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LO ZINGARO



Regia: José Giovanni
Lettura del film di: Franco Sestini
Edav N: 38 aprile - 1976
Titolo del film: LO ZINGARO
Titolo originale: LO ZINGARO
Cast: Alain Delon, Paul Meurisse, Annie Girardot, Marcel Bozzuffi, Renato Salvatori - produz.: Italia/Francia - colore - lungh.: m. 2790 - VM 14 - distrib.: Titanus
Nazione: ITALIA / FRANCIA
Anno: 1976

Il film racconta la storia di Hugo – un malvivente conosciuto negli ambienti della polizia con il nome de «lo zingaro» a causa delle sue origini – il quale, dopo essere evaso in compagnia di altri due reclusi, si dedica ad una lunga serie di rapine, tutte coronate dal successo, soprattutto perché al momento opportuno i tre non esitano a sparare contro gli «avversari». Al termine di ogni impresa, la piccola banda si rifugia in tranquilli luoghi di villeggiatura in attesa che si calmino le acque; ed è così che la vicenda dello «zingaro» si intrinseca con quella di un altro fuorilegge – un esperto in casseforti – ricercato dalla polizia in quanto accusato di avere ucciso la moglie, il quale appare molto disturbato dalla scomoda presenza della banda che attura l'interesse della Polizia sui vari nascondigli del fuggiasco. Dopo varie peripezie i due vengono sorpresi insieme dalla Polizia: lo «zingaro» si salva prendendo in ostaggio il commissario e riesce a fuggire, mentre l'altro rinuncia alla fuga e si lascia arrestare. Il film termina con l'immagine di una carovana di zingari che viene scortata dalla Polizia verso la «civiltà» dove l'attende una completa integrazione.

 

La struttura del film si preoccupa di presentare in contrapposizione le due figure di «bandito», delle quali l'una (lo zingaro) viene tinteggiata di romanticismo e di cavalleria, mentre l'altra è ormai fatalmente integrata in questa società pianificata ed alienante.

Hugo, infatti, lotta e uccide per aiutare la sua gente (novello Robin Hood) e la violenza che egli si vede costretto a portare verso tutti i suoi «avversari» è la diretta conseguenza di quell'altra violenza che la sua gente è costretta a subire. È da sottolineare, peraltro, che al termine della narrazione, Hugo si salva dalla trappola tesagli dalla Polizia e riesce a fuggire, ma la sua gente la vediamo ugualmente intruppata e condotta verso quella integrazione per combattere la quale tanto egli ha lottato. La sconfitta del popolo zingaro risulta quindi come una realtà ineluttabile che neppure l'aiuto - in un certo senso «vittorioso» - del singolo zingaro riesce a modificare.

L'idea centrale del film dovrebbe essere centrata, quindi, sulla descrizione di questa inutilità «sociale» della lotta del singolo per ribaltare certe situazioni che non sono mutabili in determinati contesti storici. Ma tutto ciò contrasta abbastanza nettamente con altri elementi del film: per esempio la consapevolezza che Hugo mostra di avere circa l'inutilità della propria lotta; da cui la immotivazione romantica della cruda violenza che anima tutte le azioni del nostro eroe.

Insomma, questo bandito buono e cavalleresco, di fatto, combatte ed uccide per un «ideale» a cui neppure lui crede. Ed infatti quando un bambino (suo figlio?) gli chiede di aiutare la sua gente perché non venga costratta a vivere nelle case di città, egli risponde con un misto di amarezza e di consapevolezza, che il progresso non può essere fermato e che, pertanto, è bene che lui (il bambino) vada a scuola come tutti i suoi coetanei e riesca a condurre una vita diversa da quella che ha condotto lui (lo zingaro).

Da quando sopra, scaturisce uan sostanziale negatività della valutazione tematica del film che non si preoccupa di strutturare la narrazione in modo tale da significare una vera e propria idea tematica; appare infatti assolutamente predominante la volontà del regista di fare spettacolo anziché esprimere qualcosa.

E con ciò si introduce anche la valutazione estetica  dell'opera che risente ovviamente della precarietà su cui si articola l'impatto narrativo delle già accennate cedenze strutturali. Una fotografia di maniera ed una sciatta recitazione fanno da appendice ad una vicenda che - seppur salvata, almeno in parte, da un certo mestiere del regista - mostra la coda in tutti i suoi aspetti.

La valutazione morale risulta completamente negativa, direi quasi «da censura», e non per i centimetri di epidermide che vengono mostrati, ma per la pericolosità dell'idea clandestina veicolata dal film; la violenza, infatti, risulta moralmente ed eticamente accettabile nel contesto (falso) in cui viene presentata. Ed è soltanto con una accorta «lettura» che si scopre la immotivatezza (anche di vicenda) di questa violenza. Da qui la pericolosità del film, specie in una società come quella che ci circonda, nella quale ogni più futile pretesto è colto al volo dai singoli e dai gruppi per scatenare la irrequietezza e la sostanziale alienazione in cui mostriamo di inabissare sempre più la nostra cosidetta civiltà. (FRANCO SESTINI)

 

 


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