LA CINQUIÈME SAISON
Regia: Peter Brosens e Jessica Woodworth
Lettura del film di: Franco Sestini
Titolo del film: LA CINQUIÈME SAISON
Titolo originale: LA CINQUIÈME SAISON
Cast: regia e scenegg.: Peter Brosens e Jessica Woodworth – mont.: Jessica Woodworth – fotogr.: Hans Bruch Jr. – scenogr.: Igor Gabriel –– cost.: Claudine Tychon – mus.: Michel Schopping – interpr.princ.: Aurelia Poirier, Django Schrevens, Sam Louwyck, Gill Vancopernolle – durata: 93’ – colore – produz.: Peter Brosens e Jessica Woodworth – origine: BELGIO/OLANDA/FRANCIA, 2012 – distrib. intern.: Films Boutique
Sceneggiatura: Peter Brosens e Jessica Woodworth
Nazione: BELGIO OLANDA FRANCIA
Anno: 2012
Presentato: 69 Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia 2012 – CONCORSO VE69
È la storia di uno sperduto villaggio nel cuore delle Ardenne che, in occasione del cambio di stagione – dall’inverso alla primavera – mette in piedi la solita festa beneaugurate nella quale invita l’inverso ad andarsene portando con se tutti i peccati commessi, tutte le brutte cose accadute, il tutto per lasciare spazio ad una radiosa primavera che dovrebbe dare frutti e sementi. In questa occasione viene bruciato un falò fatto di rami di pino, che però non prende fuoco e lascia attoniti i presenti; comunque nessuno si può immaginare che quello è il primo segno di quello che accadrà dopo.
La primavera semplicemente non arriva e quindi provoca quello sconquasso nella vita sociale e produttiva della comunità che poi si trasforma in autentiche tragedie: i personaggi colpiti dall’evento sono tantissimi, visto che l’intero villaggio vive di agricoltura, ma in particolare mi piace ricordare una persona particolare, un professore universitario di filosofia che ha abbandonato l’insegnamento per stare insieme al figlio - in carrozzina perché disabile; questo signore vive di allevamento di api per la produzione del miele e il giorno dell’apertura delle arnie – il primo giorno di primavera – scopre che le api se ne sono andate e non hanno prodotto proprio niente.
La gente ovviamente non sa farsene una ragione e non riesce a capire quello che sta succedendo: in poche parole, la natura si rifiuta di mantenere le promesse ormai consolidate dall’abitudine, che hanno sin qui consentito alla gente di vivere e procreare; da notare che oltre alle api che hanno abbandonato le arnie, anche le mucche non producono latte e gli altri animali (per esempio gli uccelli) sono spariti e non si vedono più volare in cielo; questa situazione genera quasi subito una serie di violenze, prima contro presunti “untori” di questa situazione e poi anche tra gli stessi abitanti del villaggio, che si battono tra loro per i più futili motivi.
Dall’esterno arrivano – cinematograficamente – scarsissime notizie, ma sembrerebbe che questa realtà sia presente anche in altri posti, forse in tutto il Mondo, ma di questo l’autore non parla soffermandosi sul villaggio in questione.
E così arriviamo alla parte finale dell’opera: la gente del posto, prova a ripetere la festa della primavera e costruisce il solito mucchio di fascine che diventerà il falò beneaugurante, ma come la volta scorsa, i rami non si accendono e la festa si trasforma in tragedia: il professore apicoltore viene bruciato nella propria roulotte e il figlio in carrozzina viene scaraventato a terra, da dove verrà tratto in salvo dall’intervento di un ragazzo.
La popolazione intanto si dedica a violenze gratuite e tra loro si distingue una banda che si è costruita una specie di becco d’aquila e che vorrebbe rappresentare uno stormo di uccelli; questi vagano per il villaggio e compiono violenze su chi ha la sfortuna di capitare a tiro.
Ma a questo punto il ragazzo disabile, a malapena salvatosi dal linciaggio, comincia ad emettere un verso con la bocca che vuole imitare quello degli uccelli; dopo questo suono, improvvisamente, il luogo si riempie di una moltitudine di struzzi che vengono inquadrati sempre in primissimo piano, senza mai far vedere il contatto con l’uomo.
La tematica dell’opera è un po’ disturbata da una struttura non precisissima e quindi si fa una certa fatica a risalire all’idea degli autori che, comunque appare abbastanza identificabile: nella prima Festa di Primavera, la gente ha elencato tutte le cose malvagie che sarebbero state commesse in Inverso (dalla violenza alle ragazzine ad altre brutture del genere) e sulla base di questa auto-accusa, la gente si ritrova “punita” dalla natura che si rifiuta di collaborare come di consueto alla vita della gente, procacciando il cibo e le sostanze utili alla società; da questa condizione si può uscire solo attraverso una sorta di ritorno alla purezza (il disabile che chiama gli uccelli) che la natura considera come l’unito elemento in base al quale la vita potrà tornare a prosperare sulla Terra.
E quindi possiamo dire che la bacchettata che l’uomo riceve costantemente dalla Natura attraverso inondazioni, terremoti ed altre catastrofi, non è sufficiente, non la capisce; serve questa situazione che porta la gente sull’orlo del collasso, ma al tempo stesso ci mostra come poter riacquistare il contatto con Lei, cioè essere “puri”, quindi privi di cattiverie verso chiunque, e scevri da brutture verso i propri simili; solo così il rapporto .- che nel film sembra poter ricominciare attraverso la presenza degli struzzi – potrà essere ripristinato, con la speranza che la lezione sia servita per il futuro.
Insomma, usando un tono più apocalittico, dirò che la Natura ci avverte continuamente della situazione insostenibile in cui versa il Pianeta, sia sotto il profilo del rapporti interumani che in quello geofisico; ora comincia a fare sul serio ed a cambiare metodo: attento che se continui a barare al grande gioco della vita, mi vedo costretta a rovesciare il tavolo ed a ridare le carte a nuovi giocatori.
Come dicevo sopra, la struttura del film – pur data per buona la sostanziale difficoltà – non è come dovrebbe essere, cioè non segue un andamento che lo spettatore possa comprendere facilmente, ma rimanda a simboli e ad altri modi cinematografico, in modo che chi vede il film anche con un po’ di distrazione, difficilmente riesce ad entrare in contatto con l’idea degli autori. I quali, comunque, si mostrano molto validi nella direzione degli attori e nell’ambientazione della narrazione, con una atmosfera che mostra un paesaggio costantemente ostile, silenzioso, direi quasi algido.