TADDEI PROFETA DELLA COMUNICAZIONE
di LUIGI ZAFFAGNINI
Tra i molti studiosi, che si sono occupati di studiare la comunicazione e le sue applicazioni al mondo dei massmedia in generale e del cinema in particolare, spicca, per originalità profetica, la figura di Padre Nazareno Taddei SJ. Egli ha saputo precorrere i tempi e servirsi di tutte le moderne tecnologie, per trovare sempre nuove vie per testimoniare e diffondere il senso ultimo del Vangelo, anche e soprattutto nel nostro mondo post-moderno, così pervaso dal materialismo pragmatico e dal relativismo soggettivistico.
La strada maestra, che Taddei ha individuato almeno mezzo secolo fa e percorso, poi, in un continuo approfondimento per tutta la vita, è stata quella della novità e della scoperta, nell’ambito dei linguaggi, della duplice valenza che essi assumono sotto il profilo quantitativo e qualitativo. Così è nata, per la sua grande capacità di investigare in chiave ermeneutica il mondo dei rapporti umani sottesi alla comunicazione, una sintesi feconda tra la metafisica di stampo scolastico e la più avanzata cultura critico-filosofica e logico-scientifica, che fa capo, tra gli altri, a Popper, a Wittgenstein, a Goedel.
In questo modo sono state superate di slancio la teoria della comunicazione di Roman Jakobson e la sua concezione delle funzioni della lingua, che tanto hanno condizionato e condizionano gli studi di comunicazione e di linguistica in Italia.
Per questo Taddei non ha mai voluto definire la sua impostazione “strutturalista”, ma semplicemente “strutturale”, perché lo Strutturalismo, coltivato proprio nella Scuola di Praga, gli appariva, in tutto il suo quantitativismo materialista, come una indebita strumentalizzazione ideologica del noto modello matematico della Teoria della Informazione di Shannon. Essa, valida per la trasmissione di dati tra macchine, non doveva, secondo Taddei, essere applicata supinamente alle relazioni tra esseri umani, così come facevano invece gli strutturalisti.
Piuttosto Taddei anticipava, e non di pochi anni, quello che Noam Chomsky avrebbe difeso poi, scandalizzando molti, col sostenere la origine innata del linguaggio e con la dimostrazione dell’esistenza, in tutte le lingue, di una sorta di grammatica universale, costituita da strutture organizzate e organizzanti, che governano il funzionamento della lingua stessa. Orbene, questi “universali linguistici” di Chomsky trovano una singolare corrispondenza nei cosiddetti “livelli di quiddità”, che sono uno dei tanti punti fermi della elaborazione del pensiero taddeiano.
Nella insistenza in una inesauribile ricerca a sostegno dell’aspetto qualitativo e trascendente della comunicazione, Taddei avvertiva, poi, tutto il potenziale insito negli Esercizi Spirituali e sintetizzava, mirabilmente, il momento cognitivo con l’esigenza di un apostolato di segno inconfondibilmente ignaziano, dando vita a quella Metodologia della lettura strutturale e a quella Strategia dell’Algoritmo che oggi contraddistinguono, come marchio di qualità della cultura, il cosiddetto “Metodo Taddei”.
E sulla strada del sempre più approfondito studio in nome della testimonianza della verità, nell’ambito della comunicazione, nasceva già nei primi anni sessanta, per opera del solo Taddei fra i tanti addetti ai lavori, la veramente sorprendente distinzione tra la natura del linguaggio dei concetti e quella del linguaggio delle immagini tecniche. A questa distinzione si aggiungeva la capacità di cogliere le terribili conseguenze che la assuefazione di massa al linguaggio della immagine provoca a livello di formazione distorta della mentalità, della personalità e del comportamento dei singoli.
Laddove altri si limitavano a identificare il mondo iconico in contrapposizione al mondo della parola, facendo ricorso alle categorie di una linguistica fortemente imbevuta di teoria, psicologistica e sociologistica innanzi tutto, Taddei riusciva, con gli strumenti di un tenace e incrollabile spirito di dedizione alla indagine del reale, a mettere a fuoco, all’interno dello stesso ampio mondo dell’immagine, il linguaggio specifico prodotto dalla tecnologia, che egli chiamava “dei contorni” o “contornuale”. In esso egli ravvisava scientificamente, avvalendosi anche delle scoperte della neuro-biologia, la dimostrazione di come la riproduzione tecnica della realtà (una foto, un film ecc.), indipendentemente da altri fattori estrinseci, comporti una de/formazione, grazie alle possibilità dello strumento di ripresa o di manipolazione; de/formazione che diviene autonomamente espressiva e che costringe, se non esiste una forte educazione alla lettura capace di smascherarla, a credere reale ciò che è solamente il frutto della scelta interpretativa di un uomo, che ha prodotto quella immagine tecnica.
Ecco che per Taddei si distillava, dunque, grazie o per colpa di questo tipo di linguaggio, la sempre più sottile volontà umana di condizionare i propri simili, facendoli abbeverare alla fonte di una supposta verosimiglianza, quando essa, invece, non è altro che una traduzione in immagine dell’idea o della ideologia di chi è capace di dominare gli strumenti della tecnologia della comunicazione in modo non puramente superficiale e tecnico.
Accanto alla complessa materia della educazione alla lettura strutturale del linguaggio dell’immagine Taddei indicava, allora, fin da quando era regista televisivo, la imprescindibile esigenza di formare uomini responsabili e capaci di comprendere l’intima natura e la potenzialità di quel meraviglioso mondo della tecnologia dell’immagine, per servirsene, non a scopo di potere, ma come strumento adeguato ai tempi, per testimoniare il Vangelo.
Nasceva così la Strategia dell’Algoritmo, cui anche alcuni famosi registi avrebbero mostrato più di una semplice attenzione, ricavandone suggerimenti e conforto per la loro attività artistica. Una strategia che, in ogni caso, avrebbe felicemente “contagiato” tanti allievi in ogni parte del mondo, che avrebbero sentito, attraverso di essa, la attualità di un cristianesimo inculturato, non nella ultima ideologia di moda, ma nella continuità ed efficacia di un metodo, che aiuta ad arrivare alla essenza degli eventi per scoprirvi il disegno divino.
Si realizzava, così, quasi anticipatamente, quella sintonia di valori che Taddei avrebbe, a conferma delle sue fatiche, ritrovato nelle parole del Papa Giovanni Paolo II, al capitolo 37 della Enciclica Redemptoris missio, dove, da vero grande protagonista della storia del suo tempo, ammoniva che l’evangelizzazione stessa…dipende in gran parte dall’influsso degli strumenti della comunicazione. E che non basta quindi usarli per diffondere il messaggio cristiano e il Magistero della Chiesa, ma che occorre integrare il messaggio cristiano in questa "nuova cultura" creata dalla comunicazione moderna, che nasce, prima ancora che dai contenuti, dal fatto stesso che esistono nuovi modi di comunicare con nuovi linguaggi, nuove tecniche e nuovi atteggiamenti psicologici.
Ma per quanto siano state innumerevoli le vicende della vita in cui Taddei ha mostrato la sua non comune dote di anticipare, con la attenzione costante alla lettura del mondo circostante, una soluzione coerente e adeguata ai problemi che la comunicazione di massa scatenava, piuttosto limitate nel numero, ma non nell’impegno, sono state le strutture in cui ha potuto vedere realizzati pienamente i suoi progetti di formazione educativa, prime fra tutte il CiSCS e la rivista Edav.
Ora, dopo la sua morte, il miglior riconoscimento che si può dare alla originalità profetica del pensiero di Padre Taddei è quello di favorire la diffusione delle sue idee. E’ quello di essere, perciò, consapevoli di quella fecondità di un apostolato, che si fonda su una opera di carità spirituale volta a combattere la grande povertà dei nostri tempi, che è povertà spirituale, dovuta all’ottundimento delle facoltà di corretto pensiero a causa del deleterio influsso di quel linguaggio, che lo scienziato Taddei ha investigato tutta la vita, e che il ministro di Dio Taddei ha trasformato in uno strumento che aiuta gli uomini a scoprire la maggior gloria di Dio. (Luigi Zaffagnini 13.11.2007)