EXODUS
Regia: Penny Woolcock
Lettura del film di: Antonio Sancamillo
Titolo del film: EXODUS
Titolo originale: EXODUS
Cast: regia, scenegg.: Penny Woolcock - scenogr.: Christina Moore - fotogr.: Jakob Ihre - mont.: Brand Thumin - mus.: Malcolm Lindsay - cost.: Suzanne Cave - suono: Billy Maloney - interpr.: Daniel Percival, Anthony Johnson, Clare Hope Ashitey, Ger Ryan, Bernard Hill - durata: 111' - colore - produz.: Artangel - origine: Regno Unito, 2007 -
Nazione: REGNO UNITO
Anno: 2007
Presentato: 64. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2007 - Orizzonti
Il film Exodus, richiama la Bibbia non solo nel titolo, ma soprattutto nel nome e nel ruolo dei principali personaggi – Mosè, Aronne, Zipporah, Ietro, Faraone –, che in un certo senso ripercorrono le fasi della grande emigrazione che l’Esodo dell’Antico Testamento racconta. La regista con questi personaggi ripropone fenomeni di schiavitù e aneliti di libertà moderni, in chiave biblica. E questo perché solo in chiave biblica si possono leggere gli eventi di grande migrazione e conseguenti situazioni di emarginazione che vivono tante persone dalle più disparate disagevoli situazioni.
Il film si apre e si chiude con il salvataggio di una bambina Zipporah – caduta in mare in una notte di tempesta nel tentativo di raggiungere la riva – da parte di un gruppo di clandestini.
È la storia di Mosè, abbandonato sulle rive del mare e preso da una donna, moglie di Faraone, – governatore della città che racchiude a “Dreamland”, un ghetto appositamente creato, tutti gli elementi indesiderati (zingari, tossicomani, criminali, disoccupati, orfani abbandonati …) – il quale ha l’hobby della biologia marina, e intrattiene un buon rapporto con Zipporah, domestica presso la sua famiglia.
Un giorno il “padre” Faraone la licenzia perché ritiene (erroneamente) che rubi i libri della biblioteca, in realtà sono sia lui che la madre ad imprestarli.
Mosè recandosi nel ghetto (Dreamland), ritrova la vera madre, assiste a una violenza nei confronti di Zipporah e uccide la guardia. È costretto così a rimanere prigioniero del ghetto, protetto dal fratello naturale Aronne; ritrova la madre e sposa Zipporah, figlia di Jetro, a sua volta ucciso mentre tenta di proteggere un ragazzo dalla violenza delle guardie; uomo, saggio e pacifico, autorità morale della comunità di questa folla di sbandati, maestro che cerca di rieducare ragazzi abbandonati a se stessi, assimilabili agli animali per il modo di vivere e per le violenze subite.
Mosè allora per indurre Faraone ad aprire il ghetto e permettere alle persone una vita libera, costruisce insieme alla comunità di sbandati una pira altissima a forma di uomo, fatta di rifiuti, sedie, panche, tavoli … sulla sommità della quale viene issato il cadavere di Ietro e quindi incendiata. Diventa il nuovo roveto ardente da cui Mosè riceve la vocazione a liberare la popolazione della bidonville.
Da questo momento le cose precipitano sempre di più, Mosè si reca più volte da Faraone per far “liberare il suo popolo” ma questi rifiuta sempre. Cominciano così le piaghe moderne: avvelenamento del mare, infestazione dei computer, contaminazione degli alimenti con sostanze mortali, attentati dinamitardi. Solo con la morte di tanti bambini Faraone si decide a liberare gli abitanti del ghetto. Contraria a tutte queste atrocità è sempre Zipporah, rinfaccia continuamente a Mosè che non può essere con la morte che si riacquista vera libertà: “Un Dio non può uccidere le persone”.
È scontata la vicenda del film, ma rispetto all’epica ebraica ci sono sicuramente delle novità: la violenza non può essere affrontata con altrettanta violenza. Quella del debole giustifica sempre più quella del potente (il battere le mani di Faraone quando incrocia al funerale dei bambini il volto di Mosè). In nome di Dio non si possono commettere atrocità per eliminarne altre. È la figura di Zepporah che alimenta questa idea quando richiama più volte Mosè a desistere dal suo metodo e poi lo obbliga a guardare, tenendogli con la mano l’occhio aperto, le morti provocate.
Spettatori inermi, balbettanti, senza capacità di poter intervenire, se non quello di raccontare le atrocità subite o viste, sono i bambini. Significativa la sequenza in cui i ragazzi strisciano sotto le gambe degli uomini delle due fazioni che si stanno “scannando” tra di loro.
Il bambino più emarginato, che non riesce a comunicare se non con suoni e si “nutre” di odori di colla inebriante (richiamo dei ragazzi di Bucarest?) la mattina dopo il rogo tra la cenere “vede” il volto di Ietro che si rianima, mentre un cane porta via un osso che andrà a seppellire nel giardino di Faraone e che trova scavando per terra, in momento di crisi per gli eventi che non riesce più a dominare, anche se non sa dire di chi possa essere.
Un’osservazione importante non può essere sottaciuta. Il film pur riferendosi esplicitamente all’Esodo biblico, non dà la stessa visione, diciamo “religiosa”, dei fenomeni, anzi se ne discosta notevolmente. I personaggi biblici non sono violenti, non sono provocatori di violenze (Mosè dopo l’uccisione dell’egiziano fugge nel deserto dove fa il pastore a servizio di Jetro, è lì che sposa Zipporah, è lì che riceve la vocazione e il pressante invito a recarsi dal Faraone). Nella Bibbia la violenza viene dall’esterno, sono fenomeni “naturali” rapportabili alla divinità, (e qui si aprirebbe tutto il discorso del linguaggio biblico); nel film la violenza è provocata direttamente da Mosè, pur spinto interiormente da un richiamo “divino” che Zepporah gli contesta costantemente, ma che nasce dalle violenze che subiscono le persone della sua comunità.
Il volto che si rianima, l’osso disseppellito, l’incontro tra i due mondi, accomunati dal dolore provocato dalle morti violente, lo scontro finale, mentre i ragazzi scivolano sotto le gambe, suggeriscono l’idea di fondo: i fondamentalismi religiosi o politici non danno giustizia delle religioni o della cultura umana cui si rifanno. (Antonio Sancamillo)