VINYAN
Regia: Fabrice du Welz
Lettura del film di: Franco Sestini
Titolo del film: VINYAN
Titolo originale: VINYAN
Cast: regia, scenegg.: Fabrice du Welz - scenogr.: Arin Pinijvararak - fotogr.: Benoit Debie - mont.: Colin Monie - mus.: Francois-Eudes Chanfrault - cost.: Géraldine Picron, Pensi Boonjareon - suono: Frédèric Meert - interpr.: Emmanuelle Beart, Rufus Sewel, Petch Osathanugrah, Ampon Pankratok, Julie Dreyfus - durata: 95' - colore - produz.: The Film - origine: Francia/Inghilterra/Belgio, 2008 - distrib.: Wild Bunch
Nazione: FRANCIA/INGHILTERRA/BELGIO
Anno: 2008
Presentato: 65. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2008 - Fuori Concorso
E’ la storia di Jeanne e Paul, due coniugi che perdono il loro figlio undicenne, Josh, durante lo tsunami del 2005; aggrappandosi al fatto che le autorità non hanno ritrovato il cadavere del ragazzo e lo hanno quindi etichettato come “disperso”, i due – ma in particolare la madre – si aggrappano alla speranza che il figlio sia ancora vivo e sia stato rapito dai pirati del luogo i quali sono soliti rivendere i ragazzini agli occidentali previo riscatto (nel caso dei genitori) e dopo una contrattazione per quanto riguarda gli acquirenti di “carne fresca” per pedofili.
In occasione di un ricevimento al quale vengono invitati per sensibilizzarli nella causa della raccolta fondi per aiutare gli indigeni, viene proiettato un breve filmato nel quale si vedono alcuni bambini, senza che si possano identificare né come locali e neppure come occidentali: Jeanne è “sicura” di avere visto tra i vari ragazzini, suo figlio Josh e chiede al marito di aiutarla a recarsi sul posto dove è stato girato il filmato; Paul continua ad essere scettico, ma non ha la forza per imporsi alla moglie e, anche questa volta, acconsente alla iniziativa: viene cercato un trafficante locale, Mr. Gao, che chiede loro una cifra altissima per portarli nel villaggio dove ci sono i bambini occidentali; Paul paga e la coppia parte su una barca del trafficante, per traslocare poco dopo su una più piccola, condotta da un altro “pirata” locale, che dovrebbe raggiungere proprio il villaggio in questione.
Arrivati nel villaggio dove si crede che sia tenuto il bambino, la coppia viene condotta in una piccola capanna e, nella penombra, viene avvicinata da un ragazzino che – opportunamente istruito – in francese recita: “mamma, sono io, Josh, portami via!”; tutto bene, se non che il piccolo attore non è il figlio della coppia, ma solo uno dei tanti bambini occidentali che sono stati rapiti dai banditi locali e che recitano a memoria la lezioncina con un duplice scopo: per il bambino andare a vivere una vita migliore, per il trafficante intascare un sacco di soldi.
Jeanne rimane come fulminata e, pur ammettendo che il bambino mostratole non è Josh, non intende arrendersi, mentre Paul, questa volta si impone alla moglie e chiede a Mr. Gao di essere ricondotti al luogo di partenza ed interrompere così la ricerca del figlio; inizia il viaggio di ritorno, ma durante la traversata, Jeanne si rivolge a Mr. Gao e, dandogli un congruo “supplemento” in denaro, lo prega di trovare una valida scusa per continuare la ricerca almeno per altri tre giorni; il trafficante cambia i piani di navigazione e riporta la coppia in un altro villaggio, dove sono addirittura assediati dai bambini, solo bambini, che spuntano da ogni parte; per di più inizia una pioggia torrenziale e così la piccola comitiva è costretta a fermarsi per passare la notte al coperto.
Al risveglio, il comandante dell’imbarcazione – che, detto per inciso, nello tsunami ha perduto la moglie e 4 bambini - è fuggito con la barca lasciando la piccola compagnia in grossi problemi: da questo momento comincia un viaggio a piedi nelle paludi del luogo, con turbe sempre più numerose di bambini che vengono tratteggiate dal regista come dei piccoli “zombi”; cominciano con l’assaltare Mr. Gao che viene ucciso a sassate, moderna forma di lapidazione, dopo di che è la volta di Paul, visto come un avversario, il quale viene ucciso e sventrato; l’unica che resta viva e sembra addirittura diventare una sorta di “madre – regina degli inferi” è Jeanne che appare torreggiante insieme allo stuolo di bambini, tutti con il volto pitturato, tutti inneggianti alla loro vittoria; e gli adulti dove sono, ci sarebbe da chiedersi? Ed il film termina con una visione antitetica: di contro alla bestialità degli spettacoli messi in mostra dagli umani, abbiamo gli stupendi paesaggi del mare, delle foreste, delle montagne.
Il film si divide in tre parti, abbastanza diverse l’una dall’altra: la prima ci mostra i due coniugi nella loro vita quotidiana a Phuket, insieme alla comunità occidentale del luogo, dove si alternano passeggiate a feste brillanti e spensierate, pur essendo già presente in Jeanne il problema della scomparsa di Josh; la seconda parte prende lo spunto dal filmato nel quale Jeanne crede di vedere il proprio figlio e comprende tutta la fase delle ricerche che vengono effettuate con l’ausilio (ben remunerato) di Mr.Gao; questo blocco narrativo si chiude con la fuga del barcaiolo e l’avvento delle grandi piogge; da quel punto in poi si entra nel terzo ed ultimo blocco, nel quale i tre, presto rimasti in due per la morte del losco trafficante, vagano in questo universo fatto di raccapriccianti realtà e di ossessioni che riportano alla mente della donna immagini raccapriccianti e situazioni di inenarrabile orrore: sono forse la proiezione della sua pazzia che ormai non ha alcun argine che la possa imbrigliare e quindi si addentra in una giungla devastata dal maremoto, nel quale spadroneggia un esercito di piccoli zombi, dei quali lei sembra mettersi alla testa.
Questo cadere sempre più nel vortice della pazzia e dell’alienazione è la tematica che l’autore porta avanti: la madre che non riesce ad accettare la morte del figlio, è destinata a ridursi in quelle condizioni e scendere quindi al livello di un infernale girone dantesco abitato quasi interamente da bambini – sono morti ma ancora vivi nella memoria dei propri cari? – che sembrano un esercito in marcia per la distruzione di tutto ciò che ha provocato il cataclisma e la loro disgraziata esistenza.
Il film, scarsamente scritto sulla carta, mostra grosse lacune strutturali e pur affrontando – a suo modo – una tematica che può essere assai interessante (il modo in cui una madre non riesce a metabolizzare la morte del figlio) lo fa con immagini che provengono dalla passione dell’autore per il cinema horror al quale – specie nell’ultima parte – l’opera si rifà.
La bravura degli attori e le splendide immagini che riescono a mischiare la bellezza della natura con la devastazione dello tsunami, rendono il film abbastanza piacevole, almeno sotto il profilo della vicenda; oltre a questo livello è difficile andare in quanto lo stile narrativo – cioè l’horror - viene privilegiato rispetto a tutto il resto. (Franco Sestini)