Sanremo, il festival dell’orgoglio gay, degli accordi e delle strategie televisive
di ANDREA FAGIOLI
Edav N: 367 - 2009
L’articolo ampliato e completo di foto, schemi si trova in Edav n. 367 febbraio 2009
La questione era nell’aria. Da giorni si discuteva sul testo della canzone di Povia, «Luca era gay». Persino il Tv Sorrisi e canzoni, da sempre depositario dei testi sanremesi, dedicava a Povia una pagina intera (foto 1) e relegava gli altri in condominio (foto 2). Ma non solo: il noto rotocalco, la settimana prima del Festival, ospitava un intervento di Franco Grillini con tanto di asterisco e qualifiche: presidente onorario Arcigay e presidente Gaynet, associazione giornalisti gay (foto 3).
Insomma ce lo dovevamo aspettare. E la gag, assai banale, tra Luca Laurenti e il modello Paul Sculfor doveva suonare come campanello d’allarme. Eppure non volevamo credere che lo stesso Roberto Benigni si sarebbe prestato al «gioco», concludendo la sua comparsata (decisamente sotto tono rispetto ai suoi standard) con la recita della lettera di Oscar Wilde inviata dal carcere al suo giovane amante.
«Gli omosessuali – spiega Benigni – sono stati torturati, ammazzati perché amavano. Quello che conta è l’amore. L’unico vero peccato è la stupidità». A questo punto sono partiti i primi piani di un Grillini plaudente. Finito qui? E sarebbe già tanto. Nemmeno per sogno. Canta Povia e Bonolis consegna (in senso letterale) il microfono al presidente onorario dell’Arcigay che legge un messaggino dell’amico milanese che rivendica la solidità e la bellezza dell’amore tra due uomini.
Insomma, dalla prima puntata di Sanremo, di fronte a poco meno di 15 milioni di telespettatori, è saltata fuori, come idea inavvertita, che gli omosessuali vivono storie belle e felici e che di fatto non c’è distinzione tra uomo e donna quando c’è l’amore.
Lungi da noi intenti discriminatori, ma qui siamo di fronte all’ostentazione dell’omosessualità e dell’orgoglio gay, conditi in modo ruffiano dalla tv pubblica verso la deriva del tutto è lecito quando è possibile.
Un’idea subdolamente rilanciata nelle serate successive, grazie anche alla presenza dei rammentati modelli (i «valletti») che si sono alternati sul palco dell’Ariston e il cui casting è stato curato direttamente da Sonia Bruganelli, giovane moglie di Paolo Bonolis, che per la serata finale ha proposto David Gandy, il testimonial del profumo di Dolce & Gabbana (stilisti dichiaratamente omosessuali), la cui immagine a torso nudo tra i faraglioni di Capri campeggiava quello stesso giorno sull’ultima pagina a colori dei principali quotidiani italiani (foto 4). E non certo per caso. Lo stesso dicasi della pubblicità del Lavazza e di tutto il resto delle promozioni in cui era coinvolto lo stesso Bonolis e, in qualche caso, la spalla Laurenti (che, guarda ancora caso, si chiama Luca come quello della canzone di Povia che «era gay»). Da ricordare, al proposito, anche il bacio sulla bocca tra i due presentatori, che, sia pure scherzoso quanto si vuole, confermava il file rouge di questa cinquantanovesima edizione del Festival di Sanremo.
Altri esempi non mancherebbero, ma chiudiamo il filone che potremmo definire dello «sdoganamento gay» con un interrogativo: sarà del tutto casuale il secondo posto di Povia? Se ad esempio fosse stato eliminato, il cerchio non si sarebbe chiuso. E non significa nulla se la canzone era a favore o contro gli omosessuali, se Freud ha detto o non ha detto quello che gli ha fatto dire il cantautore. Povia o chi per lui o con lui ha offerto il leit motiv al Festival, Grillini compreso. E qualcuno, per condire meglio il tutto ha tirato fuori (qualcun altro lo aveva già fatto da tempo) anche la questione politica.
Lasciamo perdere (anche i dubbi sul televoto) e saliamo dal secondo gradino del podio al primo, che ci permette di aprire il filone che potremmo definire dell’«amicizzazione». Già molti programmi tv, infatti, si rifanno sostanzialmente al format di «Amici», la trasmissione di Canale 5 condotta da Maria De Filippi. Ma anche in questo caso non avremmo immaginato che a vincere questa edizione del Festival di Sanremo sarebbe stato Marco Carta, proveniente direttamente da «Amici», nella serata in cui la Rai per la prima volta ospitava Maria De Filippi la quale, subito dopo la chiusura del Festival, dichiarava a Tv Sorrisi e canzoni di arrabbiarsi se qualcuno avesse voluto «vederci una strana coincidenza». Fra l’altro lo stesso Tv Sorrisi e canzoni si affrettava, appena spente le luci dell’Ariston, a portare Bonolis, la De Filippi e Carta in uno studio a Sanremo per realizzare le foto della copertina e del servizio principale del numero post-festival (foto 5).
Si arrabbi pure la signora De Filippi, ma la coincidenza è davvero strana, cosÍ come è strano che la conduttrice del programma di maggior successo del sabato sera di Canale 5 vada il sabato sera sulla prima rete della tv avversaria e lasci alla controprogrammazione, come l’ha definita Bonolis, nientepopodimenoche uno sceneggiato sulla Montessori.
La vittoria a Sanremo di una creatura della De Filippi, la presenza della stessa conduttrice sul palco dell’Ariston, la mancata controprogammazione e chi piú ne ha piú ne metta hanno spinto ad ipotizzare uno scenario «Raiset»: un compromesso economico e culturale fra i due componenti del duopolio, Rai e Mediaset, per contrastare l’avanzata sul mercato televisivo di nuovi protagonisti come Sky.
Grande orchestratore dei tanti filoni sanremiani, mister un milione di euro, Paolo Bonolis, le cui capacità televisive non si discutono (soprattutto quelle oratorie finalizzate a furbe filippiche), cosÍ come non si discute che sia riuscito a mettere in piedi un’impressionante macchina del consenso e del business. Allineati e coperti anche tutti i giornalisti accreditati, tranne rare eccezioni. Basti pensare agli elogi piovuti, al posto delle domande, nel corso della conferenza stampa dell’ultimo giorno opportunamente trasmessa in diretta da RaiUno.
Paladino delle libertà, Bonolis ha rivendicato la propria di libertà, negandola agli altri. In questo caso basti pensare alle sparate contro L’Osservatore Romano reo di aver scritto una critica musicale sul Festival di Sanremo. La Chiesa lasci libero ognuno di avere le proprie idee sulla musica e sulla vita, ha detto Bonolis (tra l’altro con un chiaro riferimento alla vicenda di Eluana Englaro) negando, di fatto, la libertà di un giornale, sia pure della Santa Sede, ad avere delle idee sulla musica. Sarebbe come voler negare il diritto dei giornali alla critica televisiva, cinematografica o teatrale. Noi stessi potremmo chiudere questa rivista. Ci salva l’articolo 21 della Costituzione.