IN PARAGUAY
Regia: Ross McElwee
Lettura del film di: Franco Sestini
Titolo del film: IN PARAGUAY
Titolo originale: IN PARAGUAY
Cast: regia, scenegg.: Ross McElwee - fotogr.: Ross McElwee - mont.: Julie Mallozzi, Ross McElwee - mus.: Augistin Barrios - suono: Ross McElwee - durata: 78' - colore - produz.: Homemade Movies - origine: Usa, 2008
Nazione: USA
Anno: 2008
Presentato: 65. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2008 - Orizzonti
È la storia di una adozione da parte della famiglia del regista, di una bambina, Mariah, di pochi mesi, nata in Paraguay e delle circostanze che si susseguono dal momento della decisione a quello dell’arrivo negli Stati Uniti, precisamente a Boston dei genitori e dei figli.
Il capo famiglia – cioè il regista che manovra personalmente la macchina da presa e fa anche qualche rara apparizione in video – parte con la moglie e con il figlio, Adrian, che è – in un certo senso – il motivo dell’adozione: alla festa di compleanno del ragazzo, quasi tutti gli invitati erano bambine e quindi il padre e la madre deducono che nella loro famiglia manca una femmina; da lì la presa di contatto con una associazione per le adozioni e, la successiva partenza per il Paraguay quando hanno la conferma dell’assegnazione della piccola Mariah.
Nello spazio di tempo che la burocrazia del luogo si prende per risolvere la pratica e dare l’autorizzazione per l’adozione ed il successivo espatrio, la famigliola è alloggiata in un albergo, senza avere niente da fare tutto il giorno e questo motiva l’autore a compiere delle ricerche ed a filmare alcune realtà del paese sudamericano.
I filoni d’inchiesta sono sostanzialmente tre: il primo riguarda le immagini della miseria e della povertà nella quale si dibatte una gran parte della popolazione paraguaiana: peraltro, per assistere a queste cose non c’era bisogno di spostarsi troppo lontano da casa, perché a sapere ben guardare alcune di quelle immagini potrebbero provenire anche dalla ricca e colta Boston: sono le incongruenze che esistono anche negli USA, ma delle quali il regista parla in un'altra forma.
Ed eccoci subito al secondo filone del documentario: l’influenza dell’America nella miseria attuale del Paraguay, influenza che viene della a parole, senza che una sola immagine possa documentarla; l'autore compie una sorta di storia di quella nazione – ovviamente a parole, cioè leggendo da un testo – dalla quale si ricava come il Paraguay fosse stato conquistato dalla Spagna nel ‘500 e fosse rimasto asservito agli spagnoli fino al 1811, anno nel quale un gruppo di paraguaiani ardimentosi si riuniscono in una casa di Asuncion – divenuta monumento nazionale – e decidono di dare inizio ad una rivolta per l’indipendenza; la Spagna, avvertita del fatto, decide che quel paese non vale una guerra e si ritira in buon ordine, lasciando il Paraguay libero di decidere il proprio futuro.
Da quel momento si susseguono tutta una serie di “dittatori”, ovviamente paraguaiani, che portano il paese alla rovina, oltre che a sterminare una parte elevata della popolazione; di tutti questi personaggi, l’autore rivela la connivenza degli Stati Uniti, senza peraltro dirne il motivo, visto che in quel paese non esistono risorse naturali, a cominciare dal petrolio che invece abbonda nella confinante Bolivia.
Il terzo filone è quello che ci mostra la disastrosa burocrazia paraguaiana nel contesto della pratica di adozione; in proposito, fatta salva la meraviglia dell’autore che evidentemente non ha avuto molti contatti con le strutture pubbliche, ci viene mostrato tutto l’iter che il dossier della piccola Mariah deve passare, dalla Corte d’Appello al Ministero (non è specificato quale) allo scopo di consentire ai genitori adottivi di portarsela negli Stati Uniti.
Una cosa che ritarda le decisioni dei pubblici ufficiali è la notizia apparsa sulla stampa internazionale che molti loschi trafficanti occidentali, adottano bambini in Paraguay per utilizzarli nella vendita degli organi; è logico e meritorio che le autorità, avuto sentore di questo traffico, rallentino la concessione dei visti e intensifichino i controlli delle singole pratiche di adozione.
Finalmente arriva il sospirato benestare delle varie autorità e, dopo aver preso le impronte della piccola Mariah ai fini del rilascio del passaporto (e bellissima la sequenza che ci mostra i ditini della piccola imbrattati d’inchiostro dopo essere stati calcati sul documento), la famiglia si imbarca su un aereo e se ne torna negli Stati Uniti, dove amici e parenti li stanno aspettando per festeggiarli.
Un altro momento interessante è quando la bambina viene portata davanti ad un Giudice americano per la concessione della cittadinanza statunitense: il regista tiene a mostrare la differenza – sotto il profilo umano – tra la burocrazia USA e quella paraguaiana.
C’è una tematica in questo documentario? Anzitutto non mi sembra che l’autore abbia una precisa idea in testa - ed infatti ad una domanda specifica del giudice risponde che “prima filma le cose e poi vede come utilizzarle” – e non abbia neppure una volontà ricorrente nei 100 minuti di film; forse l’unico motivo che si ripete è l’addossare la colpa agli Stati Uniti di tutte le miserie che ci mostra nel paese sudamericano: tanto per dire, il signor McElwee non si pone neppure il problema di quello che “lui” come cittadino privilegiato di una nazione così ricca, abbia fatto per abbassare il rapporto sull’uso delle ricchezze del mondo che nella stragrande maggioranza è appannaggio delle Nazioni (cioè dei cittadini) più ricchi; voglio sperare che non si senta a posto solo perché ha girato questo documentario, perché altrimenti sarebbe facile….
Sotto il profilo tecnico, le immagini sono sempre ben fatte e, alcune volte hanno delle “sgranature” tipiche del girato a mano e del “non professionale”: a mio avviso questo rende ancora più “vere” le cose che ci vengono mostrate e quindi vanno ad aumentare la validità del film. (Franco Sestini)