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RUGGINE



Regia: Daniele Gaglianone
Lettura del film di: Franco Sestini
Titolo del film: RUGGINE
Titolo originale: RUGGINE
Cast: regia: Daniele Gaglianone – sogg.: Stefano Massaron – scenegg.: Daniele Gaglianone, Giaime Alonge, Alessandro Scippa – fotogr.: Gherardo Gossi – mus.: Evandro Fornasier, Walter Magri, Massimo Miride; la canzone «Un campo lungo cinematografico» è di Le Luci della Centrale Elettrica – mont.: Enrico Giovannone – scenogr.: Marta Maffucci – cost.: Lina Fucà, Francesca Tessari – interpr.: Filippo Timi (Dott. Boldrini), Stefano Accorsi (Sandro adulto), Valerio Mastandrea (Carmineadulto), Valeria Solarino (Cinzia adulta), Giampaolo Stella (Carmine bambino), Giuseppe Furlò (Sadro bambino), Giulia Coccellato (Cinzia bambina), Giacomo Del Fiacco (Tonio), Leonardo Del Fiacco (Andrea), Annamaria Esposito (Betta), Alessia Di Domenica (Rosalia), Giulia Geraci (Margherita), Michele De Virgilio (Padre di Sandro), Anita Kravos (Madre di Sandro), Giuseppe Vitale (Cosimo), Cristina Mantis (Sig.ra Mauriello) – colore – durata: 109’ – produz.: Domenico Procacci per Fandango, Gianluca Arcopinto per Zaroff Film, in collaborazione con Rai Cinema – origine: ITALIA, 2010 – distrib.: Fandango (02.09.2011) dal romanzo omonimo di Stefano Massaron
Sceneggiatura: Daniele Gaglianone, Giaime Alonge, Alessandro Scippa
Nazione: ITALIA
Anno: 2010
Presentato: 68. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2011 – Giornate degli autori

È la storia di tre bambini – che il film estrapola in un gruppo molto più numeroso – che abitano con i genitori in una città del nord Italia (non meglio precisata) durante gli anni settanta.

I bambini – circa dieci, undici anni – escono tutti i giorni dalle loro case alla periferia estrema della città e si recano in uno stranissimo posto, un luogo quasi mitico, dove immaginano che ci sia un castello da espugnare (in realtà due vecchi silos arrugginiti).

I giochi si susseguono e sono tutti basati sulla conquista del mitico castello, il tutto inframezzato dalle loro crescite ormonali che cominciano a dare i primi sussulti: la banda dei ragazzini è capitanata da Carmine, che ha come luogotenente Sergio il quale è segretamente innamorato della sorella del capo, Rosalia.

Il tutto continua tra giochi e scherzi, mentre i piccoli assecondano la loro naturale crescita;  in questo ambiente non certo ricco ed agiato, ma almeno sano e scevro da problematiche psicologiche, arriva un nuovo personaggio: è il medico della mutua, il dottor Boldrini, un bell’uomo che sembra all’apparenza molto servizievole e dedito alla cura dei malati, ma cova dentro di se una gravissima turba psicologica: è attratto morbosamente ma ineluttabilmente dalle bambine che hanno la sventura di capitargli a tiro.

Il Boldrini inizia a fare le sue vittime, rapendo da una bambina del gruppo capitanato da Carmine e al quale si rivolgono tutti i ragazzi convinti che il colpevole sia stato un innocuo “scemo del villaggio”, chiamato Bava, che viene catturato dal gruppetto dei giovanissimi e bastonato sonoramente (il film non dice se viene ucciso o meno).

Ma il «mostro», il dottore, continua ad aggirarsi per la brulla periferia e arriva a rapire – per «mangiarsela »– un’altra bambina questa volta arrivando a toccare Rosalia, la sorellina di Carmine; a questo punto lo scontro tra i ragazzini e il Mostro sarà inevitabile e sarà anche all’ultimo sangue: Carmine e Sergio riusciranno a salvare Rosalia e ad uccidere il medico, il quale rimarrà sotto le macerie del “castello” che fino ad allora era stato indicato come il maniero da conquistare.

Circa trent’anni dopo, vediamo cosa stanno combinando i tre protagonisti della storia (Carmine, Sergio e Rosali): il primo passa le sue giornate al Bar a bere ed a parlare di ingiustizie sociali ed altre amenità del genere, inveendo tutto il proprio rancore contro il mondo intero e terminando con un brutto incontro con alcuni strozzini che sono venuti al Bar per incassare: non ha i soldi, ma la sorellina Rosalia ha provveduto per suo conto; ciononostante, trova il modo di litigare e di ricevere una bruttissima lezione dai due brutti ceffi.

Rosalia la incontriamo in una scuola Media, durante un consiglio di classe, che rivive, suo malgrado, le brutture che hanno caratterizzato la sua gioventù e che sembrano perpetuarsi nei giovani d’oggi, anch’essi molestati da genitori o parenti desiderosi solo di cogliere la mela acerba; si scaglierà contro la routine tipicamente borghese dei suoi colleghi che non riescono a intravedere nei comportamenti anomali dei ragazzi posti in osservazione, le conseguenze di gravi atteggiamenti di adulti nei loro confronti; ovviamente non verrà compresa dai colleghi e si intravede che avrà una sorta di ostracismo.

Sergio, che si comprende esser diventato un “traduttore” dall’inglese, lo cogliamo nel suo piccolo e disordinato appartamento, dedito unicamente a giocare con il figlioletto di cinque anni e che – invece di terminare la traduzione che il suo editore gli sta richiedendo – continua a giocare con il figlioletto in un gioco basato sulla caccia e la distruzione del «Drago Nero» e conclude la sua apparizione filmica con la frase: «il Drago non muore mai, ma sta a noi essere così vicini ai nostri cari da non permettergli di far loro del male».

Il film termina con una scena girata su un autobus cittadino, in cui si incontrano i tre ex-ragazzi che neppure si riconoscono: tutti hanno subito una situazione di dolore e di cattiveria che li ha talmente modificati da non renderli più disponibili a comunicare con gli altri, neppure con gli amici di una volta.

Francamente non posso dire di conoscere il regista di questo film, ma mi aveva incuriosito la partecipazione al lavoro di attori di grosso calibro come Stefano Accorsi, Filippo Timi, Valerio Mastandrea e Valeria Solarino; debbo dire che al di là di qualche lungaggine nella narrazione con ovvie ripetizioni di concetti già espressi, il film è degno di interesse e la tematica altrettanto.

Siamo in presenza di una autentica, accorata ma violentissima accusa nei confronti del perbenismo e del sistema tipicamente borghese di mettere a tacere tutto quello che è la molestia sessuale nei confronti dei bambini – sia maschi che femmine – con la scusa che «non si sa mai quanta verità c’è nella denuncia del minore».

E invece, il male che viene fatto al ragazzo/a non è facilmente sanabile, tant’è vero che i tre giovanissimi che il film prende in esame, escono tutti con le ossa rotte dal loro passato e, che in un senso chi nell’altro, si trova comunque a dover rivangare quelle cose che credeva di avere messo alle sue spalle e che invece ritornano inesorabili per continuare a fare del male.

E la frase sul modo di combattere il Mostro – che non può essere distrutto – è sintomatico: ai genitori è richiesto un «supplemento d’amore» per questi ragazzi che hanno avuto la sventura d’imbattersi in questi personaggi che poi, a ben guardare, sono anch’essi dei poveracci che soffrono per il male che stanno commettendo (le lacrime del Boldrini sono sintomatiche).

Da notare che l’autore presenta il film con i ragazzi negli anni ’70 e gli stessi diventati adulti ai giorni nostri, senza dare delle chiarissime indicazioni di vicenda, ma è la struttura stessa che ci conduce a comprendere quando ci muoviamo in una dimensione e quando nell’altra; tutto questo, ovviamente, a merito del regista.

Un film quindi che mi auguro possa farsi valere nelle sale cinematografiche dalla sua uscita, prevista quando ancora il Festival è in corso: è un magnifico esempio di come la società attuale crea i Mostri e poi cerca di distruggerli (invano), ma ha solo un mezzo per combatterli: l’amore verso le vittime. (Franco Sestini)

 

 


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