TARRONI, “Educazione e cinema”, edizioni Loescher, To. 1974; AA.VV., “Il cinema: arte e industria”, edizioni De Agostini, No. 1976; MUCCHI FAINA, “L’influenza sociale”, edizioni Il Mulino, Bo. 1995.
11) FRANCESCO ALBERONI, “Consumi e società”, edizioni Il Mulino, Bo. 1984.
12) UMBERTO ECO, “Segno”, op. cit.
13) MARSHALL McLUHAN, “La gallassia Gutemberg. Nascita dell’uomo tipografico”, edizioni Armando, Roma, 1984.
14) NAZARENO TADDEI, “Cinema, culture e religioni –il cinema come strumento di conoscenza interculturale”, edizione Edav, Roma, 2002.
15) KARL R. POPPER, “Congetture e confutazioni”, edizioni, Il Mulino, Bo. 1972.
16) Cfr. LEV S. VYGOTSKIJ, “Pensiero e linguaggio”, edizioni Laterza, Ba. 1992; GABRIELLA DI RAIMONDO-GIANI, “Comunicazione e linguaggi”, edizioni Le Monnier. Fi.1983; WALTER MORO, “Didattica della comunicazione visiva”, edizioni Nuova Italia, Fi. 1985; FINO GHISELLI, “Didattica del lessico e del significato”, edizioni La Scuola, Br. 1985.