LA VIA LATTEA
Regia: LUIS BUNUEL
Lettura del film di: Nazareno Taddei sj
Titolo del film: LA VIA LATTEA
Titolo originale: LA VOIE LACTEE
Cast: REG. Luis Buñuel- SOGG. e SCENEGG. Luis Buñuel, Jean Claude Carrière - FOTOGR. ( Eastmacolor): Christian Matras - SCENOGR. Pierre Guffroy - MONT. Louisette Hautecoeur - MUS. Luis Buñuel - INTERPR. Paul Frankeur (Pierre), Laurent Terzieff (Jean), Alain Cuny (l’uomo col mantello), Edith Scob (la Vergine Maria), Bernard Verley (Gesú Cristo), François Maistre (il curato francese), Claude Cerval (il brigadiere), Muni (la superiora) - PROD. Serge Silberman per la Greenwich Film Production S.A. (Paris) e la Fraia Film (Roma) - ORIG. Francia-Italia, 1969 - DURATA 98' - DISTR. italiana: Medusa.
Sceneggiatura: LUIS BUNUEL
Nazione: FRANCIA-ITALIA
Anno: 1969
Chiavi tematiche: chiesa, amore, angoscia, spiritualità, fede
da Nazareno Taddei, 10 Film da rivedere, 1995, ed. CiSCS, Roma; La Chiesa contestata, CiSCS, 1969; «Note Schedario», 28.2.69
• «La Via Lattea è un soggetto originale ma ci siamo impegnati in un enorme lavoro di documentazione. Non sapevamo dove saremmo arrivati. All’inizio c’era solo la parola eresia. Abbiamo cominciato a leggere, a cianciare, a mettere a punto delle idee a destra e a sinistra, idee il piú delle volte assurde, senza dubbio. Ci siamo serviti di opere di teologi, tra l’altro una pubblicazione molto famosa del XIX secolo, 1'Encyclopédie Ecclésiastique (…). Abbiamo anche letto molto dei teologi moderni che hanno scritto sulle eresie del Medio Evo, degli Spagnoli soprattutto. Le eresie, è bene che si sappia, derivano tutte dalla nozione di mistero. Cosí ho fatto molte schede su ciascuno di questi misteri (…). Ho proceduto cosí: 1) il dogma; 2) le difficoltà che questo dogma solleva, donde le eresie. (…) Per quanto riguarda il Cristo e la Vergine, Buñuel voleva darne un’immagine tradizionale. Egli ha deliberatamente ignorato le innovazioni pittoriche per conservare l’immagine biblica. Dare un quadro voleva dire cambiarlo. La Vergine è altrettanto tradizionale nel vestire. (…)» (Jean-Claude Carrière in «Positif», Paris, 1969, 103, pp. 18-20)
• «Abbiamo conservato alcuni testi mistici in latino del IV secolo, ormai decadente. Molte scene naturalmente sono state inventate, ma tutte le citazioni sono autentiche. Le frasi pronunciate dal giansenista sono di Giansenio, quelle del gesuita sono espunte da alcune opere di teologia del XVII secolo. (…) La Via Lattea corre il rischio di essere un film profetico. Un grande scisma, in effetti, si sta preparando in seno alla Chiesa cattolica.» (id. in «Cinema 60», 1968) 70, p. 2)
• «Allo stesso modo in cui Bella di giorno era un film di erotismo sotterraneo, La Via Lattea sarà un film obiettivo sulle religioni e le eresie, fatto da un agnostico. Sarà anche un film picaresco. Voglio qualcosa di naturale, senza tracce di scherno. Sarà assurdo se confrontato con ciò che si vede abitualmente. (…) Sono un ateo convinto, ma mi piace seminare confusione negli animi… Soltanto la costruzione del film avrà una sua logica, ma l’insieme dovrà dare una impressione d’incoerenza. (…) Il mio Cristo non è ben visto dai curati che in genere lo vogliono moderno. Secondo me, il Cristo è un personaggio di cattivo umore e un po’ perfido. (…) Con questo film verrete a conoscenza di molte cose sulla religione. (…) Vi insegnerò a bestemmiare come si deve.» (Luis Buñuel in «Positif», Paris, 1969, 103, pp. 14-15)
di Maurizio Negri in La Chiesa contestata, CiSCS, 1969, pag. 31
• Buñuel pensava alla realizzazione di questo film da circa venti anni.
• «Via Lattea» è chiamato l’immaginario percorso dei numerosi pellegrini che ogni anno si recano al Santuario di Santiago de Compostella.
• Alla stesura del soggetto e della sceneggiatura del film ha collaborato Jean-Claude Carrière, che già aveva lavorato con Buñuel per Le journal d’une femme de chambre (1963/64) e Belle de jour (1966/67).
di Nazareno Taddei sj in «Note Schedario», 28.2.69, all’uscita del film in Italia
È un grido spregiudicato e terribile a momenti sbarazzino ma pieno di amore e di angoscia
L’«ateo», il «blasfemo» Buñuel non ce la fa piú a tenere in corpo il suo odio-amore per la Chiesa, a non urlare quella fede in Dio, in Cristo, nella Vergine che sempre a stento è riuscito a nascondere sotto una dichiarata maschera di ateismo. (Si ricordi ch’è lui che disse un giorno: «Io, per grazia di Dio, sono ateo.»)
Dal Cristo bambino che - solo, triste, al margine d’una strada solcata di automobili - chiede l’autostop per i due poveri pellegrini; fino al Cristo del finale che, dopo aver ridato la vista ai due ciechi, propone il fulcro della sua dottrina: «Non sono venuto a portare la pace, ma la spada (…) chi non prende la sua croce e mi segue, non è degno di me.» (Matteo, 10, 34-38, integralmente riportato); e di fatto uno dei ciechi non riuscirà a seguirlo per un piccolissimo fossato che deve superare ; dalla Vergine che a Nazareth impasta il pane e chiede a Gesú di non radersi perché la barba gli sta bene, fino alla Vergine che appare restituendo il Rosario al seguace di satana che l’aveva distrutto con una fucilata; c’è tutto un filone di ricostruzione evangelica - semplice, rispettoso e spontaneo; ancor meno sofisticato del Cristo di Pasolini - in cui Cristo appare veramente uomo e veramente Dio. Questo filone si contrappone (e dà significazione) all’altro in cui invece il Cristo è visto attraverso le diatribe teologiche: inutili (il giansenista e il gesuita) o senza carità (il maître del ristorante di lusso) o crudeli e piene di falsità (l’inquisitore) o fonte di sottile superbia (il prete scappato dal manicomio) od origine di pura follia (la suora crocifissa e il rogo del cadavere del vescovo ritenuto eretico dal suo successore).
Danno rilievo a questo contrasto gli episodi relativi ai nemici della Chiesa: un ateo tiene sadicamente incatenata e torturata una fanciulla per convincerla a seguirlo nel suo ateismo; ma al di sopra delle sue bestemmie domina purissima e bellissima la voce di lei che grida l’esistenza di Dio; l’eretico Priscilliano, rieletto vescovo di Avila dall’imperatore, dichiara eretico il Papa di Roma e propone e benedice una dottrina origine di nefandezze.
Si inserisce nel contesto di questi due filoni l’episodio del parroco di campagna che — tutt’altro che insensibile alle piccole soddisfazioni della vita (una fettina di buon prosciutto e un uditorio che penda dalle sue labbra ecc.) — narra il miracolo della Madonna al giovanotto del Rosario e lo va a visitare la notte per continuare la sua predicazione. L’agire di questo prete è certamente ortodosso, ma velato di moralismo e in esso c’è forse piú la routine del mestiere che una pensosa convinzione.
Il film è infarcito di richiami scritturistici autentici e autenticamente interpretati (notevolissima la sequenza delle nozze di Cana). È una specie di rassegna — sul filo del viaggio dei due viandanti dalla Francia a S. Giacomo di Compostella — di storia della Chiesa, per mostrare le «piaghe» di cui s’è macchiato terrenamente il Corpo mistico.
Vorrei dire ch’è una specie di grido, che Buñuel fa in difesa della Chiesa autentica, cosí avvilita sotto quelle piaghe (gli episodigià citati), cosí trascurabile se si guarda ad esse (i due figli della prostituta), cosí trascurata oggi nella sua autenticità (la scena delle scolarette che cantano anatemi, mentre gli anarchici s’avviano a fucilare il Papa e scene di contestazione… post-conciliare: il rifiuto della devozione alla Madonna, del pensiero dell’inferno, il formalismo del dogmatismo e del antidogmatismo, ecc.), eppure ancora cosí desiderata (tra l’altro, il giovane e la ragazza nella camera d’albergo col parroco che sta davanti a loro nello stesso tempo in cui è tenuto fuori dalla porta), direi cosí necessaria proprio in questo tempo di progresso e di tecnicismo (le parole dell’uomo, compagno di camera del secondo giovane, nell’albergo).
È un grido - se si vuole - spregiudicato e terribile, a momenti sbarazzino, ma pieno di amore e di angoscia. Mai Buñuel aveva gettato cosí palesemente la maschera non dico dell’ateismo ma del figlio ribelle. Il suo spirito è nel grido della fanciulla seviziata, nelle lacrime del giovanotto del Rosario, nel tono «da tutti i giorni» del Cristo scherzoso e, al momento buono, terribilmente serio delle nozze di Cana o del finale. La sua condanna è per chi copre di orpelli d’egoismo e di superbia il mistero di Cristo e della Chiesa.
Il film non è di facile lettura. Chi non sa leggere, è probabile che attribuisca a Buñuel le idee o le intenzioni o le azioni che egli rappresenta per condannarle o respingerle. Chi è legato alle «piaghe» della Chiesa e non alla Chiesa delle «piaghe» è probabile si senta urtato e offeso. Nemmeno tutti i «contestatori» potranno amare questo film, salace anche con loro.
È uscito in due città italiane, questi giorni, mentre si stanno stampando questi fogli. Parte della critica ha dato l’impressione di essere rimasta sconcertata di fronte a un film che ci si attendeva come il piú blasfemo, mentre è quasi o senza quasi il contrario. Tuttavia resta il problema di aiutare la gente a capirlo, poiché non è facile. Problema tuttavia che non può essere confuso con un giudizio negativo morale del film stesso.
Sul filo narrativo (quasi pretesto) di due pellegrini — Pietro e Giovanni — che vanno dalla Francia a S. Giacomo di Compostella, si snoda una vicenda strana e affascinante, che sorpassa i limiti dello spazio e soprattutto del tempo.
Infatti, i due pellegrini - pur chiaramente impostati in epoca contemporanea — faranno incontri che si riferiscono a ben diverse epoche storiche e a località assai lontane da quelle nelle quali si trovano.
I due pellegrini non fanno la vicenda: la incontrano. Cioè: è come se una vicenda esistesse prima o fuori di loro ed essi vi arrivassero per caso.
Questa vicenda consiste di due filoni principali: quello riferentesi al Cristo storico (lo si vede con la Vergine o con gli apostoli o con gli amici, in alcuni episodi evangelici) e quello riferentesi alle diatribe teologiche, alle realtà ecclesiastiche o umane nate dal e nel cristianesimo.
È dunque interessante per la lettura del film vedere come si inseriscano i due pellegrini e che significazione essi assumano in quel contesto narrativo.
Si può notare anzitutto che la loro vicenda personale (il viaggio verso Compostella) assume una certa forza autonoma soprattutto per alcuni incontri con esseri chiaramente emblematici.
Il primo è quello dell’inizio. Un signore - difficile identificarlo, ma è una specie di diavolo profetico, forse una proiezione autobiografica di Buñuel stesso - li ferma per strada; con parole bibliche (cfr.Osea) tra l’altro li esorta a cercarsi una prostituta e ad avere due figli da lei, cui suggerisce di porre i nomi «Tu non sei il mio popolo» e «Non più misericordia». Alla fine del film, essi incontreranno a Compostella una prostituta che chiederà loro appunto di darle due figli cui vuol porre quei nomi.
Un secondo incontro è col demonietto che appare loro nell’incidente di macchina e li intrattiene nel discorso sull’inferno.
Un terzo incontro è con i due giovanotti eretici (dei quali uno si convertirà alla visione della Vergine) vestiti come il signore dell’inizio e il diavolo dell’incidente.
Finalmente l’incontro con la città di Campostella, ormai deserta poiché s’è trovato che le ossa di S. Giacomo non erano autentiche e nessuno viene piú in pellegrinaggio.
Chi sono questi due pellegrini?
Se si guardano tutti i collegamenti e soprattutto il fatto che al loro appartarsi con la prostituta segue la scena finale del Cristo che guarisce i due ciechi, si può intravvedere con una certa chiarezza che i due pellegrini emblematizzano il cammino attuale dell’umanità, l’umanità di tutti i giorni, di vario tipo, sostanzialmente buona e malvagia, bisognosa e sufficiente; quell’umanità che va in pellegrinaggio e impreca invocando disgrazia a chi gli rifiuta un passaggio; che cerca di mischiare anche con Dio l’utile al dilettevole.
E quest’umanità incontra sul suo cammino il Cristo e la Chiesa. Il Cristo nella sua concreta realtà umana. Un Cristo biblico che Buñuel ritiene debba essere «un personaggio di malumore e un po’ cattivo», pur nella sua costante dedizione al bene (dal Gesù bambino che chiede spontaneamente l’autostop per i nostri due pur scontrosetto alle loro domande, al Gesù che guarirà i ciechi).
Per la Chiesa, il discorso è piú complesso. Ci sono le eresie, i formalismi, l’inquisizione, le interpretazioni conformi e quelle difformi al genuino spirito di Cristo, le verità importanti e le diatribe sterili e gli sterili appuntamenti teologici, mentre la vita corre e i problemi urgono e il Papa rischia d’essere fucilato dagli anarchici.
Per la Chiesa, c’è anche il pericolo delle innovazioni contestatrici. È questo un punto che pare trasparire con molta chiarezza: p.e. (episodio del Rosario) il pericolo di abbandonare certe pratiche — come appunto la preghiera — sotto la spinta di idee troppo rivoluzionarie o quello di umanizzarsi troppo (episodio del parroco) e quindi di «perdere la spada» della fede.
L’umanità non vuole piú la Chiesa (episodio dell’albergo: non si lascia entrare il parroco) per tema che ne smorzi gli slanci e le aspirazioni; però ha bisogno di essa e la vuol ascoltare (il parroco ch’è inspiegabilmente in camera).
Tutto il film scorre su questo gioco appassionante di splendori e di ombre, di venerazione e di protesta.
Ma il vecchio Buñuel contestatario pare ormai piú preoccupato di difendere la Chiesa che di accusarla. Ora che la Chiesa post-conciliare pare perdere la sua «grinta di rigori» e concedere tutto, Buñuel non trova piú alimento al suo odio e può solo sfogare il suo amore e la sua nostalgia. È lui ora che difende, che impreca contro chi offende (si pensi all’episodio del vescovo eretico, del signorotto che tiene prigioniera la fanciulla, del vescovo che brucia il cadavere del suo predecessore). È lui che denuncia i deviamenti: le diatribe sul Cristo sono inutili (il gesuita e il giansenista) o senza carità (il maître del lussuoso ristorante) o crudeli e ipocrite (l’inquisizione) o fonte di superbia sottile (il prete scappato dal manicomio) od origine di follia pura (la suora che si fa crocefiggere). Ci vuole un rinnovamento (i due figli della prostituta) che parta dalla terra dove s’è scoperta la falsità di certe basi (le ossa false di S. Giacomo); ci vuole una fede che non è scienza (il Rosario e l’albergo), non è solo sentimento o credenza formale (i vari preti, tra l’altro): è fede semplicemente, in una realtà superiore che ti si mostra ma che non puoi vedere e toccare (l’apparizione della Vergine) se non con sensi interiori.
La Via Lattea è quella che fa «il giro completo della sfera celeste» ed è quella che porta al santuario di S. Giacomo di Compostella. Nell’un senso e nell’altro, il titolo è significativo. L’umanità e la Chiesa sono nella Via Lattea. Nel primo senso, si può intravederne il giro nuovo che dovranno compiere per essere «Cristo». Nel secondo senso, dalle ossa riconosciute fasulle dovrà nascere il rinnovamento. (Nazareno Taddei sj)