LETTURA VIRTUALE?
di ADELIO COLA
La domanda del titolo è presentata quasi per chiederne la liceità: è permesso fare ‘lettura’ di prodotti virtuali?
Se con l’aggettivo qualificativo ‘virtuale’ intendiamo ‘possibile’, come in realtà significa, la risposta è senz’altro positiva.
Ma andiamo con ordine.
1.
Anzitutto, cos’è lettura?
È ‘raccolta’ delle idee e dei sentimenti espressi da un segno fatto da una persona per comunicare. Detta raccolta, tale è un suo significato etimologico, si esegue tramite strumenti che ‘leggono’ il contenuto della comunicazione, espressa con ‘segni’.
Questi ultimi possono appartenere alla famiglia dei ‘segni concettuali’ tradizionali e convenzionali e/o a quella dei ‘segni contornuali’, più facili da ‘cogliere’ immediatamente, ma più difficili da ‘leggere’ oggettivamente, perché troppo ‘vicini’ agli ‘oggetti’ che essi rappresentano ed ai quali sembrano rimandare. Il ‘lettore’ corre il rischio di fermarsi alla loro apparenza, che egli ‘raccoglie’ con i sensi, senza chiedersi se, al di là di quello che vede-ascolta, essi convoglino in sé stessi anche un ‘significato-contenuto’ diverso ed altro da quello immediatamente percepibile con i sensi, e che era voluto dal comunicante quando aveva creato/fatto il segno.
Il segno infatti ‘contiene’, per così dire, in modo materiale le idee ed i sentimenti immateriali del comunicante, che, per esprimerli, ha dovuto necessariamente esternarli in maniera sensibile e percepibile dai sensi del recettore, al quale il suo segno era destinato.
L’operazione di enucleazione delle idee e dei sentimenti del comunicante dal segno oggettivo si chiama ‘lettura’: con essa si cerca, e spesso in proporzione della capacità di lettura del lettore, si riesce ad estrarre dal segno il suo contenuto interiore, senza confonderlo, anzi astraendo (ma non allontanandosi definitivamente dal segno in modo da non presupporlo) dalla materialità del segno, che si presenta come connaturale a quanto il segno stesso mostra soltanto come riferimento strumentale.
Il referente del segno sembrerebbe, almeno per quello che appare, l’oggetto tale e tal altro usato dal comunicante per esprimersi; in realtà il vero referente è il comunicante, anzi l’idea e il sentimento da lui effettivamente espresso con il suo segno ‘fatto in quel dato MODO’.
Fino a questo punto sembra che tutti dovrebbero convenire; in realtà, quando si tratta di ‘lettura’, difficilmente ci si intende sulla portata ed accezione d’un termine che sembrerebbe semplice ed univoco.
Si arriva al punto di negare la possibilità, non solo, ma la legittimità della lettura di alcuni segni, che, per quanto ci riguarda, sono i più usati ed abusati dagli utenti d’immagini, del cinema in particolare.
Ed è appunto anche in riferimento alle immagini che si può ragionevolmente parlare di ‘lettura’, non d’una lettura ‘qualunque’, che potrebbe finire nell’interpretazione personale dei segni-immagine, ma, per quanto umanamente possibile, oggettiva, cioè rispettosa delle idee e dei sentimenti che il comunicante ha effettivamente espresso, ed in ultima analisi rispettosa del comunicante stesso, al quale non devono essere attribuiti contenuti mentali da lui non espressi.
Ma è possibile quest’operazione?
Se non fosse possibile con risultati almeno di buona percentuale, significherebbe che avrebbe perfettamente ragione chi negasse la possibilità per la persona umana di comunicare con un’altra persona umana per mezzo di segni-immagini, (ad esempio per mezzo delle foto ricordo dei familiari), e si arriverebbe all’incomunicabilità.
È significativo il fatto che le immagini, nel caso i film, che presentano come realistica la tesi dell’incomunicabilità, siano quelle stesse immagini filmiche che risultano comprensibili e leggibili dell’idea di incomunicabilità che intendono esprimere!
Bravura del regista comunicante, certo, e prova che la comunicazione è possibile a patto di rispettare le condizioni umane di ‘scrittura e lettura’, diciamo così, cioè di fattura del segno e della relativa lettura.
Per quanto riguarda la lettura, specifichiamo che quella da noi proposta è ‘strutturale’, parente forse ma non gemella della ‘strutturalistica’.
2.
Partiamo da un punto fermo: il comunicante, per comunicare le sue idee e sentimenti, deve ‘strutturare’ a MODO suo, ma comprensibile e leggibile da altri, il suo segno.
Ad esempio, se intende esprimere il suo contenuto interiore con parole, cioè con termini (vedi il ‘termine’ dove… termina sulla pagina scritta!) convenzionali, non potrà scrivere parole in assoluta libertà grammaticale e sintattica, a rischio di impossibilità di comunicazione per impossibilità di lettura-raccolta delle parole-frasi-periodi nei quali lo scrittore ha ‘incarnato’ le sue idee e i suoi sentimenti.
Il pittore non potrà buttare secchi di colore su una superficie pretendendone in seguito la lettura-raccolta ideale da parte dello spaesato lettore, che, al massimo, potrà leggere la confusione e l’imprecisione del contenuto, che resterà, se c’era stato nell’interiorità del pittore, illeggibile e quindi sconosciuto.
Insomma la comunicazione non si effettuerà se non sarà in qualche MODO ‘strutturata’. Sorvoliamo sulll’eventualità in cui il pittore, ad esempio, abbia semplicemente voluto ‘scherzare’ nell’esprimere la sua interna confusione ed imprecisione ideale e sentimentale, le quali però, nel caso concreto, possono oggettivamente essere ‘lette-raccolte’ dal lettore per mezzo della ‘lettura strutturale’ del segno.
Così il musico nell’uso delle note.
Così potrebbero ‘giocare’, ma molto meno per l’ovvia necessità di rispettare le leggi della statica, l’architetto e l’ingegnere, che, se rifiutano calcoli e pesi esigiti dalla struttura edilizia, si vedranno cadere addosso i muri ‘non strutturati’ come natura esige.
Insomma, la struttura nella confezione del segno è indispensabile, se il comunicante intende comunicare.
Accorgersi, rilevare, leggere la struttura del segno, è l’operazione prima, non sufficiente ma necessaria, da parte del lettore, se vuole leggere-comunicare, fare sue cioè, almeno come conoscenza se non immediatamente come condivisione intellettuale e morale, le idee ed i sentimenti espressi dal comunicante con il suo segno strutturato così e così.
Appunto ‘così e così’ e non in modo qualunque: altrettanto dev’essere letto il segno nelle sue ‘così e così’ caratteristiche oggettive, nei cosiddetti contorni due, riservando il termine specifico di ‘contorni uno’ all’apparenza del segno, che, se d’immagini, potrebbe indirizzare il lettore fuori strada, per il semplice motivo che l’immagine d’una cosa non è la cosa, (‘la fotografia del pane, ad esempio, non è il pane’: nei momenti di fame, provare per credere!).
3.
Qui sorge un problema attuale: come si può, anzi si deve, fare lettura strutturale di immagini virtuali, nello specifico, di film con effetti speciali non solo, ma addirittura con personaggi ed eventi virtuali, cioè ‘inesistenti’? Ma se sono ‘tali’ e cioè ‘non esistono’, come li si può ‘leggere’-raccogliere?
Il problema è serio, ci riguarda da qualche tempo e attende soluzione in vista d’un futuro che è già cominciato.
I film contemporanei, che essi si riferiscano alla storia, alla leggenda, all’epica, alla favola, alla pura fantasia con riferimenti al presente o al futuro, sono spesso girati con personaggi-cose-ambientazioni virtuali-‘inesistenti’ ma…’possibili’: virtuali infatti significa ‘possibili’.
Dove ‘possibili’?
La risposta sembra ovvia: sullo schermo.
Ma prima, dove?
Sul set tradizionale no, perché non esistevano!
Dove allora?
Nel solito ‘luogo’ dove abitano le idee ed i sentimenti del comunicante, nel caso nostro, della équipe dei realizzatori con in prima fila il regista: nella testa, diciamo così, cioè nell’interiorità dei comunicanti.
Questi ultimi rendono possibili-esistenti quegli attanti che di per se stessi non esistono.
Sono essi dunque creatori dal nulla?
No.
Essi si servono di materiale pre-esistente, disegnato-fotografato-computerizzato in qualunque modo e con qualunque tecnica, e lo ‘elaborano’ non a bacchetta, come succede(va) nel film tradizionale nel quale tutto dipende(va) dalla volontà del regista, ma servendosi di strumenti tecnologici vari e sempre più sofisticati, per esprimere e comunicare idee e sentimenti non dei personaggi virtuali, ma facenti parte delle interiorità degli autori stessi che li hanno, diciamo impropriamente, messi in vita e fatti esistere sullo schermo.
Insomma, con i ‘film virtuali’ sembra d’essere ritornati ai racconti delle favole del buon tempo antico: uomini che raccontavano favole con animali che parlavano, castelli incantati, foreste che si muovevano, ed altri uomini che le ascoltavano, le ‘leggevano’ e quindi le capivano, anche se quegli animali e castelli e foreste non sono mai esistiti nella realtà. Tutto è stato fatto esistere dai favolisti: per mezzo loro hanno espresso con lo strumento convenzionale della scrittura e, prima ancora, della comunicazione orale, le loro idee e sentimenti, la loro, si direbbe, filosofia di vita. Gli ingredienti entrati nelle favole erano soltanto strumentali al fine di comunicare l’interiorità dei favolisti.
La tecnologia oggi, oltre ai mezzi tradizionali, ivi compresi quelli nati un secolo fa come la radio ed il cinema, mette alla portata dei comunicatori con immagini ben altre possibilità di comunicazione.
Il fruitore, se vuol diventare intelligente (intus légere) lettore dei segni elaborati dai comunicanti con sofisticatissime tecniche di rappresentazione-narrazione-comunicazione, dovrebbe (deve?) tenersi al corrente del fatto che le nuove immagini che egli ammira sullo schermo sono frutto non di riproduzioni di cose esistenti, ma esibizione spettacolare di realtà virtuali. La possibilità di credere esistenti ‘le cose’ proiettate sullo schermo ha insidiato, del resto, gli spettatori del cinema fin dalla sua nascita un secolo fa; oggi, per quanto riguarda i film tradizionali almeno, è aumentata in modo esponenziale.
La lettura strutturale, strumento aggiornato per riuscire a leggere la comunicazione umana che oggi arriva dallo schermo anche con immagini virtuali non può, dunque, ignorare la loro origine tecnica, (non si pretende dal lettore la competenza relativa al ‘fare’ le immagini tecniche!).
Per quanto ci riguarda, circa la domanda sopra proposta sembra che la lettura strutturale si possa (si debba?) applicare anche alle recenti realizzazioni cinematografiche, se si vuole andare ‘al di là’ del fascinoso spessore virtuale-possibile-inesistente dei film virtuali e tendere con buona percentuale di successo verso la ‘raccolta’ delle idee e sentimenti e, infine, della filosofia di vita espressa dagli autori dei film stessi.
La legittimità della lettura strutturale applicata ai prodotti cinematografici virtuali è giustificata dal fatto che anch’essi, anzi soprattutto essi, sono stati ‘creati’ dai loro autori con attenzione sorvegliatissima alla loro struttura.