DARK HORSE
Regia: Todd Solondz
Lettura del film di: Gian Lauro Rossi
Titolo del film: DARK HORSE
Titolo originale: DARK HORSE
Cast: regia, scenegg.: Todd Solondz fotogr.: Andrij Parekh mont.: Kevin Messman scenogr.: Alez Digerlando cost.: Kurt & Bart mus.: Michael Hill suono: Jack Hutson interpr. prnc.: Justin Bartha, Selma Blair, Mia Farrow, Jordan Gelber, Donna Murphy, Christopher Walken durata: 85 colore produz.: Ted Hope per Double Hope Films; Derrick Tseng origine: USA, 2011 distrib. internaz.: Goldcrest Films International
Sceneggiatura: Todd Solondz
Nazione: USA
Anno: 2011
Presentato: 68. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2011 Concorso
Il film tratta di un ragazzo ormai maturo che vive in casa con i genitori e lavora alle dipendenze dell’Azienda del padre. La famiglia è tipicamente borghese, perbenista e formalista. I genitori vanno orgogliosi dell’altro figlio, il fratello di Abe (protagonista del film), che ha studiato ed ha raggiunto la laurea in medicina. Abe è considerato dalla sua stessa famiglia e da tutti coloro che lo circondano, una persona pigra, grassa, spaccona, insicuro di sé e anche bugiardo, quindi una persona inetta, poco affidabile e non in grado di assumersi delle responsabilità. D’altra parte, quando cerca di dare delle risposte autonome alle proprie esigenze personali (amore, acquisto di un prodotto graffiato, rapporto con il fratello, rapporto con il padre, ecc.), manifesta reazioni sproporzionate, da ragazzino adolescente viziato, sino all’ultima reazione, dopo una lite, che gli produce un incidente stradale a seguito del quale morirà.
Il racconto si articola attraverso diversi elementi:
- il rapporto di Abe con il suo desiderio di amore: dopo aver incontrato ad un matrimonio una giovane donna, Miranda, se ne innamora e al primo appuntamento che lei gli concede, le si manifesta in modo infantile, con una improvvisa proposta di matrimonio. Dopo qualche incontro, la ragazza respinge la proposta, apprezzando invece l’immagine del fratello che vede in una foto, e che poi, alla fine, risulta diventare suo marito.
- il rapporto di Abe con i genitori: il padre aveva sperato che diventasse il “cavallo vincente” della famiglia. La consapevolezza poi che non sarebbe stato così, ha indotto il padre ad un atteggiamento di fredda e formale accettazione di questo figlio bamboccione ( in azienda lo sopporta con amara rassegnazione), e la madre ad un atteggiamento compassionevole ed iperprotettivo;
- il rapporto Abe con l’azienda del padre: egli si rivela incapace di organizzarsi, di rispettare i tempi dei lavori che gli erano attribuiti e di valorizzare i collaboratori circostanti. Non riesce neppure, per orgoglio, ad apprezzare gli aiuti che la segretaria del padre, gli offre con particolare simpatia e di nascosto dal padre stesso;
- il rapporto Abe con gli ambienti pubblici (negozio, sale da ballo, ecc.) in cui manifesta una immaturità ed una arroganza immotivata.
L’Idea Centrale che ne emerge si può così riassumere: «Nella società odierna, il benessere e le agiatezze hanno favorito la nascita di famiglie perbeniste che spesso hanno a che fare con figli immaturi: se poi l’immaturità è aggravata da ritardi mentali, l’incapacità a gestirli diventa più forte, favorendo comportamenti inadeguati fino a danneggiare se stessi».
Il film è costruito in modo da produrre ilarità e simpatia, ma non emerge alcuna intenzione di approfondire il tema. La problematica dei “giovani bamboccioni” è ricorrente, e forse nelle sale cinematografiche il film avrà successo, senza però indurre alla riflessione. (Rossi Gian Lauro)