SETTE OPERE DI MISERICORDIA
Regia: Gianluca De Serio, Massimiliano De Serio
Lettura del film di: Adelio Cola
Titolo del film: SETTE OPERE DI MISERICORDIA
Titolo originale: SETTE OPERE DI MISERICORDIA
Cast: regia, sogg., scenegg.: Gianluca De Serio, Massimiliano De Serio fotogr.: Piero Basso mont.: Stefano Cravero scenogr.: Girogio Barullo cost.: Carola Fenocchio mus.: Plus (Minus&Plus) suono: Mirko Guerra interpr. e personaggi: Roberto Herlitzka (Antonio), Olimpia Melinte (Luminita), Ignazio Oliva (Max), Stefano Cassetti (Angelo), Cosmin Corniciuc (Adrian) produtt.: Alessandro Borrelli durata: 103 colore VM 14 produz.: La Sarraz Pictures coproduz.: Elefant Films origine: ITALIA, ROMANIA, 2011 distrib.: Cinecittΰ Luce (20.1.2012)
Sceneggiatura: Gianluca De Serio, Massimiliano De Serio
Nazione: ITALIA, ROMANIA
Anno: 2011
Presentato: 29. Torino Film Festival 2011 FESTA MOBILE: FIGURE NEL PAESAGGIO
È LA STORIA DI LUMINITA, ragazza moldava arrivata in Italia per fame, la quale ruba su commissione dei suoi padroni che la mantengono senza lasciarla morire di fame con il fratello più giovane, la quale, dopo aver portato a termine il suo progetto di liberazione sfruttando un poveraccio in condizioni precarie e a costo di azioni riprovevoli, ed essersi infine lasciata commuovere da lui, dopo averlo precedentemente maltrattato e poi fatto oggetto di azioni misericordiose, da lui stesso infine ripagata con altrettanto comportamento umanitario, dopo aver raggiunto il suo scopo di liberarsi dai datori di lavoro, se ne va finalmente libera con il fratello verso un destino cattivo e incerto.
Il film si può usare anche in vista della formazione della personalità dei giovani spettatori. Intanto lo seguono, penso e spero, con piacere perchè il regista non rinuncia alla discreta spettacolarità della storia, e poi suggerisce indirettamente utili riflessioni spontanee. Ad esempio, astenersi dal giudicare le persone 'antipatiche' dalle apparenze; compatirle perchè non ne conosciamo la triste e penosa storia; non cadere nel manicheismo giusti/cattivi generalizzando abitudini e comportamenti; umiltà da conservare sempre nel parlare di argomenti 'lontani' dalla propria esperienza. Il pericolo, semmai, è quello di cadere nella retorica e nel didascalismo o nel moralismo. Questi «difetti» di conduzione del cineforum eventuale possono far naufragare i desideri di fare accettare esortazioni e consigli inopportuni di tempo e di luogo.
Vediamo nel dettaglio.
Il film lascia con il fiato sospeso fin quasi alla fine.
Anzitutto il titolo: non è di quelli tipo specchietto per le allodole. Eppure, se qualche spettatore si lascia ‘accalappiare’, non resterà deluso.
Voglio riferire le “opere di misericordia”, se non tutte almeno alcune, rispettando la struttura del montaggio. Si presenta subito come una nuova specie di giallo e fors’anche di thriller.
Che fa quel vecchio cadente con un pacco di roba in mano? Si guarda in giro, si assicura che nessuno lo veda e depone con cura il pacco dentro un cassonetto di città. Droga per un socio con il quale s’è accordato? Autobus: due giovani, una ragazza adolescente e un ragazzino, (fratello?) borbottano tra di loro. Sono evidentemente poveri e stranieri: si evince dal modo di comportarsi. Lei è Luminita, sospettosa e incute sospetto in chi la adocchia con diffidenza. Fa la ladra di professione. Ha fame, ha freddo, ha sete di denaro. Insiste nell’inseguire un vecchio cadente; cova intenzioni cattive. Basta guardarla! Infatti: sequestra il poveraccio mentre s’intrufola come una gatta nella sua povera abitazione. Lo chiude a chiave in un angusto stanzino vuoto e lo abbandona legato mani e piedi non lasciandogli modo di comunicare con alcuno (la sua gola mostra una profonda caverna vuota!). Poi esce, non si sa con quali tristi progetti in testa. Intanto ci siamo resi conto che i due giovani sono moldavi. Per quanto riguarda la struttura:
nella PRIMA PARTE del film, conosciamo la ragazza, che abbiamo capito essere la protagonista, nella SECONDA PARTE del film, si reca presso una miserrima famiglia (i suoi padroni, per i quali ‘lavora’…!) accampata sotto una logora tenda, saluta, fa cenni d’intesa, divora qualcosa che le offrono con malagrazia e si riposa. Gli occupanti parlano d’un fantolino che frigna in disparte sotto un cumulo di coperte. Figlio di chi? Forse della signora che sembra la padrona del gruppo. A vedere come lo trattano, a quel bebé non vogliono bene! Eppure ne parlano con interesse! Abbiamo capito: è stato rapito e adesso ne aspettano il riscatto. Ma da chi? La trama del film non è ancora chiara e il thriller è talmente disgustoso, che proprio non si riesce a capisce come c’entri con il titolo! Ecco: la ragazza si ripresenta al vecchio sequestrato. Non può essere parente di quel bimbo rapito; nessun elemento narrativo lo dichiara. Vediamo intanto come trascorre il tempo la protagonista con il vecchio in suo ‘potere’. Lei si comporta da despota senza alcun sentimento di pietà, lo maltratta, lo spaventa; l’altro non ha neppure la forza di reagire e tanto meno di difendersi. Gli offre qualche cosa per non lasciarlo morire di fame e di sete. La sproporzione dei due personaggi sotto il profilo comportamentale arriva al parossismo…ed è il momento della crisi della protagonista. Entriamo così nella TERZA E ULTIMA PARTE del film, quella che ci farà assistere alle opere di misericordia dichiarate dal titolo. Non saranno soltanto di carattere corporale (dare da mangiare, da bere, vestire gli ignudi ….) ma contemporaneamente anche spirituali (consolare gli afflitti, soffrire con chi soffre…), compiute da lei verso di lui e viceversa. Lo lava, lo cura con rispetto. Dimostra di essere disgustata di se stessa dopo d’averlo trattato male fin’allora. Non pensa neppure, però, di liberarlo …almeno per il momento e, suspense spettacolare! non sappiamo perché. Esausta e quasi esaurita dalla fatica psicologica di vincere la lotta contro se stessa, è affranta e sfinita. Ora è il vecchio che si prende cura di lei e contraccambia i servizi misericordiosi ricevuti. Vuoi vedere che Luminista gli chiede perdono e lo libera? Eccolo, infatti, sulla strada deserta, qualche tempo dopo, con in mano il cartoccio che gli avevamo visto nelle prime inquadrature. La ragazza recupererà il fagotto, lo consegnerà alla signora della lurida tenda e ne avrà in cambio l’altro fagotto, quello ‘vivente’. Che ne farà? Immaginiamo che lo riconsegnerà ai legittimi ‘proprietari’. Aveva, dunque, un progetto di vita e l’ha realizzato! A che prezzo, però!
Vediamo in fine i due fratelli moldavi insieme sulla strada, soli, mezzo disperati ma “liberi”.
Che ci detto il film? Non soltanto con le immagini della vicenda ma con il modo di raccontarcene la storia? Ha detto, tra l’altro, che in tutti c’è un filo d’umanità, anche in chi sa bene nasconderlo. Lo sapevamo già. Ci ha detto che nessun ragazzo/a è cattivo/a. Lo sapevamo. Che non bisogna mai disperare della ‘conversione ‘ di nessuno. Lo sapevamo. Sapevamo e avevamo già viste queste ‘cose’ in tanti altri film. Ma abbiamo visto anche parecchie ‘cose’ nuove.
Anzitutto la recitazione tutt’altro che accademica della professionista, che sembra essere quella ragazza moldava che sopravvive alla vita triste e trista trovata in Italia quando vi è arrivata in cerca di un paradiso che qui non c’è. Quel suo volto passibile eppure impassibile ed infine trasformato dalla presenza muta d’un poveruomo da lei ridotto in violenta schiavitù finalizzata allo sfruttamento, non è quello di chi recita una parte imparata bene e diretta meglio dalla regìa, ma quella che ‘finge’ ma non sembra propria d’una ladra disperata (fiction!), ma che corrisponde ad una vera ragazza emarginata in balìa della sfortuna.
Il vecchio sequestrato non poteva essere interpretato che dall’espertissimo e bravissimo Roberto Herlitzka . S’è abbandonato in mano al regista con l’umiltà d’un ‘fanciullo’ e ne è uscita la credibile icona d’un povero cristo innocente che perdona e converte chi gli ha voluto e fatto tanto male.
Le ambientazioni del film sono ammirabili nella loro voluta casualità. Tanto l’abitazione che la logora tenda provvisoria dei delinquenti di strada, ben convengono a quegli abitanti, resti umani che sopravvivono nutrendosi di vittime dei loro simili.
Molto eloquente è non soltanto il malcapitato vecchio che non parla mai e la protagonista che parla con i gesti e le scelte impostale dalla cattiva sorte (in realtà dalla intelligente sceneggiatura), ma tutti gli elementi che contribuiscono a creare un film in cui si direbbe, paradossalmente, che non succede nulla e che, pure, alza un realistico velo sulla situazione attuale d’un mondo cattivo, eppure non del tutto privo del bene, nel quale viviamo, spesso ignorandone l’esistenza e la vicinanza alle nostre comode case.
Nessuna lusinga spettacolare connota il film, che avrebbe potuto anche voler arrivare alla condanna, al pietoso compatimento fino alla tentazione di voler commuovere. Nulla di tutto questo. Il film è lì, duro, freddo, commovente anche, ma sereno e oggetto di riflessione umana. Documentario con personaggi non professionisti, scelti dalla strada?
Il regista lascia allo spettatore la libertà di pronunciare, se vuole, il suo giudizio senza influenzarlo in alcuna maniera.
Pur riconoscendo che le novità narrative e cinematografiche non sono numerose, probabilmente lo spettatore uscirà dalla sala convinto d’aver assistito alla proiezione d’un ‘film nuovo’.
La lezione umanitaria scaturita senza forzatura dallo schermo, pur appesantita da ‘croste’ d’un’umanità decaduta, s’impone allo spettatore di buona volontà.