HAHITHALFUT (Lo scambio)
Regia: Eran Koliri
Lettura del film di: Franco Sestini
Titolo del film: HAHITHALFUT (LO SCAMBIO)
Titolo originale: HAHITHALFUT (LO SCAMBIO)
Cast: regia, sogg.: Eran Kolirin cost.: Doron Ashkenazi/Hila scenogr.: Yesim Zolan / Miguel Mirkin suono: Michael Busch fotogr.: Shai Goldman mont.: Arik Lahav-Leibovich interpr. princ.: Rotem Keinan (Oded), Sharon Tal (Tami), Dov Navon (Yoav), Shirili Deshe (Yael) durata: 94 colore produz.: Eilon Ratzkovsky, Karl Baumgartner, Raimond Goebel,Yossi Uzrad, Guy Jacoel per July August Productions /Pandora Filmproduktion in cooperazione con ZDF/ARTE con il sostegno di The Israeli Film Fund, Yes, Hessen Invest Film, Medienboard Berlin Brandenburg, DFFF Fondo nazionale tedesco per il cinema origine: GERMANIA, 2011 distrib. inter.: The Match Factory
Nazione: GERMANIA
Anno: 2011
Presentato: 68. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2011 Concorso
È la storia di Oded, un ricercatore universitario, il quale conduce una vita tranquilla e monotona: rientra a casa sempre alla stessa ora, dove trova la moglie Tami, una neo laureata in architettura alle prese con un progetto che la potrebbe fare entrare in uno studio famoso; tra i due si scambia qualche parola di una banalità assoluta, dopodichè si mangia qualcosa e poi si va a letta dove si consuma un amplesso anch’esso sempre uguale; un giorno Oded rientra a casa in un orario diverso da prima e scopre che tutto appare diverso da come lo aveva sempre visto; gli sembra quasi di essere entrato nella stanza di un altro. Questo giochetto prende ad affascinarlo e Oded sempre più varia gli orari e i modi di rientro a casa per osservare il suo stabile e coloro che ci abitano da orari diversi.
Guidato da un coinquilino che cerca anch’esso dei luoghi “speciali”, Yoav, scopre alcuni corridoi mai visti, alcuni locali in cui non era mai entrato e, infine, il rifugio nel quale non si potrebbe entrare, ma l’amico Yoav ha le chiavi e così i due non solo entrano e lo esaminano minuziosamente, ma arrivano a dormirci.
Questa ricerca di “modi diversi di guardare la realtà” arriva ad incidere sulla vita reale di Oded il quale per poter realizzare queste diversificazioni di entrata o di uscita, s’inventa delle scuse sia con la moglie che con il superiore all’Università; ma questo cambiamento di vita si riflette negativamente anche sulla sfera sessuale di Oded che non riesce più a fare l’amore con la moglie. Un altro modo per “sfuggire” alla realtà quotidiana – insegnatogli dall’amici Yeov – è quello di andare ad incontrare i parenti fingendosi uno sconosciuto: Oded si presenta alla madre dell’amico (una dirigente di banca) con la quale ci finisce a letto e successivamente con il padre (proprietario di un negozio di borse) dove acquista un oggetto e, mentre il negoziante rimette a posto la roba, cade dalla scala e si fa male (viene chiamata l’ambulanza e non sappiamo se il malcapitato muore oppure no).
Arriviamo infine alla scena in cui le due famiglie si riuniscono per consumare una cena insieme e da questo evento Tami comprende appieno lo stato mentale del marito (e degli amici) e la mattina dopo decide di seguirlo: scoprirà che Oded non si reca al lavoro, compie gesti inconsulti (getta la borsa da un cavalcavia) e s’intrufola in case che non conosce; la donna rientra in casa e trova l’amico Yeov straiato sul pavimento dell’ingresso del palazzo il quale non si mostra minimamente turbato; la sera Timi attende il marito al rientro dal lavoro (teoricamente) e comincia ad apostrofarlo circa questa sua situazione mentale, ma il regista blocca tutto e passa ad un’immagine bianca che resta qualche secondo sullo schermo, fino all’arrivo dei titoli di coda.
Film molto particolare, che si avvale di una tematica interessante ma con una narrazione realizzata in modo da de-strutturalizzare la vicenda: in concreto, l’autore ci vuole dire che la routinarietà delle nostre azioni ci sta conducendo ad una alienazione totale (l’immagine bianca) che, aggiunta alla mancanza della parola “FINE”, ci porta a dire che il problema sta ancora procedendo e che non se ne vede la soluzione.
Del resto il regista non fornisce alcuna indicazione sul come comportarci per non cadere nell’alienazione che vediamo nel film; e non ci dice neppure da cosa questa situazione abbia avuto inizio, ma solo che esiste ed è florida ed in via di sviluppo: colme indicazione di base, l’autore indica la sessualità che non viene realizzata dopo avere scoperto la routine.
Come dicevo sopra, l’autore fornisce una tematica interessante ma la mostra su un corpo fornito di gambe corte e di poco cervello; mi spiego meglio: se la struttura avesse avuto una maggiore logica e fosse andata avanti con una cadenza regolare, l’idea del regista sarebbe balzata evidente molto meglio e molto prima; così, invece, dobbiamo fare dei salti mortali per cercare di ricollegare alcune realtà dei singoli blocchi narrativi e non sempre siano certi di averli sistemati nelle caselle dovute.
Quindi un film “perduto” per la comunicazione allo spettatore e allora, per concludere, debbo farmi questa domanda: perché un film come questo – che al massimo possiamo dargli un interesse sperimentale e una tematica attualissima – figura nel “concorso” e non – come sarebbe stato più opportuno – in una delle sezioni che meglio avrebbero potuto ospitarlo (penso ad “Orizzontui”)? Mistero! (Franco Sestini)