WADJDA
Regia: Haifaa Al Mansour
Lettura del film di: Olinto Brugnoli
Titolo del film: WADJDA
Titolo originale: WADJDA
Cast: regia, scenegg.: Haifaa Al Mansour fotogr.: Lutz Reitemeier mont.: Andreas Wodraschke cost.: Peter Pohl mus.: Max Richter interpr. princ.: Reem Abdullah (mother), Waad Mohammed (Wadjda), Abdullraham Al Gohani (Abdullah), Ahd (Hussa), Sultan Al Assaf (father durata: 97' colore produz.: Razon Film con High Look Group, Amr Alkahtani, Rotana Studios, Norddeutscher Rundfunk, Bayerischer Rundfunk orig.: Arabia Saudita/Germania, 2012 distrib. intern.: The Match Factory
Sceneggiatura: Haifaa Al Mansour
Nazione: ARABIA SAUDITA GERMANIA
Anno: 2012
Presentato: 69 Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia 2012 ORIZZONTI
La regista Haifaa Al Mansour, classe 1974, è la prima regista donna dell'Arabia Saudita. Dopo aver realizzato tre cortometraggi è riuscita nella non facile impresa di girare interamente un lungometraggio nel suo Paese e addirittura nella capitale, Riyad. Ciò grazie anche ad una collaborazione interculturale che le ha permesso di avere a disposizione due troupe: una tedesca e l'altra Saudita.
La vicenda è quella di Wadjda, una ragazzina di circa dieci anni che fa fatica a sottostare alle regole scolastiche e sociali del suo ambiente. Si può dire che è una ribelle che riesce, con astuzia, a fare un po' a modo suo. Dopo un litigio con il suo amico Abdullah che, dopo averle sottratto il velo, fugge via velocemente con la sua bicicletta, nasce nella ragazza il desiderio di possedere una bici per poter battere l'amico in una corsa su due ruote. Ma le ragazze educate e perbene non possono andare in bicicletta, che viene considerata un pericolo per la loro virtù. La madre non glielo permette e pertanto Wadjda cerca di raggranellare in tutti i modi dei soldi per poter finalmente realizzare il suo sogno. La madre, che è preoccupata perché suo marito sta pensando di prendere un'altra moglie, visto che lei non è capace di dargli un figlio maschio,non si accorge di quello che la ragazza sta combinando. Per poter raggiungere la somma necessaria, Wadjda si iscrive ad una gara religiosa che prevede la conoscenza approfondita del Corano. Riuscirà a vincere, ma quando annuncia che con quei soldi vuole comprarsi una bicicletta, la somma le viene sottratta per essere destinata ai palestinesi. Delusa e amareggiata, Wadjda si mette a piangere, proprio mentre si stanno celebrando le nuove nozze di suo padre. La madre, allora, anche lei sconfitta, le regala quella bicicletta che le permette di continuare a sognare.
Il racconto è lineare e presenta fin dall'inizio la figura della protagonista. La prima immagine ce la mostra a scuola con ai piedi le scarpe da ginnastica, a differenza di tutte le altre ragazze. Si capisce subito che Wadjda non può sopportare certe regole che sono frutto di pregiudizi e di una cultura maschilista. Con i lunghi capelli corvini sull'abito nero, cammina lungo le polverose strade della città con il suo zaino in spalla; si ferma a giocare con Abdullah come se anche lei fosse un maschio; ascolta musica straniera a casa e produce braccialetti con i colori nazionali,che poi vende a scuola di nascosto. Ma il film, oltre a seguire il filone della protagonista nella sua rincorsa verso un sogno proibito, si sofferma a descrivere anche la condizione delle donne. A partire dalla madre, che soffre perché ha paura che il marito si prenda un'altra moglie (cosa che puntualmente avverrà) e che le studia tutte per cercare di piacere al suo uomo. E poi tutte le altre, che devono coprirsi completamente per non essere guardate dagli uomini, che non possono cantare perché la «voce mette la donna nuda», che non possono laccarsi le unghie o leggere delle riviste (a scuola), pena una severa punizione da parte delle maestre. Tutto sembra essere proibito, a meno che non avvenga nel nascondimento o nell'ipocrisia. Significativa anche l'immagine dell'albero genealogico del padre della protagonista, dove risultano solo i nomi dei maschi e dove Wadjda cerca di mettere anche il proprio (ma inutilmente). Così come suona inquietante il riferimento alla polizia religiosa che può intervenire in qualsiasi momento a tutelare la moralità e il buon costume. Nel finale sia Wadjda sia la madre risultano sconfitte. Ma quel regalo della madre e l'immagine finale di Wadjda sorridente che può andarsene in giro per la città con la sua bicicletta diventano un motivo di speranza. Quella speranza che nasce dalla perseveranza e che permette di continuare a lottare per arrivare a quella parità di diritti che appartengono alla persona umana.