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MATTI DA SLEGARE



Regia: Silvano Agosti, Marco Bellocchio, Sandro Petraglia, Stefano Rulli
Lettura del film di: Fabrizio Costa
Edav N: 36 marzo - 1976
Titolo del film: MATTI DA SLEGARE
Titolo originale: MATTI DA SLEGARE
Cast: di Silvano Agosti, Marco Bellocchio, Sandro Petraglia, Stefano Rulli - produz.: ITALIA - BN - lungh.: m. 3950 - distribuz.: Indipendenti Regionali
Nazione: ITALIA
Anno: 1976

Questo film è il frutto di una collaborazione tra la Regione Emilia-Romagna e una cooperativa di registi e tecnici, che prende il nome di «11 maggio» (riferendosi, probabilmente, al famoso maggio '68 delle lotte studentesche).

Si tratta di materiale girato per le televisioni, il quale, opportunamente sfrondato e tagliato, viene presentato anche in una edizione cinematografica a cura dell'italnoleggio.

La vicenda è quella di alcuni psicopatici che raccontano la loro esperienza agli intervistatori.

Ad inizio di film ci viene presentato un ragazzino molto giovane, il quale è stato più volte internato in collegi di rieducazione mentale dato che i genitori non lo potevano tenere a casa per il suo carattere irruento; lo stesso succedeva a scuola dove il ragazzo, a detta degli insegnanti, era piuttosto turbolento, soprattutto nei confronti dei suoi compagni. Alle domande degli intervistatori il ragazzo appare molto spigliato, capace di combattere intelligentemente alle domande, dotato di un enorme senso di lealtà nei confronti dei propri compagni; di fatto sono loro che non vogliono che il giovane si inserisca nel loro mondo.

Altro ragazzo intervistato, altra storia: Pietro, anche lui ospite per diverso tempo di case di cura per subnormali. L'individuo in questione ha un retroterra famigliare penoso: figlio illegittimo di una donna estremamente povera che non possiede il minimo per il sostentamento. Il ragazzo, alle domande che gli vengono poste, dimostra una certa coscienza politica (di sinistra) imbevuta, però, di molte contraddizioni e in fondo molto confusionaria.

Infine, Marco, figlio di una prostituta per fame, fratello di una prostituta per «vocazione». Ha qualche difficoltà nell'esprimersi, ma dimostra molta bontà d'animo; anche lui ospite per molto tempo di case di cura per malati mentali.

Gli autori, a questo punto, dimostrano come i malati (anche i più gravi) possono essere recuperati inserendoli in una attività produttiva insieme con uomini normali. Viene presa quale esempio un'officina dove gli operai si sono battuti  per avere con loro alcuni sub-normali, anche tra i più gravi. L'esperimento ci viene presentato come ben riuscito, soprattutto per i malati che si dimostrano soddisfatti della loro nuova occupazione fuori dal manicomio.

Infine, i registi del documentario entrano con i microfoni e macchina da presa all'interno del manicomio e intervistano i malati (meno gravi) rilevando soprattutto la loro coscienza politica, «partitica».

Non mancano attacchi al governo e ai preti, visti come unici conservatori di un modo di trattare i malati (nelle loro istituzioni) sorpassato ed estremamente dannoso.

Il racconto si divide in tre grossi nuclei.

Il primo, dove si indaga sulla provenienza sociale dei malati di mente e in fondo sul reale grado di accettazione della società nei confronti dei sub-normali. I risultati di questa indagine sono che i malati di mente appartengono tutti ad un sottoproletariato urbano e che la società che sta loro attorno li rifiuta, eccezion fatta per quei pochi che hanno una coscienza di classe e che sono politicamente indirizzati a sinistra.

Il secondo, dove si esaminano i casi di malati reinseriti, per merito di operai e sindacalisti (uniti nella lotta contro il padrone), nel mondo del lavoro; il risultato è ovviamente molto positivo.

Il terzo è la vita nel manicomio raccontata dai malati, con tutte le sue ingiustizie e le sue atrocità; ma anche qui vien fatto notare che qualcosa si sta muovendo e soprattutto che si sta muovendo in un certo modo.

Fa da filo conduttore, a queste tre grosse parti di film, la persona dell'assessore alla sanità (comunista) della Regione, che introduce e approva il lavoro dei registi del film.

Sostanzialmente direi che l'idea centrale può essere espressa in questi termini: «vi è nel nostro paese una situazione grave per quanto riguarda l'assistenza ai malati di mente, situazione provocata da tutti gli elementi reazionari (Chiesa, capitalismo, ecc.).

Tutto, però, può essere risolto, a patto che vi sia da parte di ognuno una scelta politica e partitica (che diviene anche scelta altamente umana) ben precisa».

Un film, dunque, di propaganda per un determinato partito.

Il fatto penoso, questa volta, è che chi si è prestato al gioco non erano persone in grado di capire quello a cui venivano sottoposti e come venivano strumentalizzati e a quali fini. Il malato mentale è stato usato non come persona bisognosa della comprensione e dell'amicizia dei suoi simili più fortunati di lui, bensì come strumento di lotta per il raggiungimento del potere politico (con la «p» minuscola), di interessi personali. Il film è un comizio disumano, orrendo. Durante la proiezione, mi è sembrato di essere in una arena dove venivano dati in pasto alle belve uomini senza la più assoluta possibilità di difendersi, di far sentire le loro vere opinioni, i loro veri problemi.

E la cosa è tanto più drammatica, in quanto il fenomeno dei manicomi in Italia è veramente un fatto sociale, grave e attuale e nessuno pare interessarsene a dovere. Che gli autori del film, pertanto, abbiano inteso sollevarlo e lo abbiano affrontato con piglio deciso è cosa assai pregevole; tanto, però, quant'è spregevole la strumentalizzazione che ne hanno fatto, impedendo così che il problema stesso venisse di fatto affrontato con quel minimo di adeguatezza che era necessario.

Cinematograficamente è opera che ha raggiunto i suoi scopi, cioè massificare e strumentalizzare.

Tematicamente e moralmente è un film - come detto - spregevole, perché fondamentalmente fascista (dove per fascista s'intende non rispettoso delle libertà degli altri uomini). L'applauso generale, che in una sala d'essai romana ha accolto la fine del film, non s'è capito bene se fosse segno d'interesse per il trattamento spesso incivile di quella categoria d'ammalati o per la parte politica che ha dato l'impressione d'interessarsene: certamente è segno che il film ha raggiunto il suo scopo. (FABRIZIO COSTA)

 


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