MARCIA TRIONFALE
Regia: Marco Bellocchio
Lettura del film di: Olinto Brugnoli
Edav N: 38 aprile - 1976
Titolo del film: MARCIA TRIONFALE
Titolo originale: MARCIA TRIONFALE
Cast: di Marco Bellocchio - interpr. princ.: Michele Placido, Franco Nero, Miou Miou, Patrick Dewaere, Ekkehardt Belle, Nino Bignamini - prod.: italiana - colore - lungh.: m. 3280 - VM 18 - distrib.: Cineriz
Nazione: ITALIA
Anno: 1976
Marco Bellocchio è considerato uno degli autori più corrosivi del cinema italiano e pare non esista istituzione che riesca a salvarsi dai suoi strali più o meno acuminati.
Dopo aver preso di mira l'istituto familiare (I PUGNI IN TASCA), i partiti (LA CINA È VICINA), un certo tipo di educazione cattolica (NEL NOME DEL PADRE), la stampa (SBATTI IL MOSTRO IN PRIMA PAGINA) e i manicomi (MATTI DA SLEGARE), Bellocchio volge ora la propria attenzione di contestatore nei confronti dell'esercito, anche se lo stesso autore ha dichiarato che il film «non è nato come inchiesta né come pretesa di documentazione».
MARCIA TRIONFALE risente di un grave squilibrio sul piano strutturale che impedisce la formulazione di una chiara «È la storia di…», che risulterebbe quanto mai confusa e frammentaria.
La vicenda è quella della recluta Paolo Passeri, neo-laureato in lettere, che, forse per mancanza delle necessarie raccomandazioni, si trova a dover prestare servizio militare come soldato semplice. L'impatto che questo giovane ha con la vita di caserma - tratteggiata nel comportamento dei commilitoni, dei «nonnini» (cioè gli anziani che tiranneggiano i nuovi venuti), dei superiori e soprattutto del terribile capitano Asciutto, che imperversa in ogni dove e che si diverte sadicamente a disarmare le sentinelle per metterne subdolamente alla prova la capacità di applicare rigorosamente le norme del regolamento militare - l'impatto, dicevo, è talmente traumatico da portarlo alla determinazione di sottoporsi ad un grave deperimento organico, che gli consentirebbe di ottenere il congelo ed il ritorno alla vita civile.
Ma a dissuaderlo da tale proposito è proprio il capitano Asciutto, ufficiale nevrotico e maniaco, che sfoga sui soldati le frustrazioni e le umiliazioni che è costretto a subire sul piano familiare e sessuale da parte di una moglie vittima e carnefice al tempo stesso.
Dopo un confronto diretto tra i due, consistente in una violenta scazzottatura «privata», Passeri subisce una profonda evoluzione psicologica che lo porta a diventare egli stesso un «duro» nei confronti degli altri, uno che ha imparato a difendersi e farsi rispettare persino dai «nonnini», salvo essere completamente ligio e sottomesso agli ordini del suo capitano che lo prende sotto la propria tutela (convinto com'è che tutte le persone - persino un figlio - debbono essere plasmate, «educate», trasformate a proprio piacimento, con le buone o, ancor meglio, con le cattive).
È chiaro che tale trasformazione gli comporta da un lato l'inimicizia ed il rancore dei commilitoni e dall'altro la stima e la fiducia di Asciutto che arriva al punto di affidargli una missione estremamente riservata: sorvegliare e pedinare la propria moglie, sulla cui fedeltà nutre dei dubbi molto seri.
Ma la moglie (Rosanna) - cleptomane, provvista di un amante fisso (un sottuficiale, rispondente al nome di Baio, che la tratta come una prostituta) rifugiatasi nell'apatia e nella rassegnazione di una vita inutile - finisce dapprima per impietosire e poi per sedurre il proprio sorvegliante, che tacerà tutto al marito sospettoso. Sarà Baio che, per vendicarsi d'essere stato piantato da Rosanna per Passeri, farà la spia ad Asciutto, provocando le sue ire. Alla fine, Asciutto, abbandonato per sempre dalla moglie, non più disposta a subire le sue violenze, e persino dal suo pupillo, desideroso di riacquistare la stima e l'amicizia dei compagni, viene ucciso da una sentinella alla quale aveva tentare di sottrarre il fucile. Passeri è testimone e, nonostante la sentinella non abbia sparato il primo colpo in aria a scopo intimidatorio (come prevede il regolamento), è pronto ad avallare la tesi difensiva del milte, sigillando così il suo completo e definitivo distacco da Asciutto e dalla sua mentalità.
Il racconto cinematografico si divide nettamente in due parti che non concorrono all'unità strutturale del film, ma restano due tronconi quasi indipendenti, legati tra loro esclusivamente da certi agganci di tipo narrativo.
La prima parte è quella relativa alla vita in caserma ed è senz'altro la più interessante ai fini della significazione; la seconda parte riguarda il pedinamento di Passeri nei confronti di Rosanna (comprendente la descrizione di quest'ultima, del suo amante, del loro rapporto, fino all'instaurazione del nuovo rapporto Rosanna-Passeri).
Questa seconda parte - sulla quale non vale la pena di soffermarsi molto - svolge un ruolo puramente narrativo; precisamente serve solo a far si che alla fine Asciutto venga a sapere, da una telefonata anonima di Baio, dell'infedeltà della moglie e che reagisca in un certo modo. Puro pretesto narrativo, come si vede, che non giustifica certamente la lunghezza ed il peso che essa assume nell'economia del film.Viene piuttosto il dubbio che tutta questa parte abbia una funzione quasi esclusivamente spettacolare; dubbio che diviene certezza non appena si osservino i modi del racconto: il peso che viene dato ai vari nudi di Rosanna, l'insistenza nel far vedere il suo rapporto con Baio, la descrizione della casa-alcova di quest'ultimo, con una tappezzeria ed una attrezzatura in funzione stimolatrice da far invidia ai più consumati play-boys, ecc.
La prima parte si articola in due filoni: da un lato la descrizione della vita di caserma a vari livelli (rapporti tra commilitoni; tra nuove leve e «nonni»; tra soldati semplici e sottufficiali o ufficiali), che fa emergere una concezione gerarchica, secondo la quale chi è più in basso è costretto a subire i soprusi e le violenze psicologiche spersonalizzanti di chi si trova un gardino più in alto; dall'altro la descrizione del rapporto Asciutto-Passeri. Rapporto che è all'inizio di contrapposizione (il capitano è un «duro», il soldato un «molle»), diventa poi di affinità (Passeri tende ad emulare sempre più il modello impostogli da Asciutto); alla fine tale rapporto si scioglie per una presa di coscienza (peraltro non bene esplicita dal film) della recluta, che si unisce ai compagni, abbandonando il capitano maniaco al suo destino).
Dal gioco di questi due filoni si capisce quale (forse) voleva essere l'idea centrale del film: denunciare una certa mentalità repressiva ed autoritaria, presente nella vita militare (ma non solo in questa), che, considerando le persone come oggetti da plasmare, è fonte di violenza psicologica e di spersonalizzazione.
Ma tale idea non risulta chiaramente espressa dal film, sia per il difetto strutturale già rilevato, sia perché il personaggio del capitano, che avrebbe dovuto diventare l'emblema della mentalità stigmatizzata dal regista, è talmente caricato da risultare decisamente un caso limite anziché un emblema. Asciutto è un nevrotico ed un maniaco più che essere autoritario e repressivo. E tale nevrosi pare derivargli dalle frustrazioni subite nell'ambito familiare da parte di una moglie infedele che lo rifiuta (anche se su questo punto il film rimane piuttosto - volutamente - ambiguo, per cui chi parteggia per la moglie potrebbe dire che Rosanna è diventata così per colpa del marito).
La presunta idea centrale, pertanto, emerge più a livello di fondi mentali o di idee parziali, piuttosto che essere il frutto di una struttura che riduce all'unità tematica la molteplicità degli elementi narrativi.
La valutazione cinematografica risente chiaramente del difetto di struttura (cinematografica) già denunciato, anche se, sotto altri aspetti, il film si presenta come di buona fattura. Valida soprattutto la recitazione di Michele Placido (qui nella sua migliore - finora - interpretazione), sia di Miou Miou (la francesina rivelata da I SANTISSIMI), sia di Franco Nero, che - meglio di tante altre volte - riesce a dare al personaggio di Asciutto una certa credibilità. Buono anche il commento musicale, che peraltro si limita a sottolineare soprattutto alcuni momenti «forti» del film.
Di valutazione tematica non si può parlare, dato che praticamente l'dea centrale non esiste.
Moralmente il film può essere definito negativo, sia per non essere riuscito ad esprimere una tematica che avrebbe avuto senz'altro valore (morale), sia per l'ambiguità di certe soluzioni narrative, sia per le eccessive e talvolta volgari e pornografiche concessioni spettacolari che vanno a scapito della dignità dello spattatore. Soprattutto dello spettatore che non vuole essere sottoposto a violenze psicologiche, né, tanto meno, essere spersonalizzato. (OLINTO BRUGNOLI).