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O GEBO E A SOMBRA



Regia: Manoel de Oliveira
Lettura del film di: Franco Sestini
Edav N: 403 - 2012
Titolo del film: O GEBO E A SOMBRA
Titolo originale: O GEBO E A SOMBRA
Cast: regia e scenegg.: Manoel de Oliveira – mont.: Valérie Loiseleux – fotogr.: Renato Berta – scenogr.: Christian Marti – cost.: Adelaide Trepa – mus.: dal Sibelius, da Busoni, da Sostakovic– interpr.princ.: Michael Lonsdale (Gebo), Claudia Cardinale (Doriteia) Jeanne Moreau (Candidinha, Leonor Silveira (Sofia), Ricardo Trepa (Joao), Luis Miguel Cintra (Chamico) – durata: 91’ – colore – produz.: Martine de Clermont-Tonnere e Luis Urbano – origine: Portogallo/Francia, 2012 – distrib. intern.: Piramide International– distrib. ital. Mediaplex (19.6.2014)
Sceneggiatura: Manoel de Oliveira
Nazione: PORTOGALLO FRANCIA
Anno: 2012
Presentato: 69 Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia 2012 – FUORI CONCORSO

È la storia di Gebo, un anziano contabile che, nonostante l’età avanzata, è costretto a lavorare ancora per problemi familiari: vive con la moglie e la nuora, in attesa del ritorno del figlio, Joao che se ne è andato da casa e non dà sue notizie da molto tempo. Il padre pensa che sia coinvolto in qualcosa di poco pulito, mentre la madre resta fiducioso che al più presto farà ritorno a casa. E infatti una sera il giovane si ripresenta come se niente fosse cambiato; di fatto, i suoi discorsi sono tutti centrati sul denaro, sui crimini per procurarselo e sulla società che diventa sempre più repressiva. Il padre, fedele ai suoi principi di onestà, rettitene e responsabilità, ascolta questi discorsi con malcelato dispiacere e, fedele alla sua idea – il figlio è un poco di buono – gli tende una sorta di trappola: ha una borsa piena di soldi dell’azienda per la quale lavora e la mostra ostentatamente al figlio mentre la chiude in un mobiletto.

Joao, come il padre aveva previsto, è tornato soltanto per rifornirsi di quattrini e infatti, dopo un litigio con la moglie, apre con la forza il mobiletto e si impossessa del denaro, fuggendo subito dopo,invano richiamato dalla consorte.

Il giorno seguente si presenta la Polizia per svolgere indagini sul furto dei soldi dell’Azienda – che evidentemente ha sporto denuncia – e alla domanda del poliziotto, il padre si assume tutta la È responsabilità dell’evento, auto-accusandosi dell’ammanco; il tutto per il senso di responsabilità che lo ha sempre animato e per nascondere alla moglie che il figlio è un ladro; quindi sarà la sua menzogna che salverà, almeno in parte, la famiglia.

Il film si svolge quasi interamente in una piccola stanza, modestamente arredata, dove Gebo svolge la sua attività di contabile e dove la famiglia riceve eventuali amici che si fermano per prendere un caffé; insomma,il teatro d iposa è quella stanza e la macchina da presa sta quasi costantemente ferma, riprendendo – come affascinata – i discorsi degli attori che interpretano i ruoli stabiliti; in particolare Michael Lonsdale si rivela un autentico mattatore che fa convergere su di se l’interesse degli spettatori, affascinati dal suo modo di recitare e dalla bella faccia vecchia e rugosa.

La tematica che il “grande” De Oliveira ha intesa rappresentare con questo lavoro, tratto dall’omonimo romanzo di Raul Brandao, si fonda su due sostanziali principi: il capo famiglia deve fare in modo che la famiglia sopravviva a qualsiasi ferita che gli perviene dall’interno o dall’esterno, proprio perché (secondo principio) “la responsabilità” di tutto quello che avviene al suo interno è del capo famiglia che deve assumersela completamente.

L’unico difetto cinematografico che trovo al lavoro di De Oliveira, è la staticità della macchina da presa che rende l’opera soprattutto teatrale, diciamo meglio: “teatro filmato”, al quale cioè mancano quei movimenti di macchina che danno espressività alla narrazione e conferiscono la sua cinematograficità.

Un’ultima notazione: il cast è composto da tre “mostri sacri”, il già citato Michael Lonsdale, la Claudia Cardinale, nel ruolo della moglie del protagonista, brava ma niente di eccezionale e per ultima la Jeanne Moreau che ha un ruolo marginalissimo ed è quindi ingiudicabile; questi tre “anziani” sono diretti da un signore che quest’anno compirà 104 anni e da come ha realizzato questo lavoro, sembra proprio che il tempo per lui si sia fermato.

 


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