ELLES
Regia: Malgoska Szumowska
Lettura del film di: Franco Sestini
Titolo del film: ELLES
Titolo originale: ELLES
Cast: regia: Malgoska Szumowska - scenegg.: Tine Byrckel, Malgoska Szumowska – fotogr.: Michal Englert – mont.: Francoise Tourmen, Jacek Drosio – cost.: Katarzyna Lewinska – interpr. princ.: Juliette Binoche (Anne), Anaïs Demoustier (Charlotte), Joanna Kulig (Alicja), Louis-do de Lencquesaing (Patrick), Krystyna Janda (Madre di Alicia), Andrzej Chyra (Cliente Sadico), Ali Marhyar (Said), Jean-Marie Binoche (Padre di Anne), François Civil (Florent), Pablo Beugnet (Stéphan), Valérie Drville (Madre di Charlotte), Jean-Louis Coulloc'h (Padre di Charlotte) – durata: 96' – produz. : Slot Machine in coproduzione con Zentropa International Poland, Zentropa International Koln, Canal + Poland, Zdf shot szumowski, Liberator Productions – origine: FRANCIA/POLONIA/GERMANIA, 2011 - distrib.: Officine Ubu (28-09-2012)
Sceneggiatura: Tine Byrckel, Malgoska Szumowska
Nazione: FRANCIA/POLONIA/GERMANIA
Anno: 2011
È la storia di Anne, una giornalista della rivista Elle per conto della quale sta preparando un articolo/inchiesta sulla prostituzione delle studentesse; le ragazze che intervista sono due: una è la francese Lola e l’altra e la polacca Alicja; i racconti delle due prostitute in erba la turbano profondamente ma al tempo stesso le rivelano delle sensazioni che credeva avere sopito.
La famiglia di Anne è composta dal marito, con il quale c’è solo un rapporto telefonico, dato che in casa si parlano a mala pena e dai due figli, uno il più anziano e già dedito alla droga leggera e si comporta come un “ospite”, senza minimamente curarsi di partecipare alla vita della famiglia; il suo slogan rivolto ai genitori è “da grande non voglio essere come voi”; il più piccolo, adolescente, vive in perenne simbiosi con i videogiochi dai quali non si stacca neppure per mangiare.
Mano a mano che vanno avanti i racconti delle due ragazzine, Anne apprende che l’idea di diventare delle prostitute professioniste è venuta direttamente a loro e l’hanno messa in pratica in un modo semplicissimo, aprendo un loro sito su Internet, al quale – dopo una diecina di minuti – si sono precipitati diversi signori per fissare i loro incontri.
Chi sono i “clienti” delle due ragazze? Alcuni sono dei padri di famiglia che consumano con loro delle “voglie” che non possono chiedere alla moglie, ma ci sono anche giovani che si recano regolarmente con queste signorine ed anche dei maturi signori che cercano soprattutto “la nipotina”.
Perché sono entrate in questo giro? La risposta di una di loro è disarmante: lo faccio per mantenermi agli studi e per potermi permettere dei vestiti che i miei genitori non mi possono acquistare; in un primo tempo ho cercato di mantenermi facendo due lavori – baby sitter di giorno e cameriera in un fast food la notte – ma non potevo farcela e così ho optato per questa attività che mi lascia il tempo per lo studio e mi mette in condizioni di comprarmi quello che voglio.
Tutta la vicenda si svolge all’interno di due momenti topici della vita di Anne: la consegna dell’articolo finito alla redazione di “Elle” e una cena “importante” perché ad essa parteciperà il “capo” del marito con relativa consorte che viene definita subito “con un cervello come quello di un roditore”. Entrambe le cose sono importanti e quindi si mischiano nella narrazione, anche se l’aspetto della scoperta di queste ragazzine che si prostituiscono, prende la meglio sull’altra problematica. Insomma, il fatto che Lola e Alicja offrano sesso, anzi quasi tutto quello che include il sesso, senza rimorsi ma solo come una merce di scambio che loro utilizzano per vivere più comodamente, rappresenta una tragica scoperta per la quarantenne Anne che non pensava potessero esistere queste situazioni.
L’articolo/inchiesta arriva a compimento, anche se la redazione le chiede una riduzione da 18/mila a 15/mila caratteri e quindi Anne deve rimettersi a sistemare lo scritto; in attesa di prepararsi per la cena Anne ha un attimo di cedimento sessuale: la troviamo sdraiata per terra mentre è intenta ad una vivace masturbazione; la regista inquadra solo il volto, con una immagine “formato tessera” e la conclusione dell’atto la vede in preda ad un pianto convulso.
Finalmente arriva la riunione conviviale e così assistiamo alla “solita” cena borghese con i padroni di casa impegnati a fare bella figura e con gli altri che si danno da fare per apparire “simpatici”.
A metà circa del rituale, Anne, comincia a “vedere” altri commensali e precisamente gli uomini che le ragazzini le hanno descritto (tra gli altri c’è anche il gentiluomo che prima orina addosso ad una di loro e poi romanticamente canta insieme “Les feuilles mortes”) e quindi la tavola risulta occupata da Anne e dal marito e da quattro commensali che provengono dai racconti delle prostitute, ognuno di loro rimasto particolarmente impresso per una sua caratteristica, diciamo così, di richiesta.
Ad un certo punto, senza che i commensali rimangano particolarmente sorpresi, Anne abbandona la compagnia e se ne va tranquillamente di casa; dove vada il film non lo dice, potrebbe essersi seduta sui gradini o potrebbe essere andata al Parco, comunque alla fine lei rientra in casa ma la “festa” è finita ed è rimasto solo il marito che le mostra la propria preoccupazione per il suo atteggiamento; i due si abbracciano e Anne cerca un contatto autenticamente sessuale, cioè apre i pantaloni dell’uomo cercando ci avere un rapporto orale con lui, ma viene respinta e tutto finisce lì; o meglio, continua la mattina dopo quando la famigliola si ritrova a fare colazione tutti insieme e si comportano come veri e autentici borghesi: (“per favore mi passi il burro”, “senti come sono buoni questi biscotti”, ecc.).
Sembrerebbe che tutto fosse tornato come prima, con la donna che accudisce la casa (oltre a lavorare sporadicamente al giornale), il marito sempre fuori per il lavoro e i due figli che vivono come degli ospiti non paganti, con il più piccolo che nella colazione finale si mostra quello più premuroso nei confronti della madre, offrendole dei biscotti e mostrandosi disponibile ad ogni sua richiesta; peccato che finita la colazione, il suo cervello sarà nuovamente impegnato dal videogioco supportato da una cuffia che lo isola completamente dal mondo.
Il film è realizzato da sei donne: le tre attrici (la Binoche e le due ragazzine, tutte e tre brave), la regista di origine polacca, la sceneggiatrice (danese) e la produttrice (francese): la logica deduzione dovrebbe essere quella della confezione di un film “femminista”.
Per la verità il film è femminista solo perché ha una attrice come la Binoche che ostentando il suo volto non truccato e la sua fisicità da donna di mezza età, imprime all’opera un moto rotatorio proprio attorno alla sua figura ed a quello che rappresenta.
E quindi la tematica ruota per forza di cose attorno al personaggio di Anne: anche lei, come le ragazzine “costrette” dal denaro a prostituirsi, è come ingabbiata in una routine di vita che la condiziona in modo assoluto nel realizzare il solito tran tran che svaria tra le battute con il marito e quelle con i figli; uso il termine “battute”, perché mi è sembrato che non si arrivi mai a fare una bella litigata ma ci si mantenga sempre allo stadio inferiore. Verso il termine della narrazione la troviamo impegnata nella preparazione della cena ufficiale (per fare piacere al marito) e, di contro, nell’unico momento che nel film lei concede alla propria sessualità: l’atto masturbatorio che non mi è parso neppure tanto appagante.
Insomma, l’opera mostra per l’ennesima volta la presa di coscienza della borghese repressa e l’impossibilità di uscirne: non ci riusciranno gli adulti (Anne e i compagni della cena) ma neppure i giovani (le ragazzine che scelgono la scorciatoia della prostituzione per arrivare al denaro) e infine non mi sembrano degli archetipi di successo neppure i figli di Anne, uno rintronato dalla droga e l’altro rinchiuso nel suo mondo tecnologico (sia in audio che in video) senza comunicare con l’esterno.
L’autrice apre varie strade (forse è meglio chiamarli “viottoli”) sulla situazione attuale della nostra borghesia occidentale, ma non ne sviluppa pienamente neppure uno e quindi si assiste ad una seconda parte del film in cui si accavallano varie piccole tesi senza che nessuna abbia un po’ di sviluppo.
Possiamo quindi definirlo un film pessimista? A mio giudizio direi proprio di si, anche se l’ultima sequenza – quella della colazione – è realizzata con particolari gamme di colore e di luci e quindi potrebbe apparire come un qualcosa che infonda speranza; effettivamente l’immagine è così, ma non è suffragata da niente che preceda questa situazione iconica e quindi non mi sento di uscire dalla definizione del film “pessimista”.