TAO JIE
Regia: Ann Hui
Lettura del film di: Franco Sestini
Titolo del film: TAO JIE (A SIMPLE LIFE)
Titolo originale: TAO JIE
Cast: regia: Ann Hui scenegg.: Susan Chan, Roger Lee fotogr.: Yu Lik Wai montagg.: -Kong Chi Leung, Manda Wai scenogr.: Albert Poon cost.: Boey Wong mus.: Law Wing Fai interpr.: Andy Lau, Deanie Ip, Qin Hailu, Wang Fuli durata: 117 colore produz: Bona Entertainment Company Limited origne: HONG KONG / CINA, 2011 distrib. internaz.: Distribution Workshop Company
Sceneggiatura: Susan Chan, Roger Lee
Nazione: HONG KONG / CINA
Anno: 2011
Presentato: 68. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2011 Concorso
Premi: COPPA VOLPI miglior attrice SIGNIS Menzione Speciale Premio Padre Nazareno Taddei sj Premio La Navicella Premio Gianni Astrei pro life Premio Pari Opportunitΰ
È la storia di Chung Chun-Tao, detta Ah Tao, che appena nata viene data in adozione ad una famiglia il cui padre muore durante l’occupazione giapponese e la madre la manda – ancora adolescente (10 anni) – a servizio presso una famiglia abbiente, diventando così una “amah”, cioè una serva.
La donna la incontriamo quando ha raggiunto i 60 anni di lavoro domestico sempre nella stessa famiglia (e quindi ha settanta anni di età) e si occupa di un giovane, Roger, un produttore cinematografico, l’ultimo della famiglia rimasto ad Hong Kong, mentre gli altri membri abitano da tempo in America.
Il rapporto tra il giovane e l’anziana domestica è quello che può instaurarsi tra la madre ed il figlio, ma con la particolarità che il sentimento tra i due è forse superiore (sicuramente diverso), perché quello che l’uno fa per l’altro non discende dall’obbligo familiare ne padronale, ma da un altro tipo si sentimento: per la donna è affetto allo stato puro (anche se lei continua a dire che è “dovere”) ed altrettanto è per Roger il quale con la vita che conduce (spesso all’estero e disponendo di cospicui mezzi finanziari) potrebbe tenere un tipo di esistenza diverso; ma a lui basta questa: vivere nella stessa casa di famiglia, accudito dall’anziana “amah”.
Il destino ci mette lo zampino e rompe la “monotonia” dell’andamento della coppia: un giorno Roger rientra a casa e trova Ah Tao in preda a un ictus; riesce a salvarla ed a portarla all’ospedale, dove stabilizzano la situazione cerebrale e la rimandano a casa ma in condizioni non proprio splendide; Roger propone di assumere una donna che oltre alle faccende domestiche si occupi anche di controllare la situazione di Ah Tao, ma quest’ultima non ne vuole sapere: la sua decisione è quella di andare a stare in un ospizio per anziani “cronici”, per il quale si offre anche di pagare lei (“ho dei soldi da parte che posso utilizzare per questo”), ma Roger, pur a malincuore, acconsente al ricovero nell’ospizio ma assumendosi ovviamente tutte le spese e le necessità della donna.
E qui comincia una nuova esistenza per l’anziana “amah”: conosce una premurosa ed efficiente coordinatrice con cui instaura un bellissimo rapporto, ma riesce anche a legare con tutti gli altri anziani che sono ospitati nella struttura, dalla signora che la prega di riattaccarle un bottone che si è staccato dalla sua giacchina, all’anziano che è sempre in cerca di soldi (pochi, per la verità) che lui regolarmente sperpera con prostitute di serie B; intanto le cure riabilitative cui è sottoposta Ah Tao danno buoni frutti e dopo un certo tempo la donna comincia a camminare senza l’ausilio del bastone e muove tranquillamente il braccio sinistro che era rimasto paralizzato.
Naturalmente Roger – che per gli altri ospiti è il “figlioccio” – tutte le volte che è libero da impegni lavorativi si precipita alla Casa di Riposo e porta sempre qualche regalino sia per l’anziana “madrina” e sia per qualche altro ospite che le è più simpatico.
Ma il giovane non si limita ad andare a trovarla: la porta anche con se alla ”prima” di un suo film, facendole vivere la magia di una serata di gala, alla quale sono presenti tantissimi personaggi famosi che non mancano di ossequiarla: la donna è al settimo cielo della felicità, ma il destino è ancora una volta all’agguato: una sorta di infezione intestinale la rimanda di nuovo sotto i ferri per una operazione che, stante l’età e le condizioni generali, non è proprio facilissima.
Comunque Ah Tao ce la fa a superare anche questo ostacolo e può così godersi l’arrivo a Hong Kong di tutta la famiglia di Roger che le porta a conoscere “la quinta generazione”: un bambino nato alla sorella di Roger che rappresenta l’ultimo elemento che Ah Tao conoscerà. In questa occasione la madre di Roger regalerà alla domestica un appartamento in cui la donna potrà concludere la propria vecchiaia, ma prima che se lo possa godere, si spengerà serenamente, senza sofferenze, con il medico che la tiene sedata e le diminuisce la terapia lentamente fino a condurla alla morte con dolcezza; al funerale ci sarà buona parte dei parenti di Roger e anche l’anziano, degente del’ospizio, che le chiedeva sempre i soldi per andare con le prostitute.
Il film ha una struttura lineare e segue gli ultimi anni di Ah Tao senza alcun flash-back del periodo precedente; alcuni episodi del passato vengono soltanto ricordati a parole, durante i ricordi tra Roger e Ah Tao, ma anche tra il giovane e la sorella, con quest’ultima che confessa candidamente di essere stata gelosa perché la domestica privilegiava Roger.
Più che una tematica, possiamo dire che il film è intriso di buoni sentimenti, quelle “cose” che adesso mi sembrano essere sempre più in disuso, certamente “fuori moda”; certo che non abbiamo “lotta sociale” e neppure aneliti rivoluzionari, ma il sentimento che prevale in tutto il film è il rispetto e l’amore nei confronti degli altri; questo tipo di comportamento – come è naturale – genera a sua volta analoghi sentimenti da parte di coloro che lo ricevono e così arriviamo alla totalizzazione dei “buoni sentimenti” dei quali sentivo mormorare in sala durante la proiezione per la stampa, con chiara allusione denigratoria; non mi vergogno di affermare che sono in contrasto con i contestatori di questo film di Ann Hui, una regista di quasi sessantacinque anni che nella sua esistenza ha realizzato molti e importanti film.
Forse è proprio l’età dell’autrice che le ha dato quello spirito di affetto nei confronti degli anziani che trasuda in tutto il film; forse anche lei si sente – e si schiera – dalla parte degli over 60 e cerca di descriverli anche meglio di come sono in realtà, ma certamente questo superare il limite della veridicità non posso considerarlo un peccato mortale, ma al massimo un fondo mentale che appare davanti alla donna e ne conduce la struttura cinematografica. Forse il film non vincerà niente, ma a me è piaciuto e non mi vergogno ad affermarlo con chiarezza. (Franco Sestini)