KI
Regia: Leszek Dawid
Lettura del film di: Adelio Cola
Titolo del film: KI
Titolo originale: KI
Cast: regia: Laszek Dawid scenegg.: Pawel Ferdek fotogr.: Lukasz Gutt mont.: Jaroslaw Kaminski scenogr.: Ewa Skoczkowska cost.: Dorata Roqueplo suono: Laszek Freund, Karol Manka interpr. princ.: Roma Gasiorowska (Ki), Adam Woronowicz (Miko), Kamil Malecki (Pio), Krzysztof Ogloza (Anto), Krzysztof Globisz (Marian) durata: 94 colore produz.: Malgorzata Jurczak, Krzysztof Gredzinski origine: Polonia, 2011 distribuz. internaz.: Skorpion Arte Warszawa
Sceneggiatura: Pawel Ferdek
Nazione: POLONIA
Anno: 2011
Presentato: 68. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2011 Giornate degli autori
“La mia condanna è iniziata quando ho partorito in taxi il mio Pio”. A sentire parlare così la protagonista Ki, lo spettatore, che l’ha già vista sullo schermo da più d’un’ora, non si rende conto della sollecitudine materna e dell’affetto sincero che la lega al figlioletto di due anni, almeno per quanto aveva visto in lei fino ad allora. Il piccolo infatti, che è causa di preoccupazione di grandi “pensieri” per la madre, è da lei amato fino al punto da convincerla ad andare incontro a qualsiasi sacrificio personale. Si fa aiutare dalla sorella, perché lei vorrebbe lavorare per guadagnare qualcosa, dal momento che il suo ‘compagno’, che non la vuole sposare, l’ha abbandonata. Anche altri, conoscenti e amici, si prestano volentieri a darle una mano, ma nessuno si sente in grado di accettare l’impegno continuativo e duraturo di fare compagnia e custodia al vivace e intraprendente Pio, che ne combina una dopo l’altra con fantasia ‘distruttrice’. Alla fine la buona e generosa Ki rimane sola con tutti i suoi problemi.
Il film è diretto con grande rispetto della condizione di Ki, che dice di voler rappresentare con un video da lei diretto, inutilmente proposto ad una ditta specializzata, la situazione non soltanto sua ma delle innumerevoli donne “vittime degli uomini e schiave nelle gabbie domestiche”.
La tecnica del montaggio rapido con brevi inquadrature in successione è realizzato con esperienza dell’arte cinematografica e interpretato con molto sentimento dalla protagonista, dal carattere apparentemente freddo e staccato dalla realtà della vita, perché giudicata “una ragazza che combina sempre guai ed è causa di problemi”, decisa però nell’affrontare i mezzi per raggiungere il suo scopo e mai scoraggiata malgrado le delusioni incontrate. La sua vera “condanna”, data la situazione nella quale si trova, è la solitudine. Il film fa riflettere sulla responsabilità personale di chi decide di mettere al mondo un figlio. L’autore non assolve e non condanna la protagonista, che non fa alcun riferimento a princìpi morali superiori. (Adelio Cola)