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SAN MICHELE AVEVA UN GALLO



Regia: Paolo e Vittorio Taviani
Lettura del film di: Franco Sestini
Edav N: 11 - 1973
Titolo del film: SAN MICHELE AVEVA UN GALLO
Titolo originale: SAN MICHELE AVEVA UN GALLO
Cast: regia, soggetto e scenegg. Paolo e Vittorio Taviani – tratto dalla novella «Il divino e l’umano» di Lev Tolstoj – fotogr.: Mario Masini – mus.: Benedetto Ghiglia – mont.: Roberto Perpignani – scenogr.: Gianni Sbarra – cost.: Lina Nerli Taviani – interpr. princ.: Giulio Brogi (Giulio Manieri), Virginia Ciuffini, Marcello Di Martire, Daniele Dublino (il carceriere) – durata: 87’ – colore – produz.: Giuliani G. De Negri per Ager Film e RAI TV – origine: ITALIA, 1972 – distrib.: ARCI, 1976
Sceneggiatura: Paolo e Vittorio Taviani
Nazione: ITALIA
Anno: 1972
Chiavi tematiche: Unità d'Italia pellicole tricolore

Prima dei titoli di testa, vediamo un bambino che, per punizione, viene rinchiuso in un armadio e lì - per darsi coraggio - canta una filastrocca: «S. Michele aveva un gallo, rosso bianco verde e giallo e, per addomesticarlo, gli dava latte e miele».

La vicenda vera e propria comincia subito dopo ed è centrata sulla figura di Giulio Manieri, ricco borghese convertito all'anarchia internazionalista, il quale con un pugno di amici tenta di sollevare la popolazione di un piccolo paese, ma - pur avendo preso prigioniero il sindaco e distribuito il grano a tutti - non riesce nell'intento rivoluzionario per il mancato aiuto della popolazione; e viene arrestato. Condannato a morte, proprio mentre sta per essere fucilato, ottiene la commutazione della pena nel carcere a vita e viene così rinchiuso in cella di segregazione per dieci anni. Allo scopo di mantenere integro il corpo e la mente, il Manieri organizza la sua vita nella cella come se fosse ancora libero (riunioni con i compagni, discussioni, passeggiate, serate all’opera, ecc.). È interessante notare che la cantilena cantata dal bambino prima dei titoli di testa («S. Michele aveva un gallo…») viene usata dal protagonista per dare inizio alle sue fantasticherie.

Uscito dalla segregazione dopo i dieci anni (sano di corpo e di mente), mentre viene condotto ad un altro carcere incontra un gruppo di giovani rivoluzionari, anch’essi detenuti, dai quali apprende che nel frattempo le condizioni sociali e politiche hanno subito delle grosse modifiche e, pertanto, la lotta che questi gruppi sovversivi tentano di condurre nei confronti del sistema si basa ora su metodi scientifici; lui quindi è tagliato fuori dai loro programmi e dai loro… ricordi. Dopo aver appreso questa nuova situazione socio-politica, il Manieri si sdrai sulla prua della barca, sorride e improvvisamente si lascia scivolare in acqua.

Il film presenta una vicenda molto lineare e strutturata in maniera abbastanza precisa, cosicché la significazione del racconto (idea tematica) appare sufficientemente chiara al termine di una attenta lettura dell'opera.

Dal punto di vista del racconto, ci sembra che sia importante legare l'apparizione prima dei titoli di testa - e perciò extra vicenda - del bambino che canta «S. Michele…» con l'attività «di fantasia» che il protagonista - proprio ispirandosi alla stessa cantilena - riesce a porre in opera durante la segregazione. Da ciò deriva già un primo aspetto che caratterizza abbastanza chiaramente il Manieri: l'uso della fantasia che lo accomuna ai vecchi eroi romantici il cui vitalismo è centrato essenzialmente sul potenziale irreale che è dentro di loro.

Sullo stesso filone possiamo collocare il «testamento spirituale» dell'anarchico, dal quale traspare più una coscienza romantica e fantastica che una vera e propria consapevolezza socio-politica.

Con questa precisa caratterizzazione del personaggio possiamo dire che tutto il resto della narrazione sembra in funzione di un discorso descrittivo che, partendo dall’anarchico-individualista, giunge fino ai rivoluzionari scientifici, intendendo però che l’assunto principale dei registi parrebbe essere la descrizione e l’«elogio funebre» del mito dell’eroe romantico che giunge all’impatto con la realtà, la cui scoperta peraltro, lungi dall’insegnargli qualcosa, lo induce unicamente a «levarsi di mezzo» da quella stessa realtà che egli non può comprendere né assimilare.

È da aggiungere che proprio il «modo» con il quale i registi portano avanti la descrizione del protagonista sembrerebbe particolarmente significante: infatti è da considerare che – a livello di racconto – i realizzatori tendono a costruire sul Manieri il «mito»; d’altro canto, la presenza dei rivoluzionari-scientifici al termine del film ha la peculiare funzione di emblematizzare la realtà galoppante che improvvisamente si para dinanzi all’eroe-mito con la conseguenza (narrativa) del suicidio dell’anarchico, la cui significazione peraltro pare da intendersi come una vera e propria continuazione del ruolo che egli si è imposto (eroe fino in fondo, nella buona o cattiva stella).

Per concludere, vale la pena di raccontare come abbiamo visto il film: è stato in occasione di una manifestazione organizzata dalle solite Associazioni più o meno culturali. Alla proiezione è seguito il dibattito con il pubblico, condotto da alcuni noti critici cinematografici italiani. Ebbene, tra le numerose considerazioni (o contestazioni?) da fare, ne diremo soltanto una: da tutti il film è stato «letto» a livello politico, vuoi per smaccati interessi personali, vuoi perché la cosidetta «lettura» non è andata oltre il livello della «cosa rappresentata», soffermandosi cioè sul valore della rivoluzione. A questo punto c'è da essere veramente sgomenti, soprattutto perché il pubblico intervenuto a tale manifestazione è uscito dalla sala assolutamente convinto di quanto egli era stato propinato da… cotanto senno.

da EDAV n. 11, novembre 1973, Franco Sestini, Andrea Cocchi)

 


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