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QUALCOSA NELL'ARIA



Regia: Olivier Assayas
Lettura del film di: Franco Sestini
Titolo del film: APRES MAI
Titolo originale: APRES MAI
Cast: regia e scenegg.: Olivier Assayas – mont.: Luc Barnier e Mathilde Van de Moortel – fotogr.: Eric Gautier – scenogr.: Francois-Renaud Labarthe – cost.: Jurgen Doeringst – mus.: Nicolas Cantin – interpr. princ.: Clément Motayer (Gilles), Lola Créton (Christine), Félix Armand (Alain, Hugo Conzelmann (Jean-Pierre), Carole Combes (Laure), India Salvor Menuez (Lesile) – durata: 122’ – colore – produz.: Charles Gillibert Mk2, Vortex Sutra – origine: FRANCIA, 2012 – distrib. intern.: MK2 - distrib.: Officine UBU (17.1.2013)
Sceneggiatura: Olivier Assayas
Nazione: FRANCIA
Anno: 2012
Presentato: 69 Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia 2012 – CONCORSO VE69
Premi: 1. PREMIO MIGLIORE SCENEGGIATURA a Olivier Assayas - 2. Premio Fondazione Mimmo Rotella

È la storia di alcuni giovani che, all’indomani del ’68, si ritrovano ancora a manifestare ed a cercare di “fare la rivoluzione”; il film inizia con una manifestazione del febbraio 1971 che ha fortemente segnato quegli anni: organizzata da “Soccorso rosso”, l’iniziativa è a sostegno di due dirigenti della “sinistra proletaria” che, incarcerati, reclamano lo status di prigionieri politici; grazie ad uno sciopero della fame, otterranno questa condizione carceraria e quindi la manifestazione appare come superflua, ma la Prefettura ne vieta lo svolgimento e la componente di sinistra la mantiene per poter così andare allo scontro fisico.

Tra questi ragazzi – liceali non ancora ventenni – spicca Gilles, che si arrabatta a manifestare, ma non disdegna una impegnativa storia d’amore e, soprattutto, il suo amore per il disegno; lo slogan allora di moda è “cambiare tutto” ed infatti i giovani ci provano, con tutte le contraddizioni e le incertezze tipiche di quella generazione che poi – a ben guardare – non è molto dissimile da quella contemporanea.

Dopo la manifestazione i giovani provano una nuova tattica: scrivere su tutti i muri della loro scuola slogan rivoluzionari, rivolti alla classe docente ed anche ai politici; in questa occasione, i vigilanti intervengono e scoppia un fuggi fuggi generale che si traduce in un vigilante ferito gravemente alla testa e in una serie di giovani che “pensa” di essere denunciata alla Polizia.

È per questo motivo che Gilles – abbandonato dalla fidanzatina Laure che raggiunge la famiglia a Londra – insieme ad altri amici di scuola, si appresta a compiere un viaggio prima in Italia e poi in Inghilterra; l’obiettivo è duplice: fare in modo che la Polizia si scordi di loro e allo stesso tempo impegnarsi nella lotta che altri “compagni” italiani e di altri Paesi stanno mettendo in piedi.

Quello che i giovani si trovano davanti è una ferrea costante: da una parte c’è il potere, con tutte le sue leggi – econo0miche e di altra natura – e dall’altra ci sono i partiti della sinistra strutturata che al loro interno “tollerano” alcune componenti deviazioniste (troschiste o maoiste); ovviamente loro non si ritrovano in nessuna delle due situazioni e cercano disperatamente una propria strada da percorrere, con lo stesso obiettivo iniziale, cioè “cambiare tutto”

In questo viaggio, l’impegno politico s’interseca con svariate relazioni amorose, più o meno serie, ed anche con la ricerca artistica, ed è questa forse la parte più riuscita del film; per esempio, in Italia s’imbattono nelle rivendicazioni dei braccianti e poi degli operai della FIAT, tutte manifestazioni che i giovani seguono con grande attenzione anche se non vi partecipano direttamente, poiché quei movimenti sono troppo “strutturarti” per dei “rivoluzionari” come loro.

I destini dei vari giovani impegnati in questo road-movie, ovviamente si dividono e alcuni di loro rientrano a Parigi abbastanza presto, mentre altri proseguono per Londra, dove hanno casa i genitori, ed altri arrivano a Parigi più tardi; è il caso di Gilles che giunge in Francia e ritrova Christine, con cui aveva intrecciato una bella storia d’amore, che si è messa con un funzionario del Partito comunista, e si comporta quasi come una moglie – accudisce la casa, fa la spesa, prepara i pranzi, ecc. – e nei pochi ritagli di tempo partecipa a semplici iniziative del partito.

Altri giovani – come per esempio la bella Laure, anch’essa “vicina” a Gilles, si ritrova con un giovane che si droga e la droga e conduce una vita in apparenza bella e luccicante, ma in realtà piena di vuoti e di carenze affettive.

Gilles ha una proposta dal padre: dato che questi è affetto dal morbo di Parkinson e comincia ad avere difficoltà a scrivere per il progressivo irrigidimento delle dita, lo potrebbe assumere come “segretario tutto fare” e condurlo sui set delle fiction televisive che il padre realizza, tutte centrate sulla figura del Commissario Maigret. Gilles accetta e al termine del film lo vediamo impegnato in una duplice attività: da una parte l’assistenza al padre su un set televisivo e dall’altra la partecipazione all’esibizione di una “band” attraverso la proiezione di alcuni lucidi da lui preparati con i suoi disegno: insomma, da una parte la solidità di un impiego e dall’altra la possibilità di continuare a coltivare la propria passione per il disegno.

E la rivoluzione? Il voler “cambiare tutto”? Sembra tutto accantonato anche se tra loro continuano a parlare di politica, di posizioni maoiste o troschiste, ma solo a parole e davanti ad un bicchiere di vino; quindi è finito tutto? Certo che non occorreva quest’ennesimo film sul ’68 e seguenti, per dirci che quella generazione ha fallito ogni propria aspirazione e quindi ne paga le conseguenze sotto l’aspetto psicologico; del resto sono gli attuali sessantenni, coloro cioè che detengono il potere e quindi la rivoluzione è stata messa bellamente in cantina insieme alle cose vecchie, il cavallo a dondolo e l’armadio della nonna.

Piuttosto, potremmo provare a chiederci che relazione e che attinenza possiamo rilevare tra quei ventenni e quelli attuali: crisi economiche a parte, gli impegni politici autenticamente volti a modificare la situazione sociale si contano sulle dita di una mano; adesso – come allora – l’impegno politico è visto solo come un punto di arrivo per chi ne intraprende il cammino e per i propri famigli; quindi in sostanza, fatte salve le sfaccettature delle singole realtà antropologiche e sociali, non penso proprio che ci sia una grande differenza. Forse l’unica potrebbe essere quella che almeno “loro” hanno parlato di fare la rivoluzione, quelli di adesso non mi sembra proprio che si addentrino in questi discorsi.

Ma torniamo al film e diciamo subito che è molto ben fatto e che spero abbia successo anche al botteghino; eppure amalgamare una narrazione che ha tanti micro-protagonisti, tutti da “curare” non deve essere stato facile per l’autore che mi sembra ci sia riuscito a sufficienza; anche le figure dei ragazzi – i cinque o sei protagonisti maggiori – sono tutte ben caratterizzate e ben delineate; del resto il regista – vanta una militanza di cinque anni nella redazione della prestigiosa rivista “Cahiers du Cinéma” e questo è il suo primo lungometraggio, dopo alcuni contri che hanno ricevuto premi anche al Festival di Cannes.

 


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