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FACEBOOK: CONFUSIONE MENTALE E PROTAGONISMO ALLA RIBALTA


di EUGENIO ZAFFAGNINI
Edav N: 369 - 2009

L’articolo ampliato e completo di foto, schemi si trova in Edav n. 369 aprile 2009

 
Uno dei più conosciuti ed estesi fenomeni massmediali dei nostri giorni è certamente il noto Facebook. Si tratta, dal punto di vista tecnico, di un complesso sito web, a cui si ha accesso tramite un’iscrizione gratuita, e dentro cui si possono “condividere” testi e immagini con altri iscritti. Originariamente concepito come un modo per rimettere in contatto tra loro vecchi compagni di scuola (da qui il nome Facebook, “il libro delle facce”, con riferimento agli annali di alumni che tanto piacciono ai college statunitensi), si è pian piano trasformato in una gigantesca comunità virtuale che oggi conta più iscritti dell’intera popolazione europea, e che ha certo perso di vista il carattere post-scolastico che ne aveva informato i primissimi anni di esistenza. Oggi, Facebook è “abitato” da milioni di persone che non hanno più in comune solo la scuola, ma spesso creano tra loro reti di relazioni basate sull’amicizia, la condivisione di interessi, o addirittura il puro caso.
La “rete” delle amicizie, ossia quel sistema di connessioni che consente agli iscritti di separare il gruppo delle persone conosciute da quelle sconosciute, è certamente uno dei punti nodali dell’architettura di questa community, se non l’unico vero punto cruciale. Per capire questo assunto, basta iscriversi a FB (come molti utenti chiamano per brevità il sito) e cominciare a cercare amicizie, magari lasciando che sia il sito stesso a “scansire” la nostra rubrica telefonica digitale in cerca di altre persone già iscritte. Fin dai primi minuti di interazione con il sito, appare evidente come il centro di questa “vita digitale” sia la propria Home Page, ossia la schermata dove “accadono” gli eventi più importanti: in buona sostanza, questi “eventi” sono null’altro se non la visualizzazione in tempo quasi-reale di ciò che gli altri “amici” stanno facendo in quel momento. Ogni iscritto ha, infatti, la possibilità di condividere stati d’animo e pensieri sotto forma di brevi messaggi di testo, che possono essere accompagnati da immagini o da collegamenti a risorse esterne a FB (ad esempio, un altro sito web contenente un articolo di particolare interesse per chi scrive, e così via). Tutto ciò che un utente “condivide” secondo questa modalità viene automaticamente mostrato nella Home Page dei suoi amici. Così, la Home Page di un iscritto diventa rapidamente una lunga lista di quello che altri (compresi gli amici degli amici) hanno fatto o detto nei minuti o nelle ore immediatamente precedenti, e nulla più.
Appare quindi chiaro come, semanticamente, il concetto di “amicizia” diventi estremamente labile nell’era di Facebook, e con risvolti talvolta paradossali: poiché l’amicizia è l’unica categoria semantica disponibile per entrare in relazione con qualcuno all’interno di FB, tutte le relazioni di conoscenza, rapporto sentimentale, parentela vicina o lontana, vengono immediatamente appiattite su quest’unico significato, senza alcuna percezione della “distanza umana” che può separare due amici, due conoscenti o due lontani compagni di scuola. Persone separate da decenni, che per strada nemmeno si riconoscerebbero, si trovano così – strette da un’immaginario vincolo di “amicizia” estremamente superficiale – catapultate in un mondo fatto dai pensieri e dagli stati d’animo degli altri, con ben poche possibilità di reale interazione con essi. Nell’ottica di rapporti umani sempre meno approfonditi e meditati, a presentarsi come cifra distintiva del proprio “esserci” è il tasto “mi piace”, presente sotto ogni “post” (il termine usato per indicare una qualsiasi forma di contenuto pubblicato su Facebook): in mancanza di tempo per approfondire l’amicizia – figuriamoci i contenuti – tutto ciò che frettolosamente ci resta da fare è far sapere agli amici che ciò che essi hanno scritto (da “aiutiamo i profughi d’Abruzzo” a “vorrei tanto dormire un’ora in più”) indistintamente “ci piace”. L’assenza di qualunque altra gradazione fa sì che, se un contenuto “non ci piace”, non ci restano che due mere scelte: possiamo semplicemente ignorarlo, oppure avventurarci nella rischiosa impresa di lasciare un commento più o meno “ragionato”. Impresa rischiosa – dicevamo – perché è lo stesso medium comunicativo che incita i suoi utenti alla fretta, alla superficialità, all’hic et nunc: lasciare un commento più lungo di una freddura o di una estemporanea battuta rischia di essere percepito più come un esercizio di pedanteria che come un utile tentativo di avere rapporti umanamente sinceri e profondi. A conferma di quanto questa superficialità indotta informi tutti gli aspetti di FB, si possono rilevare i comportamenti paradossali che derivano da una tale esposizione all’effimero: ecco che conservare l’amicizia con qualcuno non significa più discutere con costui di un certo tema, ma si trasforma nel periodico invio di piccoli “regali” virtuali (la foto di un gioiello, di un orsacchiotto, di una merendina…) per fargli “sentire” la nostra vicinanza. O ancora: aderire a un’idea o a una corrente di pensiero, in Facebook si traduce nell’esserne “fan” (esatto: proprio come si è fan di un cantante o di una squadra di baseball). In questo modo, c’è chi è “fan” di Benedetto XVI e insieme della piadina alla Nutella, di Nelson Mandela e della Girella Motta, di Josip Stalin e delle scarpe firmate Prada, in una girandola continua di post che nulla hanno a che vedere l’uno con l’altro: la Home Page di un “abitante” di FB si popola così di continuo di piccoli messaggi lasciati da altri, di notifiche sul fatto che Marco ora ama Lara, che Gianluigi è diventato fan dell’ultimo libro di Cammilleri, che Carla parteciperà al prossimo evento sulla celebrazione della Resistenza… Si verrà altresì informati che, mentre Anna asseriva che Berlusconi “non è il suo presidente” (accodandosi ad un nutrito gruppo di fans), Giacomo si iscriveva senza remore ad un gruppo di supporters di Forza Nuova. Il tutto senza memoria e senza futuro, in una confusione continua tra aspetti sentimentali, edonistici, estetici, sociali e privati. – una confusione alimentata anche da usi distorti della lingua che sfociano di frequente nel grottesco: chi, per motivi di riservatezza o di cautela, decidesse di eliminare dai propri dati una qualsiasi informazione privata (ad esempio, il nome della fidanzata) inserita in precedenza, farebbe in realtà credere a tutti che “ora Paolo non è più fidanzato con Veronica”: ironie di un eterno presente, in cui ciò che non viene più detto, semplicemente non è più.
In definitiva, possiamo considerare Facebook un mondo abitato da collezionisti: si vive per aumentare la propria collezione di amici, regali, pokes (una sorta di “buffetti” virtuali), commenti, iscrizioni ai vari gruppi di interesse… Di tutto ciò, Facebook conserva gelosamente una lista: se da una parte, infatti, l’utente non ha memoria di ciò che è successo in passato, perché il numero di elementi sulla Home Page è limitato nel tempo, dall’altra parte tutte le informazioni inserite, anche quelle eliminate, sono custodite in eterno nelle memorie dei server, creando notevoli grattacapi agli esperti di privacy.
Ma al di là degli aspetti tecnico-legali, chiediamoci: cosa comporta questo per lo sterminato popolo degli utenti di Facebook? Di nuovo, solo confusione. Confusione principalmente tra ruoli: da una parte, il servizio promette di essere un tramite fra le persone, un veicolo di rapporti umani; quando in realtà è soltanto una sterminata collezione di “ci sono anch’io”, dove tutti possono fare, pensare o dire qualcosa solo nell’effimero “eterno presente” a loro concesso per il tempo di una schermata. Dall’altra parte, però, comincia a delinearsi una strategia – la cui liceità non è compito mio indagare, ma che è pur tuttavia facilmente giudicabile – per la quale ogni utente è in realtà un perfetto target di marketing: di lui, un potenziale venditore potrebbe conoscere (o dedurre) interessi, tipo di conoscenze, orientamenti religiosi e politici, tempi e ritmi di vita, capacità professionali o di leadership, gusti sessuali, alimentari, estetici… tutto. Ogni utente diventa quindi, nella migliore delle ipotesi, un numero nelle statistiche compilate (e rivendute) da Facebook a soggetti terzi con interessi di mercato.
Ovviamente, quanto più Facebook sarà capace di trattenere utenti al suo interno, e di ammaliarli con il suo continuo ed effimero cambiamento, tanti più acquirenti terzi potranno contare sull’affidabilità delle sue statistiche. La confusione operata a tutti i livelli – confusione di ruolo tra sito di servizio e sito di campionamento e parcellizzazione; confusione tra legami sociali e legami virtuali; confusione tra vita reale e pura presenza online; confusione linguistica tra aspetti regolati dal tempo e aspetti immutabili; ecc. – non è altro quindi che un abile mascheramento per una complessa operazione di mercato che vuole favorire le reti fra utenti soltanto per potere quegli stessi utenti irretire, e con una promessa ben chiara: che la mera presenza e la conseguente possibilità di dire e fare ciò che si vuole corrispondano alla libertà; quando invece si è solo vittime, per l’ennesima volta, di una strumentalizzazione.
 
Per approfondire:
 


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