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AKIRES TO KAME



Regia: Takeshi Kitano
Lettura del film di: Olinto Brugnoli
Titolo del film: AKIRES TO KAME
Titolo originale: AKIRES TO KAME
Cast: regia, scenegg.: Takeshi Kitano - scenogr.: Norihiro Isoda - fotogr.: Katsumi Yanagijma - mont.: Takeshi Kitano, Yoshinori Ota - mus.: Senji Hriuchi - interpr.: Beat Takeshi, Kanako Higuchi, Yurei Yanagi, Kumiko Aso - durata: 119' - colore - produz.: Office Kitano Inc. - origine: Giappone, 2008 - distrib.: Celluloid Dreams
Nazione: GIAPPONE
Anno: 2008
Presentato: 65. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2008 - Concorso
Premi: Premio filmcritica Bastone Bianco 2008

Il regista. Nato a Tokio nel 1947, Takeshi Kitano acquista una notorietà a livello internazionale quando viene premiato con il Leone d’Oro alla Mostra di Venezia nel 1997 per il suo film Hana-bi. Altre opere conosciute in Italia sono L’estate di Kikujiro, Dolls e Zatoichi.

La vicenda. Figlio di un ricco collezionista d’arte e mecenate, Machisu è un bambino dall’aria triste e malinconica con una grande passione, quella di dipingere. Incoraggiato anche da un famoso artista che dimostra di apprezzare le sue opere, Machisu non fa che disegnare, in qualsiasi momento e nelle situazioni più strane e imprevedibili. Il fallimento dell’azienda paterna, con il conseguente suicidio dei genitori, lo obbliga a vivere da uno zio in campagna che lo maltratta. Qui egli ha l’occasione di incontrare uno strano personaggio, Matazu, considerato da tutti uno scemo per la sua mania di dipingere. I due avranno modo di far amicizia e di influire reciprocamente l’uno sull’altro. Divenuto un giovanotto, Machisu non ha perso la sua passione e continua a dipingere quadri, che regolarmente non riesce a vendere, mantenendosi grazie ad un lavoro in una tipografia. Un gallerista visiona continuamente le sue opere e, un po’ per aiutarlo, un po’ per sfruttarlo, critica i suoi quadri, invitandolo a studiare all’Accademia la storia e le tecniche della pittura. Nel frattempo Machisu s’innamora della bella Sachiko che lo sostiene e lo incoraggia. Con gli studenti dell’Accademia incomincia tutta una serie di esperimenti (i più svariati e pericolosi) per cercare nuove forme espressive, ma con conseguenze dolorose e autodistruttive. Il matrimonio con Sachiko e la nascita di una bella bambina diventeranno comunque occasione per continuare in questo tipo di ricerca. Raggiunta la mezza età, Machisu, con l’aiuto della moglie e nonostante le rimostranze della figlia che si sento lo zimbelllo della gente, prosegue in una ricerca sempre più parossistica che gli farà perdere di vista ogni ragionevolezza e lo porterà ai limiti della pazzia. Abbandonato dalla moglie, arriva quasi al suicidio per fare un’esperienza estrema, ed infine, uscito dall’ospedale completamente fasciato, raccoglie un vecchia lattina di CocaCola che cerca di vendere a un prezzo esorbitante. Per fortuna la moglie ritorna e se lo porta a casa, mentre lui allontana con un calcio la lattina, sbarazzandosene.
Il racconto. La struttura del film è lineare e divide la vicenda in tre grosse parti precedute da un prologo e seguite da un breve epilogo. Nel prologo, costituito da immagini di disegni, si racconta (con chiaro riferimento al titolo del film) del paradosso di Zenone circa l’impossibilità da parte di Achille di raggiungere una tartaruga che sia in vantaggio su di lui di dieci metri. Nell’epilogo si dice, invece, che «Così Achille raggiunse la tartaruga», con riferimento al ritorno di Sachiko e al suo ricongiungimento col marito, che finalmente approda ad una dimensione più umana, abbandonando quel fuoco autodistruttivo dal quale si era lasciato prendere. Le tre parti raccontano i tre momenti della vita del protagonista, Machisu: l’infanzia, la giovinezza e l’età di mezzo. In tutte e tre le parti al centro dell’attenzione c’è il problema della pittura e dell’arte in genere. Nella prima parte l’arte è vista come ispirazione profonda e ineliminabile, una sorta di vocazione che viene da un demone che non ti dà tregua. Ma è anche scoperta della realtà e nel contempo trasfigurazione della stessa, cioè creazione di una nuova realtà. È significativo che queste doti appartengano ad un bambino e ad un sempliciotto, considerato lo scemo del villaggio: entrambi dimostrano una sensibilità innata che altri non possiedono. Ma l’arte può anche diventare oggetto di valore dal punto di vista economico. Ed ecco la presenza di mecenati (senza i quali, si dice, l’arte non esisterebbe), di galleristi, di commercianti che talvolta sfruttano gli artisti spingendoli a sacrifici disumani.
Nella seconda parte l’integrità dell’artista prosegue, segno di una vera e sana passione (si veda, ad esempio, il rifiuto di Machisu di drogarsi per cercare lo sballo). Ma le pressioni, gli stimoli, il desiderio di affermazione rischiano di prevalere. Soprattutto quando gli insegnanti sono inetti, i critici ti assillano e i compagni di studio ti spingono ad atteggiamenti incontrollati e irrazionali, frutto di una concezione distorta della ricerca artistica. Nasce qui il dilemma: che differenza c’è tra fama e talento? Non è facile rispondere, ma certamente l’autore fa capire che le due cose raramente coincidono.
Nella terza parte l’arte degenera in pazzia, in un atteggiamento che cerca di raggiungere i limiti del pensiero e in un parossismo sempre più accentuato, al limite del delirio di onnipotenza. È significativo che Sachiko, che aveva assecondato il marito in ogni suo stravagante esperimento, si allontani da lui, quand’egli dipinge il volto del cadavere della figlia, gridando: «Sei diventato pazzo…non sei più umano».
Solo dopo il miracoloso salvataggio dal rogo da lui stesso procurato, e con il gesto paradossale di mettere in vendita la lattina a un prezzo folle, il protagonista sembra ritrovare il senso della misura e del buon senso. E gli consente di ritrovare la vita e l’amore che includono anche l’arte, ma che la superano perché l’arte fa parte della vita e solo in un vita ricca di valori può trovare la sua straordinaria e nobile fecondità. (Olinto Brugnoli)
 


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