QUANDO LA NOTTE
Regia: Cristina Comencini
Lettura del film di: Franco Sestini
Titolo del film: QUANDO LA NOTTE
Titolo originale: QUANDO LA NOTTE
Cast: regia: Cristina Comencini scenegg.: Doriana Leondeff e Cristina Comencini dal suo romanzo omonimo fotogr.: Italo Petriccione mont.: Francesca Calvelli scenogr.: Giancarlo Basili cost.: Francesca Livia Sartori mus.: Andrea Farri interpreti: Claudia Pandolfi (Marina), Filippo Timi (Manfred), Thomas Trabacchi (Albert), Denis Fasolo (Stefan), Michela Cescon (Bianca), Manuela Mandracchia (Luna), Franco Trevisi (Gustav) durata: 108 colore produz.: Cattleya e Rai Cinema con la collaborazione di FIP e Lumiq Studios con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte origine: ITALIA, 2011 distrib.: 01 Distribution (28.10.2011)
Sceneggiatura: Doriana Leondeff e Cristina Comencini dal suo romanzo omonimo
Nazione: ITALIA
Anno: 2011
Presentato: 68. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2011 Concorso
È la storia di Marina e Manfred, lei una donna sposata che si reca in montagna per curare il proprio bambino, Marco di 2 anni, da una malattia bronchiale e per cercare di riposarsi, lui, una guida turistica del luogo e, guarda caso, proprio colui che le affitterà l’appartamento. La vita delle due persone scorre lentamente con Marina impegnata a “non far piangere” il bambino (in verità ci riesce raramente) e dedita a qualche girata nel Paese, mentre Manfred parte la mattina all’alba per condurre i gruppi turistici in cima ai monti e rientra la sera; al di là di qualche saluto formale non stiamo andando, anche se lei è molto “incuriosita” dal rude montanaro che – le raccontano le malelingue del paese – è stato abbandonato dalla moglie, Luna, che se ne è andata portandosi dietro i due figli.
La situazione cambia una sera quando – mentre Marina appare addormentata dopo una serie di bizze del bambino – quest’ultimo si arrampica su uno sgabello per raggiungere delle bottiglie e cade rovinosamente a terra, battendo pesantemente la testa; Manfred che è già rientrato, sente il tonfo della caduta e accorre al piano di sopra, ma nessuno apre e allora lui decide di forzare la porta (non ha le chiavi come padrone di casa?) e, entrando in casa trova Marina ancora addormentata e il bambino a terra con del sangue alla testa; una corsa all’ospedale e la tranquillizzazione del personale medico che decide di trattenere il ferito solo per quella notte e poi dimetterlo la mattina successiva; Manfred però accenna, “maliziosamente”, che tutto è stato provocato da Marina che ormai è stufa del bambino.
Sull’onda di questa “cattiveria” di Manfred, si arriva alla giornata in cui tutti i tre vanno in alta montagna, al rifugio gestito da Albert, il fratello di Manfred; l’accoglienza è splendida, il luogo è bellissimo, Marco finalmente ha trovato due bambine con cui giocare e tutto sembra andare per il meglio, quando un altro fratello di Manfred, Stefan, fa una corte serrata nei confronti di Marina e viene alle mani con il fratello; la cosa, ovviamente guasta la festa; Marina decide di non ripartire con Manfred ma restare un paio di giorni nel rifugio, dove conosce ancora meglio la famiglia e le turbe psichiche che invadono ciascuno dei componenti della famiglia; nel rientro in Paese, riprende il litigio con Manfred sulle responsabilità per la caduta di Marco e si arriva ad una vera e propria rottura; Manfred cade rovinosamente e solo l’istinto di Marina che, non vedendolo rientrare avvisa i soccorsi, lo salva da morte certa; viene portato in ospedale con prognosi da chiarire per quanto riguarda eventuali danni fisici da scoprire in seguito; il giorno dopo Marina decide di farsi venire a prendere dal marito e così troncare ogni altra discussione.
Qualche anno dopo, Marina ritorna nello stesso Paese alla ricerca di Manfred; incontra tutti i componenti della famiglia ma Manfred sembra sparito: in realtà si è rimesso con la moglie, ha aperto un albergo in Paese e, conseguenza della caduta, zoppica pesantemente; avvertito della presenza della donna, cerca di incontrarla, ma i due si intravedono sulla corriera e parlano quel tanto che basta per confermarsi l’impossibilità di una loro relazione. Emblematica l’immagine finale della funivia con i due vagoni che s’incrociano appena e subito dopo ognuno riprende la sua strada.
Il film è uno di quelli “strappalacrime”, ma – almeno con me – non è riuscito neppure in questo; i personaggi sono quasi tutti abbozzati con l’accetta e per niente scavati, tant’è vero che non riusciamo a dar loro un significato che abbia una valenza strutturale.
I due attori principali fanno a gara a chi recita peggio, finendo alla pari; gli altri li seguono a ruota; insomma un disastro. Forse il tutto dipende dalla circostanza che il film è tratto da un libro scritto dalla stessa regista: com’è noto, le due forme di comunicazione (concettuale quella scritta e contornale quella del film) mal si conciliano e molto spesso quando vengono a contatto combinano solo pasticci.
Dei due attori principali non si riesce a sapere fino in fondo quello che veramente cercano dalla vita: lui è perennemente imbronciato, come se qualcuno gli avesse fatto un grave torto (forse sarà il ricordo della moglie, Luna, che lo ha piantato portandosi dietro i due figli e della madre) e parla pochissimo durante tutta la vicenda, restando incomprensibile per gli spettatori; d’altro canto, anche Marina non brilla per chiarezza: non si riesce a comprendere il motivo per cui se ne sia venuta tutta sola (con il figlioletto Marco) in Montagna e dal marita riceva solo una telefonata quotidiana; in sostanza voglio dire: quali sono i rapporti tra i due? Perché lui non l’ha seguita almeno per qualche giorno?
Insomma, il guazzabuglio in cui cercano di non affogare gli attori di questo film, oltre che dalle loro interpretazioni, dipende anche dalla cattiva sceneggiatura e dalla pessima direzione del cast; peraltro, tutte queste carenze, nei precedenti film la Comencini non li aveva mostrati; che stia regredendo?
Insomma, per concludere, un altro film che non si comprende il motivo della sua inclusione nel “concorso” di questa Mostra; ci sono manovre di qualche genere? (Franco Sestini)