L'ORA DI RELIGIONE
Regia: Marco Bellocchio
Lettura del film di: Nazareno Taddei sj
Edav N: 300 - 2002
Titolo del film: L'ORA DI RELIGIONE
Titolo originale: L'ORA DI RELIGIONE
Cast: regia, sogg. e scenegg.: Marco Bellocchio - fotogr.: Pasquale Mari - mont.: Francesca Calvelli - mus.: Riccardo Giagni - scenogr.: Marco Dentici - cost.: Sergio Ballo - suono: Maurizio Argentieri - casting: Beatrice Kruger per FBI Casting - interpr.: Sergio Castellitto (Ernesto Pic¬¬ciafuoco), Jacqueline Lustig (Irene), Chiara Conti (Diana), Alberto Mondini (Leonardo), Gianni Schicchi (Filippo Argenti), Maurizio Donadoni (Card. Piumini), Gigio Alberti (Ettore), Bruno Cariello (Don Pugni), Renzo Rossi (Baldracchi), Piera Degli Esposti (zia Maria), Donato Placido (Egidio), Gianfelice Imparato (Erminio), Pietro De Silvia (Curzio Sandali), Toni Bertorelli (Bulla) - colore - durata: 102’ - produtt.: Marco Bel¬locchio e Sergio Pelone, per Filmalbatros – produz.: Filmalbatros /Rai Cinema - origine: ITALIA, 2001 (uscito nel 2002) - distrib.: Istituto Luce
Sceneggiatura: Marco Bellocchio
Nazione: ITALIA
Anno: 2011
Premi: PREMIO DELLA GIURIA ECUMENICA AL FESTIVAL DI CANNES 2002 DAVID DI DONATELLO 2003 PER LA MIGLIOR ATTRICE NON PROTAGONISTA A PIERA DEGLI ESPOSTI.
Per molto tempo sono stato indeciso — ha scritto Bellocchio nella brochure — tra il titolo che ha prevalso, L’ora di religione, e un altro titolo, appunto, Il sorriso di mia madre…». Cosí, adesso ce li troviamo uno sotto l’altro nei titoli di testa.
Che significano? Lo vedremo piú avanti.
Non è l’unica domanda che gli spettatori, uscendo di sala, si fanno; ma anche: «cosa c’entra il ragazzino?» o «cosa c’entra la storia del duello?»
Infatti, non è un film con una bella o brutta storiella, che o diverte o stizzisce, ma che si capisce subito come vicenda, anche se non ci di preoccupa, magari, di quello che vuol dire.
Del resto, lo stesso regista scrive (brochure cit.): «È un film su cui non mi è naturale parlare di regia, di movimenti di macchina, di colore (…), cioè di linguaggio (…), proprio perché lo stile viene “dopo” una prima immagine, una prima idea, che ha mosso in movimento tutta la storia. Questa immagine è» che un pittore decisamente ateo viene a sapere del — e chiamato come testimone al — processo di beatificazione della propria madre, uccisa dal fratello pazzo Egidio.
Non è una storiella. È un film con una tematica ben precisa, la quale, però, è il contrario della precisione, come vedremo.
Andiamo alla storia, per capire quella tematica; o, meglio, l’aspetto vistoso di essa, perché — come vedremo — il vero succo del film risulta non dal «cosa» di quella storia, bensí dal «come» Bellocchio la racconta, giocando con lo spettatore, ma forse anche un po’ con se stesso.
Il film, senza preamboli, dopo i titoli bianco su nero, comincia col PP di Irene, la madre di Leonardo, il figlioletto del pittore ateo, Ernesto Picciafuoco. Il ragazzino cerca di mandar via Dio, che è in ogni luogo e dappertutto e quindi non lo lascia libero nemmeno un istante. Interessante quel testo:
leonardo«Vattene! Via! Via! Via! Non voglio che stai nella mia mente! Via! Vattene! Vattene! Vattene via, ho detto!»
IRENE: «Con chi stai parlando?»
LEONARDO: «Con Dio, gli dicevo di lasciarmi in pace. Se è dappertutto non sono piú libero, neanche un secondo.»
IRENE: «Libero cosa?»
LEONARDO: «Sí, libero. Libero di stare per conto mio, di pensare da solo, lui deve saperlo.
Un po’ difficile che un ragazzino arrivi quasi ossessivamente a un’argomentazione cosí sottile nei confronti di quel Dio, di cui forse ha sentito parlare per la prima volta alla scuola di religione, dove quest’anno è stato iscritto.
Filmicamente, però, questo inizio imposta molto precisamente sia la tematica che l’ateo Ernesto impersona, sia l’influsso mentale del papà, molto affezionato, sul bambino. Se ne capirà l’importanza tematica soprattutto nella sequenzina finale del film.
Subito dopo, troviamo Ernesto, il papà, nel suo ampio e confortevole studio: riceve l’inattesa visita di don Pugni, segretario del card. Piumini, che viene a invitarlo, a nome del cardinale, per l’indomani come testimone al processo di beatificazione della madre. Ernesto cade dalle nuvole.
Come si vede, il film collega la problematica religiosa del figlio col deciso ateismo del padre. Da notare che Ernesto, quando piú tardi s’accorgerà che tutti di famiglia sono interessati alla faccenda della beatificazione, si preoccuperà di sapere se anche Leonardo ne è al corrente e la moglie gli dirà di no, con suo conforto.
Ci sono quindi le premesse narrativamente strutturali per lo svolgimento del film: rapporto d‘influsso ateistico sul figlio; beatificazione della madre nell’interesse disinteressato dei funzionari ecclesiastici e interessato della famiglia; incontro di Ernesto con la pseudoinsegnante di religione.
Torniamo alla storia, dopo la visita di don Pugni, a casa di Irene, c’è l’episodio del segno di croce, che Leonardo si fa a tavola, prima di mangiare, ma con la mano sinistra. Il papà lo corregge: «Con la destra…! … Con la destra!»
La sera, poi, a letto, sempre nella stessa sequenza, il ragazzino chiede: Papà, come fa Dio a controllare contemporaneamente sei miliardi di persone?… Eehh! Non sai rispondermi, buonanotte.»
ERNESTO: «No no — ribatte il papà —No, io so risponderti. Io non credo in Dio.
Allora il ragazzino: E allora quando morirai resterai solo... al cimitero e non ci rivedremo piú!
ERNESTO: Chi te le dice queste stupidaggini, eh?!
LEONARDO: La maestra di religione. Lei dice che il Paradiso è la nostra assicurazione sulla vita.
ERNESTO: Allora. Allora tu devi dire alla maestra di religione che noi non moriremo piú, noi non invecchieremo piú, ognuno di noi potrà scegliersi l’età in cui vivere eternamente, eh, questa è una scoperta scientifica, ricordati!
È evidenziato che figlio e papà si intendono e si confidano, ma che Ernesto rispetta le posizioni anche religiose del figlio, ma fino a un certo punto: non tollera infatti che gli si raccontino frottole; infatti, non è che quanto riferito della maestra sia un capolavoro di esattezza teologica.
Nella stessa sequenza, notiamo un certo trambusto di parenti, che Ernesto — e, per la verità, nemmeno noi spettatori — riusciamo molto a decifrare.
Dopo un breve inserto — non facilmente recepibile a prima vista — a ricordo della madre che rimprovera il figlio Egidio perché bestemmia, ci ritroviamo l’indomani a una festa (perché? quale?) in casa del sig. Baldracchi, forse un signore che commissiona a Ernesto dei disegni per bambini, un tipo che svolazza qua e là, per gli onori di casa, dal card. Piumini, presente, a Ernesto, all’ingioiellata cantante che si esibisce con una canzone molto piamente romantica . Lí c’è anche un certo conte Bulla che si offende perché Ernesto sorride ai suoi discorsi veteropolitici e, redarguito, gli dà del buffone, sí che Bulla lo sfiderà a un duello che, piú avanti, troveremo; ma piú comico che drammatico.
Un breve passaggio con Ernesto che legge un documento sulla madre e un altro con Filippo Argenti, il miracolato, che, in strada, recita le litanie mariane.
E troviamo Ernesto che va a cercare e incontra Diana, la (presunta) maestra di religione del figlio e se ne innamorerà a prima vista.
Quest’incontro con l’improvviso innamoramento di Ernesto ha, nel film, un suo peso piú narrativo e spettacolare che tematico. Ma occorre dire anche che l’apparire di Diana c’è perché è messo lí, non per sviluppo logico.
Infatti, Ernesto va alla scuola per incontrare l’insegnante di religione e gli indicano che la può trovare nella sala delle udienze e lí incontra Diana, una sua sconosciuta ammiratrice e candidata pittrice, che è lí ad aspettarlo (come mai, in ogni ipotesi, se nessuno sapeva che l’avrebbe cercata?) e che le si presenta come, ma non è (ma egli lo saprà solo alla fine), l’insegnante di Leonardo, che sembra di conoscere bene.
Si può dire che, in questo punto, la sceneggiatura scricchiola, ma volutamente, perché molto ben giocata nelle parole di approccio:
DIANA: Vuole parlare con me?
DIANA: Il padre di Leonardo. Piacere, sono Diana Sereni.
ERNESTO: Piacere. Sua madre … sua madre, insomma, è preoccupata per delle piccole fissazioni di Leonardo… l’anno scorso lo avevamo esonerato dall’ora di religione, quest’anno abbiamo pensato... Leonardo è un bambino normale, intelligente, si applica, s’arrabbia, reagisce insomma, normale.
DIANA: Mi guarda e ride…
ERNESTO: No. La pensavo diversa, lo ammetto, convenzionalmente diversa.
DIANA: Come?
ERNESTO: Brutta. è un pregiudizio, lo so, è come per le suore, si pensa sempre che siano brutte, invece non è vero. Lei è molto bella.
DIANA: Sí… Ma non basta. È il verso di una poesia russa, che sembra scritta apposta per me. La vuole sentire?
E la sente tutta.
Ormai è innamorato. Al prossimo incontro si baciano, ma non preferirà Diana alla buonanotte per Leonardo.
Frattanto, c’è l’incontro col cardinale. I funzionari ecclesiastici della beatificazione vorrebbero sapere se quella donna, la madre Picciafuoco — che ha già fatto un miracolo con un certo Filippo Argenti (ma don Pugni: «Non posso dirLe di piú. A domani. Buona sera.») — è da considerarsi anche «martire». Infatti «i due fratelli Ettore ed Erminio hanno sostenuto che Egidio l’ha uccisa poiché ella lo implorava di non bestemmiare». Egidio chiuso nel mutismo né nega né conferma; l’altro fratello — è mons. Eugenio, che dal Togo, dov’è vescovo, «coordina e dirige tutto» (per la beatificazione) — non c’era. La speranza è nella testimonianza di Ernesto. (Diciamo pur subito che un processo di beatificazione è qualcosa di ben piú serio.)
Ernesto, da… buon ateo, non ne vuol sapere. È quello che dice molto esplicitamente al card. Piumini, all’incontro: «Allora non voglio parlare di mia madre con lei. Io non la riconosco come giudice, non voglio testimoniare. Io non credo in Dio. (…) L’ho detto ieri sera a mio figlio (…) Ma non basta dirlo. Bisogna dimostrarlo con il comportamento, con le azioni» (è il discorso della «coerenza», che vedremo).
Ormai siamo in pieno discorso della famiglia che vuole la beatificazione della madre a tutti i costi e cercano di accalappiare anche Ernesto (di azione ce n’è poca: tutto sta nei discorsi).
Comincia la zia Maria: «La famiglia Picciafuoco non conta piú nulla, è la realtà, la verità, perché non ha un protettore. (…) Perché senza un protettore, un padre, un padrino, un patrono, tu non sei nulla, qualunque padre, purché sia un padre. La massoneria, l’Opus Dei, l’Istituto Gramsci, la Famiglia Marchigiana, il Circolo della Caccia, i Terziari Francescani, l’associazione mutilati e orfani di guerra. Per ritrovare il padre la famiglia Picciafuoco deve conquistare un titolo, un titolo che le restituisca dignità, prestigio, riconoscibilità. Voi rischiate l’anonimato, il nulla. Questo titolo è la santificazione di tua madre. (…)
ERNESTO: Tu disprezzavi mia madre, tu non hai mai messo piede in chiesa. Ma tu, dimmi, perché fai tutto questo?
ZIA MARIA: Beh… Piú di cinque miliardi di persone, su una popolazione mondiale di sei miliardi, credono nell’aldilà. Ma... si sbagliano tutti? Io non credo ma non sono infallibile e, per ogni evenienza, come fanno in tanti, mi assicuro per l’aldilà. Non mi costa niente e, se Dio esiste, non può condannarmi. (…) Vieni qua, goditi un po’ di piú la vita, invece di far tanto il moralista, fatti un’amante, impegna la tua coscienza sulle corna di tua moglie, e vedrai che non avrai piú tempo per affliggerti.»
Ma in famiglia, tra fratelli, cui s’è aggiunto ora anche il miracolato Filippo Augenti, i discorsi si fanno incalzanti: «Ha capito. Filippo ha capito. Vogliono farmi diventare un peccatore, un ipocrita, uno come voi.
FILIPPO: E non sei contento?! Hai una bella donna innamorata e non sei contento. Da quello che ho capito, potresti avere un’amante bellissima, senza pagare una lira, una bella miss e non sei contento, io ho pagato, non ho fatto penetrazione [con la rumena in treno, mentre veniva a Roma, che lo ha abbindolato], sono rimasto senza le mutande e tu non sei contento, ma… ma vatti a far peccatore, ma subito!!! Ma è possibile che debba sempre piovere sul bagnato. Un po’ di comprensione. Segnatevi anche voi, eh.»
Bastano queste due sole citazioni per capire quanta sincera devozione ci sia tra chi vuole quella beatificazione.
Ernesto risponde alla chiamata al duello, che, con sua enorme rabbia, si svolgerà in una comica bolla di sapone.
Ma vincerà pur sempre la sua… «coerenza» ateistica. «Innamorarmi, per esempio, una storia d’amore. — dirà al card. Piumini nell’incontro all’ospedale — Penso che in questo momento sarebbe la piú grande professione di ateismo che io mi possa permettere.» (è sposato, ma sta per divorziare).
Alla fine s’accorgerà d’essere stato buggerato anche da Diana: Leonardo gli dice che la sua maestra si chiama Ida Lappi ed è brutta:
ERNESTO: Oh, mai nessuno che mi dice: “Hai ragione te, papà. Hai ragione te, hai ragione te. Mai nessuno che me lo dice. Dormi, dormi adesso. Dormi, che è tardi, dormi. Dormi, dormi.
Ernesto si ribella: sfoderando la sua coerenza di ateo, l’indomani non andrà dal Papa.
Quella stessa sera, col figlioletto a letto:
LEONARDO: Papà, domani andiamo dal Papa.
ERNESTO: Chi te l’ha detto?
LEONARDO: Guido e Lucia [i cuginetti], loro vanno. Noi non siamo invitati?
ERNESTO: No, no, siamo invitati. Solo che c’è quel problema che ti ho detto ieri, no? Io non credo in Dio.
ERNESTO: é il suo rappresentante sulla terra. La coerenza…
ERNESTO: é fare ciò che dici di voler fare. Se uno dice una cosa e fa un’altra cosa, non è coerente.
LEONARDO: Allora io posso andare dal Papa solo se credo in Dio.
ERNESTO: Ma tu non devi avere questi problemi, no. Solo che tu, un giorno, tu potresti dire: scusa, ma perché papà diceva una cosa e ne faceva un‘altra, eh? Tutto qui.
Il film ci dice solo che: a) la notte prima, la madre Irene lo ha battezzato mentre dormiva; b) l’indomani il gruppo dei familiari Picciafuoco col card. Piumini è in attesa d’essere ricevuto dal Papa (il «Flectamus genua! Levate! [Pieghiamo le ginocchia! Alzatevi!] non è piú nemmeno un ricordo, nel cerimoniale vaticano); c) nello stesso tempo, Ernesto porta Leonardo a scuola e si fissa a guardarlo con una sorta d’espressione, che sta tra l’orgoglio e il dubbio profondo.
Cosí finisce il film e sui lunghissimi titoli di coda appaiono i quadri dei sedicenti pittore e pittrice del film.
Confesso che ho visto il film due volte; ma ho potuto rendermi conto in maniera abbastanza precisa della storia e di farne una «lettura», che mi auguro corretta, solo dopo essermi letto e riletto i testi gentilmente fornitimi dalla Casa. Infatti il film è giocato sui testi, che non risultano poi altrettanto chiari nella proiezione a causa, pare, delle riprese in diretta del sonoro, tipiche oggi dei film italiani; ma anche per la loro inserzione nell’immagine, che ne lascia la sottolineatura al solo parlato.
Detto questo, dalla storia, che ho cercato di ricostruire, a prima vista pare chiaro che l’autore abbia voluto esprimere la vittoria della coerenza, diciamo, ateistica sulle cose anche moralmente sghimbescie di certa pratica religiosa (cattolico-romana).
Bellocchio (brochure cit.) scrive: «Quest’uomo laico, lontano dalla religione da tanto tempo, scopre di non essersene ancora separato del tutto. (…) Simpatizzando col protagonista, in cui in buona parte mi riconosco, riprendo con lui, nel film, il cammino lunghissimo, ma forse non interminabile, di una definitiva separazione (con il conforto del Santo Padre, “che riconosce comunque al giusto, anche se non credente, un posto in Paradiso”, battuta tagliata per esigenza di montaggio, che pronunciava il card. Piumini nel colloquio; con Ernesto Picciafuoco nell’albergo dei poveri…). Questa è la vera suspense che percorre tutto il film.»
Strano che un’esigenza di montaggio (?!?) elimini una frase pressoché fondamentale sotto il profilo tematico…
Comunque, il discorso teologico del Papa attuale è sempre valido, ovviamente se inteso come va inteso; ma nel caso di questo film, per quanto bellissimo e quasi commovente, esso forse è rimasto (se c’era) piú nelle intenzioni che nella realtà del film. Se non erro, infatti, mi pare esso venga ben molto dopo quello cinematografico.
Artisticamente, rileviamo subito — nonostante la sceneggiatura che predilige il parlato, ma con un’ottima colonna musicale — la conduzione del film e soprattutto degli attori, degna d’un maestro. Stupisce, di primo acchito, trovare nei panni d’un ateo accanito il presto santo P. Pio, ambedue interpretati a poca distanza di tempo dal nostro bravissimo Sergio Castellitto. Del resto è proprio compito — non destino — d’un attore degno di questo nome sapersi «incarnare» anche in personaggi completamente opposti. Merito anche del regista, saper guidarne e dosarne l’impulso; ma non c’è dubbio che nel Castellitto di P. Pio e di Ernesto Picciafuoco si sente lo stesso fuoco della sofferenza umana, pur da due opposti campi di passione.
Stilisticamente, ho già riportato il pensiero dell’autore: «[In questo film] lo stile viene “dopo” la prima immagine, la prima idea», ch’è quella dello scontro tra un ateo coerente, con un figlioletto che ama e che vuole educare come si conviene, ma che sta avviandosi proprio dalla parte per lui indigesta: Dio (identificato con la Chiesa di Roma). Ed egli, ateo, addirittura cerca di aiutarlo (il segno di croce o anche l’ultimo colloquio).
E sotto questo aspetto, Ernesto è l’uomo «giusto» di cui parla Bellocchio.
Colpiscono a prima vista i nomi affibbiati ai protagonisti: «Irene» (= pace) per la moglie di Ernesto che sta dalla parte opposta, al punto da battezzare nascostamente il figlio; «Picciafuoco» per Ernesto e la sua litigiosa e strumentalizzante famiglia; «Piumini» per l’accomodante ecclesiastico di carriera e «Pugni» per il suo segretario; «Maria» (ma anche «Mariuccia»), nome di Maria SS.ma, per la zia fedifraga, che pensa di giocherellare col Padre Eterno. Sorvoliamo, anche se la cosa punge un po’.
Piuttosto, s’è accennato allo scricchiolio di sceneggiatura e di regia, relativo all’apparizione del personaggio di Diana. Se però potessimo chiamarlo «anacoluto» anziché «scricchiolio», ci accorgeremmo che di anacoluti — di struttura o di pensiero — nel film ce ne sono ben piú d’uno; ultimo, quell’andare a scuola anziché dal Papa di Leonardo: chi ha scelto? È il figlio che ha rinunciato per seguire il padre o è il padre che — contraddicendosi — s’è imposto al figlio?
Ma una sorta di anacoluto, di pensiero, c’è anche nell’idea che Ernesto ha di Dio: egli, piú o meno, lo identifica col mondo dei suoi rappresentanti.
Evidentemente Bellocchio non è molto ferrato nella conoscenza delle cose di Chiesa.
Una bazzecola, che forse è significativa, sebbene non determinante: nel benedire la mensa, il card. Piumini dice: «In nomine Patris et Filii et Espiritu[anziché Spiritus] Sancti. Amen»; e, un’altra: è ben difficile che un sacerdote arrivi a essere cardinale, per di piú Presidente di Congregazione (e di quale Congregazione!), in età cosí giovanile e che, comunque, inviti un testimone per un colloquio tanto delicato a una tavolata piena di gente sia pure poveretti.
Ma non è piú bazzecola: il mondo di chi, in qualche modo, rappresenta Dio non è affatto quello presentato da Bellocchio, anche se qualche aspetto oggetto di giusta critica esiste veramente. Sí, mondo con piú d’un contorno ingioiellato e borghese, formalista, che non sempre si riscatta con qualche istituzione benefica (l’ospedale di Piumini).
Non ho alcuna difficoltà a credere che Bellocchio non avesse alcuna intenzione di denigrare o di irridere; certo però è che, anche senza voler sentire sotto sotto la puzzetta del solito anticlericalismo, Bellocchio dimostra di ritenere quel mondo ancor fondato sulle dicerie acidule ormai, direi, superate da decenni di fatti; e ci casca anche quando vuole fargli fare una bella figura, come p.e., se non sbaglio, nel mostrare che l’abitazione e/o l’ufficio del cardinale è il citato ospizio per bisognosi.
Non diciamo, poi, come già rilevato, che un processo di beatificazione è qualcosa di ben piú serio di quanto non appaia nel film.
A questo punto, quindi, si può già concludere che, nell’argomentazione dei due mondi in contrasto (Dio-Chiesa e coerenza ateistica), circa la validità della seconda quando sarà completamente separata dalla prima, viene a mancare uno dei due termini di confronto. E quindi tutto quel discorso vacilla.
Ma c’è un altro dato che il film, oltre quel vacillare, mi pare indichi una strada d’interpretazione diversa da quella indicata a parole da Bellocchio: Irene battezza Leonardo che dorme.
A parte che si può discutere almeno della liceità, se non proprio della validità, di quel battesimo (che nel caso specifico non c’entra, perché lo si suppone valido; semmai è una nuova prova della non approfondita conoscenza di Bellocchio del mondo e delle realtà religiose), si deve notare che è Bellocchio che lo inserisce proprio nel contesto in cui egli sembra affermare la superiorità della coerenza ateistica sulle credenze religiose.
È Irene che battezza all’insaputa di Ernesto: Irene crede, Ernesto no; ma è Bellocchio che precisa la contrapposizione.
Perché? Si dirà: «Perché Ernesto non è ancor staccato del tutto dalla religione!» Ma qui si tratta di Bellocchio; non di Ernesto, che non c’entra. Appunto, si dirà ancora: perché Bellocchio si immedesima in Ernesto. Ma, ripeto, Ernesto non c’entra, quindi è l’autore del film, che non è coerente col suo protagonista!
In altre parole, Bellocchio non si sente completamente solidale col suo protagonista e quindi con la tematica che egli pare proporre.
Una sola parole sulle due bestemmie urlate da Egidio in clinica e che hanno scandalizzato qualche cattolico: se ne capisce l’esigenza di documentazione narrativa, ma mi pare non avrebbero perso della loro necessaria efficacia se fossero state realizzate per sottinteso, come l’autore fa nella sequenzina-inserto della madre che rimprovera il figlio bestemmiatore.
È ovvio che due bestemmie, esplicitate e urlate a quel modo, possano urtare la sensibilità di piú d’uno tra i cattolici, soprattutto tra quelli che si fermano ai dettagli o parlati o visivi, senza cercare di cogliere il vero significato di quello che si sta svolgendo nel contesto; ma, fino a un certo punto, anch’essi vanno rispettati.
Ci sono altri due elementi da considerare prima di poter concludere: il titolo e il sottotitolo.
Il titolo: qual è «l’ora di religione»? Direi: è un altro degli anacoluti del film: è la lezione che Leonardo ha alla scuola di religione o è quella che Ernesto impartisce con la sua condotta… coerente, o è quella che Bellocchio intende impartire con questo suo film?
Si potrebbe dire che quella di Ernesto e di Bellocchio coincidono; ma io vorrei dire proprio di no, se è vero che Ernesto dà una lezione di coerenza (la quale però molto perde di efficacia, venendo meno uno dei due termini di paragone); e che Bellocchio… (aspettiamo di cogliere le conclusioni).
Il sottotitolo: «il sorriso di mia madre». È Ernesto che parla di quel sorriso; o, meglio, è Bellocchio che dà quell’impostazione:
ERNESTO: é il sorriso di mia madre. Un sorriso indifferente, mortale, perché… di chi pensa che ti ha in pugno soltanto perché ti ha messo al mondo; un sorriso che non mi sono mai riuscito a strappare dalla faccia! Un sorriso da furbo, da fallito (…) Mia madre. è un’assassina (…) e infatti ha assassinato Egidio (…) non l’ho mai visto sorridere! (…) È il sorriso di mia madre. Un sorriso da furbo, da fallito (…) Io non voglio sorridere piú…
FILIPPO: Ma tua mamma è una santa!!! Io sono guarito invocandola nella sofferenza, io, povero peccatore. Lei mi ha guarito, lei mi protegge, nella vita, per sostenermi, mentre là, in cielo, sono coperto! Per me lei è una stella, è un angelo. Io non ho niente, non ho una lira, non ho una dote, non ho arte, non ho famiglia, non ho…
ETTORE: Basta, Filippo. Piantala!
FILIPPO: Mamma santa, proteggilo!
Che significa?
È questo un discorso da ateo «giusto» che andrà in Paradiso, perché finalmente… separato da quel Dio-Chiesa che ha messo il Comandamento: «onora il padre e la madre»?
Come concludere?
Riandando ad altri film di Bellocchio, dove i problemi — reali — si pongono, ma si lasciano risolvere agli spettatori, dei quali uno vedrà bianco e l’altro nero e l’altro grigio e tutti saranno contenti; ma ricordando anche la pessima moda invalsa da troppo tempo dei finali ambigui (l’audience ha pure il suo peso — e non trascurabile —per l’industria cinema!…), penso si debba concludere che, ancora una volta, Bellocchio s’è guardato bene dal mettersi in cattedra. Egli ha fatto un film su un’«idea» che gli si è presentata originale e possibilmente feconda, magari — perché no? — partendo dallo scandalo delle due bestemmie urlate o di una presentazione quasi scandalistica del mondo della Chiesa e dei suoi problemi.
Il film, comunque, pone vari problemi, che non sono certo quelli di fermarsi agli spunti di cassetta.
Ma per amore di verità e di giustizia e anche del cinema, certo dispiacerebbe — come già succede da qualche tempo — che il film venisse apprezzato solo per la sua nebulosità narrativa e tematica, scambiata per moderno valore.
La trovata del giusto non credente che va in paradiso (secondo quanto ha detto il Papa) ha tutta l’aria d’essere una copertura pubblicitaria d’un film appassionante, sebbene di non facile «lettura».
Per noi resta l’augurio che diventi realtà per Bellocchio.