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NASHVILLE



Regia: Robert Altman
Lettura del film di: Costa Fabrizio
Edav N: 38 - 1976
Titolo del film: NASHVILLE
Titolo originale: NASHVILLE
Cast: di Robert Altman – sogg., scenegg.: Joan Tewesbury – fotogr.: Paul Lohmann – mont.: Sidney Levin, Dennis Hill – mus.: Keith Carradine – cost.: Jules Melillo – interpr. princ.: Rone Blakley, Karen Black, Geraldine Chaplin (Opal), Keith Carradine (Connie White), Keith Carradine (Tom Frank), Gwen Welles (Suelen Gay), Robert Doqui (Wade Cooley), Henry Gibson (Haven Hamilton), Barbara Harris, David Arkin – durata: 160’ – colore – produz.: Landscape Film, Paramount – origine: USA, 1975 – distrib.: Cinema International Corporation
Sceneggiatura: Joan Tewesbury
Nazione: USA
Anno: 1975

La vicenda è imperniata a Nashville, capitale della musica pop-country (per intenderci, quella che ha come caposcuola Bob Dylan; musica… agricolo-popolare). È tempo di elezioni presidenziali. Per la campagna elettorale di un candidato del Tennesse si organizza un incontro musicale nella città principale dello Stato. L'addetto alla organizzazione del festival elettorale, un certo Triplette, cerca in tutti i modi di contattare gli esponenti più importanti della musica pop-country. Alcuni di essi dapprima sembrano rifiuatarsi di essere strumentalizzati a fini elettorali, ma di fronte ai compensi che Triplette è in grado di offrire, tutti cedono al compromesso. Per assistere a questo avvenimento giungono a Nashville anche numerosi giovani: chi semplicemente per assistere alla manifestazione, chi per tentare la via del successo nel campo musicale (per raggiungere il quale non lasciano intentata alcuna strada, compresa quella di scendere a turpi compromessi).

Finalmente il grande incontro viene organizzato. Il luogo prefissato è il cosiddetto «Partenone», dove sorge una imitazione del più antico tempio greco. Ma, mentre è di scena la «vedette» Barbara Jean, un giovane - reduce dal Vietnam - prende la pistola e uccide la sventurata cantante. Il posto di Barbara Jean è subito preso da una ragazza che voleva in tutti i modi sfondare, la quale, entrata in possesso del microfono, intona una canzone il cui ritornello può essere tradotto per un «di tutto questo a me non importa niente»; mentre gli spettatori sembrano apprezzare l'esibizione dimenticandosi dell'accaduto.

Il racconto è diviso in tre parti, in ognuno delle quali Altman esamina, sotto il profilo psicologico, i vari personaggi che fanno parte della società di Nashville: cantanti, press-agent, produttori discografici, pubblico che assiste alle varie manifestazioni. Indaga, cioè, nella psicologia dei «divi» e del pubblico che ha reso tali questi personaggi.

Ne risulta un quadro piuttosto negativo in cui regnano la superficialità nei rapporti umani (si veda, per esempio, il cantante Tom, sempre alle prese con «amorazzi» occasionali dei quali nemmeno lui è soddisfatto, oppure la cantante Barbara Jean costantemente in preda a esaurimenti nervosi ecc.) e una situazione di incomunicabilità a tutti i livelli (sembra che solo due bambini muti riescano a comprendersi gesticolando).

In questa fase del racconto è importante tener presente le canzoni che via via vengono presentate: la costante è quella di un falso impegno condito con delle melodie banali e orecchiabilissime, tutti elementi che fanno sì che il pubblico divori il prodotto alimentando così, di fatto, la propria confusione e superficialità.

I vari flashes su detti personaggi sono strutturalmente uniti fra di loro da un elemento importantissimo: un automobile per la propaganda elettorale di un candidato alla Casa Bianca - che è lo stesso che organizza la manifestazione finale in cui accadrà il «fattaccio» - che gira per la città. Il furgone propagandistico è costantemente preceduto da uno strano individuo che cavalca una motocicletta con tre ruote sul modello EASY RIDER. Da questo furgone elettorale vengono emessi - per mezzo della voce del candidato alla presidenza diffusa con potenti megafoni - slogan pieni di luoghi comuni, tendenti alla difesa dell'individuo nei confronti della società che lo opprime, senza però indicare reali soluzioni di miglioramento, anzi sembra che questi slogan servano unicamente ad alimentare il malcontento tra la popolazione. L'uomo in motocicletta, che «apre» la strada al furgone, si capisce essere uno dei principali «broker» (Termine inglese che si traduce per «sensuale», «mediatore». ndr) tra cantanti e organizzatori della manifestazione che si terrà al «Partenone».

A questo punto, conviene esaminare l'altro elemento che unisce strutturalmente i vari episodi narrati dal film: il personaggio della giornalista inviata dalla BBC per un articolo su Nashville. L'inviata non è naturalmente americana, quindi non soffre della situazione tipica di quel paese che Altman descrive in questo film, ma - come gli americani - anche lei è vittima del divismo, dunque della superficialità e degli altri difetti tipici rilevati dal regista. Infatti, per quanto si sforzi, non riesce a capire un bel nulla di Nashville e rimane anch'essa invischiata nel giro dei «divi» che intervista.

Tutti i personaggi fin qui descritti li ritroviamo nella scena finale, quella - per intenderci - dove viene uccisa Barbara Jean, la «star» della manifestazione canora. Chi la uccide è un giovane reduce dal Vietnam, tenuto dall'autore, fino a questo punto, leggermente sotto tono rispetto agli altri personaggi del film. Il giovane, infatti, non sembra partecipare mai alle vicende descritte e assume spesso un atteggiamento distaccato nei confronti dei «divi» che puntualmente segue nei luoghi dove tengono i loro recital.

Il delitto, come dicevo, viene consumato alla presenza di tutti coloro che hanno preso parte al film, i quali non sembrano sconvolti dall'accaduto… così anche come gli spettatori presenti: tutti cantano in coro il ritornello «di tutto questo a me non importa niente».

Su questo ritornello la macchina da presa parte con una «panoramica» verticale dal campo totale degli astanti e si ferma sull'inquadratura del cielo chiaro ma nuvoloso.

A questo punto, siamo in grado di esprimere l'idea centrale che non è di carattere estetico, bensì tematico: «la società nord-americana (e con essa quella occidentale) soffre di una crisi di valori autentici data la sua superficialità e la mancanza di comunicabilità tra gli esseri umani che vivono in essa. Questa situazione di squallore generale ha delle cause ben precise: una incapacità sostanziale di fare politica senza cadere nella retorica e la mancanza di precisi riferimenti culturali adattabili alle nuove esigenze (si veda, per esempio, la ricostruzione decisamente "kitsch" (Termine tedesco che si traduce per «ciarpame», «paccotiglia». È usato per indicare una produzione artistica privata di valore; oggi si usa internazionalmente per riferirsi a opere pseudo-artistiche e a prodotti di cattivo gusto piccolo-borghese (dalla voce «kitsch» in «Enciclopedia Universale Fabbri», 1971, vol. VIII, pag. 190.  ndr)

) del Partenone davanti al quale si svolge la manifestazione canoro-politica, i continui riferimenti alla storia americana in chiave di canzonetta scaccia pensieri, la manifestazione para-religiosa in cui la gente accorreva per ottenere le grazie a pagamento). In questo tipo di società è molto difficile guardare al futuro con speranza, poiché le azioni che nascono nel tentativo di cambiare qualcosa si riducono a un conato data la loro superficialità e incertezza».

Un enorme affresco, dunque, sul nostro tempo, sulle nuove generazioni (tutti i personaggi sono giovani) malate di benessere e di consumismo, incerte e confusionarie a tal punto da concedere pochissime speranze a chi osserva; affresco che, sotto il profilo tematico, non può che essere giudicato positivamente, nonostante il non sufficiente approfondimento delle vere cause e l'angolazione che non sfugge a molte correnti e stereotipi. Il film esprime in maniera soddisfacente l'idea dell'autore, nella quale si trovano eventualmente i veri limiti. Certamente l'opera vuole essere originale e spettacolare e, in alcuni momenti, lo diviene soprattutto per gli amanti delle «canzonette» alla Bob Dylan. Per questo fatto, chi non leggesse il film, magari potrebbe incorrere in abbagli notevoli.

Positivo il giudizio anche sotto il profilo cinematografico. Altman dimostra di essere perfettamente a suo agio dietro la macchina da presa che muove con estrema pacatezza, ma in modo notevolmente incisivo ai fini espressivi.

Strutturalmente, qui, tutto è al suo posto: il ritmo è ben dosato; la fotografia, estremamente desaturata, esprime - fin dalle prime immagini - quel clima di incertezza e di superficialità sempre presente nel film. Cinematograficità, dunque, anche ai bassi livelli della struttura.

Moralmente, l'opera non presenta motivi di critica, in senso negativo, anche se la visione dell'autore ha, come detto, i suoi limiti ed è alquanto pessimistica, senza molto adito alla speranza. Tuttavia il film mi sembra scaturire da una meditazione abbastanza corretta e adeguata sul momento storico attuale. Credo, inoltre, che l'ispirazione sia sempre sincera e senza secondi fini.

Chi non legge il film, al massimo non lo capirà o s'annoierà, ma non dovrebbe essere preda di comunicazioni inavvertite, dannose e massificanti. (FABRIZIO COSTA)

 


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