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CUT



Regia: Amir Naderi
Lettura del film di: Adelio Cola
Titolo del film: CUT
Titolo originale: CUT
Cast: Regia: Amir Naderi – sceneggiatura: Amir Naderi, Abou Farman, Shinji Aoyama, Yuichi Tazawa – fotografia: Keiji Hashimoto – scenografia: Toshihiro Isomi – suono: Takeshi Ogawa – interpr.: Hidetoshi Nishijima, Takako Tokiwa, Takashi Sasano, Shun Sugata, Denden – Produzione: Eric Nyari, Engin Yenidunya, Regis Arnaud, YujiSadai, Shoreh Golparian – Origine: Giappone – 2011 – colore 132’ – Distribuzione Internazionale: The Match Factory
Sceneggiatura: Amir Naderi, Abou Farman, Shinji Aoyama, Yuichi Tazawa
Nazione: GIAPPONE
Anno: 2011
Presentato: 68. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2011 – Orizzonti

Il film si apre inquadrando un giovane in fuga attraverso le caotiche vie di una città giapponese: è armato di megafono portavoce, con il quale nelle brevi pause affannose per la corsa, grida alla folla, che, purtroppo, non lo sta ad ascoltare: “boicottate i film di oggi, fatti di soldi e per i soldi, andare a vedere i film di una volta, i classici, dove ci sono verità arte e intrattenimento. Quelli di oggi sono fatti da quasi tutti i registi e produttori soltanto in vista dell’intrattenimento dello spettatore!”

È ricercato da un misterioso “gran capo” (che non vediamo mai), in realtà un usuraio di professione collegato con la mafia locale che, dopo aver prestato un grosso pacchetto di yen al fratello del fuggitivo ed averlo eliminato perché insolvente, ora vuole rifarsi sul giovane superstite minacciando di fargli fare la medesima fine se non salda il debito.

Due, dunque, sono i motivi che inducono il protagonista ad impegnarsi nell’impossibile impresa: la difesa dell’onore dell’affezionatissimo fratello ucciso e la passione vitale nell’intento di realizzare, dopo i due primi tre, altri film sul modello dei classici. Unica risorsa (siamo in Giappone!!) è quella di offrire se stesso come oggetto dei pugni agenti violenza: “invece di colpire il sacco della boxe, colpite me”. La sfida inumana del gioco pericoloso trova partecipanti disponibili a versare bigliettoni di alto taglio per godersi lo spettacolo di cui farsi attori strapazzando un uomo.

Egli vuole che il gioco si svolga nel bugigattolo del bagno, dove il fratello venne sacrificato: “lì non sentirò dolore”, Sul davanzale della finestra la cinesina del Bar ha appena lavato le tracce di sangue. Il debito da saldare è enorme, “egli non ce la farà mai a saldarlo!”, dichiara un omone, una specie di sottocapo incaricato di sorvegliarlo, che però alla grandinata dei pugni lo compatisce e addirittura gli offre la somma che manca per saldare il conto. Egli rifiuta decisamente.

Il film alterna tre situazioni: quella del crudele gioco al massacro senza possibilità di difesa da parte del protagonista; il ricordo delle sue “grida cittadine” contro i mercanti di cinema; le numeroso proiezioni di film classici, degni del genere cinema, da lui organizzate in modo quasi clandestino sulla terrazza di un edificio abitativo.

Ha due settimane di tempo per saldare il conto. I giorni passano, le “partite del gioco” che lo vede sempre vincente, e cioè sempre maggiormente ferito ed insanguinato ma deciso a non arrendersi gettando la spugna, e la cifra da accumulare sembra una meta irraggiungibile. “Non mi resta che scommettere su me stesso!” mette all’asta la possibilità offerta, di essere colpito “in pancia e direttamente al volto!”. Alla fine ne esce più morto che vivo, ma vittorioso. Durante gli ultimo cento pugni in faccia, egli ricorda i cento film secondo lui più famosi della storia del cinema. “Non lo faccio per i soldi, aveva confessato, se no rapinerei una Banca!” e non aggiunge altro.

Gli spettatori del film conoscono l’ideale per il quale rischia la vita. Saldato il debito del fratello, egli arrischia di chiedere al “gran capo” un nuovo prestito “astronomico”. Veniamo a sapere che gli viene concesso, perché il film si chiude sullo schermo nero mentre ascoltiamo la voce fuori campo del protagonista che con grande decisione ordina: “pronti….azione!”.

L’autore del film, pur limitandosi a “location” ridotte all’essenziale nello spazio (quasi sempre nel puzzolente locale dei servizi igienici, teatro del sacrificio del fratello del protagonista, che poi, dopo l’ultimo pugno ricevuto in faccia, con la mano insanguinata sfiora il davanzale della finestra lasciandovi traccia della sua generosità cruenta), è ripetitivo nelle scene di violenza estrema, senza provocare fastidio e noia nello spettatore, semmai sazietà in chi non si rassegna ad assistere a fiction in cui un uomo viene massacrato, per gioco, da altri uomini. Le riprese sono curate negli elementi spettacolari che rendono le inquadrature, si direbbe, perfette e semiologicamente eloquenti nel loro significato. Il film è supportato dalla convinta, generosa partecipazione del protagonista che, ipotizziamo, rappresenta l’alter ego del regista. La morale della favola raccontata dal film è che l’ideale, quando è vero e appassionatamente coltivato, dà la forza di affrontare qualsiasi rinuncia e sacrificio e talvolta fino al rischio di rimetterci la vita. Questa, che possiamo definire idea centrale, non viene dichiarata dal regista, ma validamente dimostrata, pur con qualche indispensabile concessione allo spettacolo. Questo ci sembra essere il miglior pregio del film di Naderi.

Degna di sottolineatura è la dichiarazione del protagonista che affronta sacrifici al limite delle possibilità umane: “voglio vivere, voglio fare dei film”. (Adelio Cola)

 


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