PARADIES: Glaube (Paradise: Faith /La Fede)
Regia: Ulrich Seidl
Lettura del film di: Olinto Brugnoli
Titolo del film: PARADIES: GLAUBE
Titolo originale: PARADIES: GLAUBE
Cast: regia: Ulrich Seidl – scenegg.: Ulrich Seidl, Veronika Franz – fotogr.: Wolfgang Thaler, Ed Lachman – suono: Ekkehart Baumung – scenogr.: Renate Martin, Andreas Donhauser – cost.: Tanja Hausner – mont.: Christof Schertenleib – interpr. princ.: Maria Hofstätter, Nabil Saleh, Natalija Baranova, René Rupnik, Dieter e Trude Masur – durata: 113' – colore – produz.: Ulrich Seidl Film; coproduzione: Tat Film, Parisienne de Production; con il sostegno di: Österreichisches Filminstitut, Filmfonds Wien, Land Niederösterreich, Eurimages, Centre National de la Cinématographie; in cooperazione con: ORF (Film/Fernseh-Abkommen), WDR/ARTE, Degeto, ARTE France Cinéma – origine: AUSTRIA/GERMANIA/FRANCIA, 2012 – distrib. intern.: Coproduction Office, Paris
Sceneggiatura: Ulrich Seidl, Veronika Franz
Nazione: AUSTRIA GERMANIA FRANCIA
Anno: 2012
Presentato: 69 Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia 2012 – CONCORSO VE69
Premi: 1. PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA a Ulrich Seidl - 2. Premio CinemAvvenire
Il regista Ulrich Seidl è un autore molto apprezzato (il regista Werner Herzog ha dichiarato che è tra i suoi dieci registi preferiti) e, con la sua opera prima, HUNDSTAGE ha ottenuto il Gran Premio della Giuria alla Mostra di Venezia del 2001. Nel 2003 Seidl ha fondato una sua casa di produzione con cui ha realizzato IMPORT/EXPORT e ha iniziato a girare la “trilogia PARADIES”, tre opere dedicate rispettivamente all'amore (PARADIES: LIEBE), alla fede (questo PARADIES: GLAUBE) e alla speranza (non ancora realizzato).
La vicenda è ambientata in Austria ai nostri giorni. Anna Maria è una donna apparentemente molto religiosa, ma in realtà la sua religiosità è qualcosa di epidermico, di superstizioso, addirittura di morboso. Di professione fa il tecnico radiologo, ma approfitta delle ferie per andare in giro per Vienna a portare presso persone o famiglie (soprattutto di origine straniera) una statuetta della Madonna affinché si convertano e si liberino dai loro peccati (che lei identifica quasi esclusivamente con il sesso). La sua casa è piena di simboli religiosi: un grande crocifisso, l'immagine del Sacro Cuore, la fotografia del Papa, ecc., e la donna prega in continuazione recitando rosari, suonando e cantando inni religiosi, camminando per casa in ginocchio e autoflagellandosi. Ogni tanto parla direttamente con Gesù dichiarandosi sua e ringraziandolo per averla accolta e per servirsi di lei affinché l'Austria ritorni ad essere cattolica. Periodicamente in casa sua si radunano alcune persone che con grande fervore, ma anche con una certa dose di fanatismo, recitano formule e fanno promesse al Signore. Un bel giorno, però, Anna Maria si ritrova in casa il marito, un musulmano egiziano che se n'era andato due anni prima e che ora è paralizzato alle gambe e ha bisogno dell'aiuto della moglie. Inizia una vita di inferno tra litigi e discussioni, e Anna Maria, che non è più disposta a mantenere le promesse matrimoniali, si scontra violentemente con lui. La sua esasperazione la porterà a inveire contro il crocifisso e a sputarci sopra. Salvo poi tornare a baciarlo con passione.
Il racconto procede linearmente e parte con un'introduzione che mostra subito la stanza di Anna Maria, dove la donna recita le sue insistenti e ripetute preghiere. Dopo aver fatto capire qual è la sua professione, l'autore divide chiaramente la vicenda in due grosse parti. Nella prima viene messa in risalto la sua mania religiosa (che molto spesso va di pari passo con la maniacale attenzione alla pulizia e all'igiene): da quanto si è detto a livello di vicenda, si capisce subito che la sua è una religiosità malata, nevrotica, che non può assolutamente identificarsi con la religione tout-court. La donna si scontra con varie persone che contestano la sua concezione del peccato e che rivendicano il libero arbitrio, ma Anna Maria continua imperterrita nella sua presunta missione moralizzatrice e non si ferma di fronte a niente. Nella seconda si sottolinea il rapporto della protagonista con il marito musulmano e bisognoso d'aiuto. La donna si dimostra insensibile e arriva a benedire quell'incidente, che ha provocato la paralisi del marito, come una grazia del Signore. Il marito rivendica i propri diritti e se la prende con quei simboli religiosi che hanno trasformato la moglie, tentando di distruggerli. Inoltre la rimprovera di non avere più sentimenti e di trattarlo non come un essere umano (significativa la sua domanda: «È religione questa?»). Lo scontro finale tra i due farà emergere ancora una volta il rapporto morboso che la donna ha con il crocifisso: lo flagella e gli sputa addosso dicendo di odiarlo e poi torna a baciarlo (anche qui le parole del marito che la rimprovera di essere sadica e masochista sono importanti).
La significazione del film nasce chiaramente dalla giustapposizione delle due parti da cui è costituita l'opera: la prima parte sottolinea la religiosità (la fede, di cui al titolo) malata e inautentica della protagonista; una fede idolatrica e superstiziosa, formalistica e presuntuosa, una vera e propria caricatura della vera fede; la seconda parte mette in risalto “i frutti” di tale fede: l'incapacità di comprensione umana, l'intolleranza, la mancanza di sentimenti, la crudeltà, la mancanza d'amore.
L'idea centrale, pertanto, consiste nella denuncia di una “fede” degenerata a vuoto formalismo, a fanatico devozionalismo, a presuntuoso moralismo. Tale “fede” non può che rappresentare la negazione di fatto dei veri valori (la solidarietà e la carità) che costituiscono il fondamento della “vera religione”.