THE WORDS
Regia: Brian Klugman Lee Sternthal
Lettura del film di: Franco Sestini
Titolo del film: THE WORDS
Titolo originale: THE WORDS
Cast: regia: Brian Klugman Lee Sternthal - scenegg.: Brian Klugman, Lee Sternthal – scenogr.: Michèle Laliberté – fotogr.: Antonio Calvache – mont.: Leslie Jones – mus.: Marcelo Zarvos - cost.: Simonetta Mariano – interpr. princ.: Bradley Cooper (Rory Jansen), Jeremy Irons (Il vecchio), Dennis Quaid (Clay Hammond), Olivia Wilde (Danielle), Zoe Saldana (Dora Jansen), Ben Barnes (Ragazzo), Nora Arnezeder (Celia), Michael McKean (Nelson Wylie), John Hannah (Richard Fordham), J.K. Simmons (Signor Jansen) – durata: 97' – produz. : Animus Films, Serena Films – origine: USA, 2012 - distrib.: Eagle Pictures (21-09-2012
Sceneggiatura: Brian Klugman, Lee Sternthal
Nazione: USA
Anno: 2012
È la storia di “una storia” e di come questa diventi importante nella vita di tre persone e delle loro famiglie; all’inizio abbiamo Clay, scrittore di successo, corteggiato – durante una sessione di lettura del suo ultimo libro – da una bella dottoranda che cerca la “verità” dietro il suo romanzo che racconta la vita di Rory Jansen, un giovane aspirante scrittore che non riesce a farsi accettare nessun libro e viene respinto da tutti gli editori ai quali si rivolge; anche il padre cerca di dissuaderlo dal continuare questa vita che non approderà a niente di utile; il giovane si sposa con Dora e si reca in viaggio di nozze a Parie e lì avrà il colpo di fortuna che cambierà la sua vita: da un rigattiere acquista una vecchia valigetta dentro la quale troverà, non appena tornato in America, un manoscritto su una “storia” bellissima che lui copierà pedissequamente (“ho messo anche gli errori di battitura”) e farà come se l’avesse scritta lui; la prima a restare ammaliata dal romanzo è la moglie che lo legge e ne rimane folgorata; analogamente il suo editore – che lo ha assunto per un lavoro amanuense – dopo avergli rifiutato tanti suoi lavori, rimane ammaliato dal romanzo che il giovane gli fa leggere e non solo lo pubblica ma gli procura un contratto per la realizzazione di altri due romanzi.
Raggiunto il successo, Rory viene seguito da un vecchio signore che gli svela il segreto del suo successo: ha semplicemente copiato” e quindi “rubato” un suo manoscritto che egli aveva smarrito durante il suo soggiorno parigino.
Il suo editore gli suggerisce di non curarsi del “vecchio”, ma Rory entra in una grossa crisi esistenziale nella quale entra anche Dora; riesce a trovare il vecchio e va a parlargli, offrendogli soldi e benefici (il nome in copertina), ma l’anziano non vuole niente e invita Rory a comportarsi come gli detta la propria coscienza; insomma, dice la fine del film, la vita ti offre delle situazioni belle ma pericolose che se le afferri poi ci devi convivere.
Il film è strutturato con un sistema “a scatola cinese” che vede i tre protagonisti – potrebbero essere anche la stessa persona – parlare della medesima problematica: Clay, il drammaturgo “arrivato” ha questa sorta di infatuazione con la ragazza che si avvicina a lui soprattutto per vivere di fama riflessa; è colui che fornisce alla struttura una specie di cornice narrante che a volte si interseca con le altre situazioni, quasi a indicare l’intercambiabilità delle cose che accadono a tutti e tre.
All’interno della cornice di Clay c’è quella di Rory, più corposa della prima, che rappresenta la parte centrale della vicenda: il giovane che all’ennesimo rifiuto di un editore di pubblicare un suo libro, comincia a rendersi conto che non diventerà mai un autore di successo – come sostiene il padre, in controtendenza alla moglie – ed allora si piega ad usare (rubare??) un manoscritto di un altro per giungere al tanto sospirato successo.
Ancora più profondo è il vissuto che viene strutturato all’interno dell’intera narrazione: quello del “vecchio”, che da soldato americano di stanza in Francia nella guerra ‘15/’18, si scopre scrittore di un poderoso romanzo, ma soprattutto vive una infelice storia d’amore che lo conduce sull’orlo della pazzia; sarà lasciato dalla moglie che poi rivedrà – da anziano, mentre lei è “rimasta” giovane – nuovamente in America; è lui il perno della vicenda perché è il suo manoscritto che da origine a tutto quello che segue. Ed è lui che praticamente “assolve” Rory dal furto del suo scritto e che, nella sua tristezza intrigante ma pietosa, induce il giovane a continuare per la sua strada “truffaldina”.
In questo film concepito come una matrioska, in cui le storie sono una dentro l’altra e i tre romanzieri diventano addirittura intercambiabili, cinematograficamente parlando, l’autore – che è anche autore della sceneggiatura insieme a Lee Sternthal – si sbizzarrisce in una riflessione sull’arte di raccontare storie, sull’uso delle parole (The words), sul bisogno di narrare agli altri i propri sentimenti, insomma su quello che viene definito “il processo creativo” che, a detta dell’autore, contiene anche delle situazioni non propriamente edificanti, come il furto di un manoscritto, ma che fanno tutte parte della vita, del modo di intendere la realtà che – dice Clay alla sua amica – non va mai confusa con la narrazione che è invece finzione e, anche se sembra avvicinarsi moltissimo alla realtà, di fatto non la tocca mai.
Quindi direi che la tematica del film è “narrativa” se mi passate il termine, cioè è una “tesi” che l’autore esplicita con questa forma strutturale assai complessa e non ben delineata in alcuni momenti: mostrare attraverso questo modo “a scatola cinese” l’impellenza che l’artista ha di comunicare attraverso la narrativa, la sua idea circa un determinato argomento; e questa modalità espressiva è, a mio giudizio, l’unica vera e autentica novità che l’autore ci mostra e che rende la pellicola “diversa” ma anche accattivante.
Però, non possiamo far finta di niente su alcuni aspetti presenti nella narrazione: il primo è che Rory, se non avesse “usato” il manoscritto di un altro, non avrebbe avuto il successo che gli è arriso; questo suo “reato” nel film è visto solo come turbamento del reo e non ha una degna condanna; forse il furto di idee è meno grave di quello delle automobili o altro che sia?
Possiamo quindi affermare che il film, costruito nella sua enorme complessità con una mano degna di tutto rispetto, rimane una esibizione di modalità cinematografica ma non arriva a comunicare alcuna idea tematica, forse perché per l’autore la vera tematica è racchiusa nella stessa modalità in cui il film viene strutturato.
Nonostante la complessità della struttura narrativa, il film ha una sua godibilità che in gran parte discende dall’uso di alcuni attori che profondono la loro arte: mi riferisco in particolare a Jeremy Irons che, nella parte del “vecchio” costruisce un personaggio pieno di sfumature che vanno dall’amore per la moglie alla speranza di diventare famoso raccontando un amore conosciuto e poi smarrito, allo stesso modo di come ha perduto le pagine del suo libro, fino alla rottura di tutte le speranze ed all’auto segregazione in una serra di fiori, luogo in cui Rory lo rintraccia; credo che dia un saggio di recitazione veramente notevole.