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AMEN



Regia: Costantin Costa-Gavras
Lettura del film di: Nazareno Taddei sj
Edav N: 300 - 2002
Titolo del film: AMEN
Titolo originale: AMEN
Cast: regia: Costantin Costa-Gavras– scenegg.: Costa-Gavras e Jean-Claude Grumberg dal testo teatrale “Il Vicario” di Rolf Hochhuth - fotogr.: Patrick Blossier – mus..: Armande Amar - suono: Pierre Gamet – scenogr.: Ari Hantke / Maria Miu – cost.: Edith Vespérini – mont.: Yannick Kergoat – trucco: Thi-Loan Nguyen – interpr.: Ulrich Tukur (Kurt Gerstein), Mathieu Kassowitz (Riccardo Fontana), Ulrich Muhe (Il dottore). Michel Duchaussoy (Il Cardinale), Ion Caramitru (Il conte Fontana), Marcel Iures (Il Papa), Frie¬¬derich von Thun (Il padre di Gerstein), Antje Schmidt (Madame Gerstein), Hanns Zischler (Grawitz), Sebastian Koch (Hoess), Erich Hallhuber (Von Rutta), Burkhard Heyl (Il direttore), Angus Macinnes (Tittman), Bernd Fischerauer (Il vescovo von Galen), Pierre Franckh (Il pastore Wehr), Richard Durden (L’ambasciatore Taylor), Monica Bleibtreu (Madame Hinze), Justus Von Dohnanyi (Il barone von Otter), Gunther-Maria Halmer (Il pastore Dibelius), August Zirner (Von Wiezsacker), Horatiu Malaele (Fritsche), Ovidiu Cuncea (Stephan Lux), Markus Hering (Karl), Susanne Lothar (Alexandra Baltz), Alexander Geringas (Helmut Franz), Theodor Danetti (Il vecchio Cardinale), Radu Binzaru (Armin Peters), Constantin Alexandrov (Il nunzio), Heinz Gerhard Luck (Il vecchio frate), Marina Berti (La principessa), Michael Mendl (Monsignor Hudal), Niels Hansen (Il pastore Rebling) – colore – durata: 130’ - produtt.: Claude Berri - riprese in Romania (MediaPRO, Adrian Sarbu) e in Italia, Francia 2002 – coproduz.: Katharina/ Renn Productions TF1 Film Production con KC Medien e con Canal + - origine: FRANCIA, 2002 - distrib.: Mikado
Sceneggiatura: Costa-Gavras e Jean-Claude Grumberg
Nazione: FRANCIA
Anno: 2002
Presentato: Festival di Berlino 2002 – Concorso

Non fosse un film di Costa-Ga­vras — il regista francese di origine greca, già autore del fatidico Z-L’ORGIA DEL POTERE (1968) — verrebbe voglia di dire che il grande scandalo per questo film è stato suscitato ad arte, approfittando di qualche incauto cattolico.

 

Ma con Gavras non si può: egli voleva parlare dell’indifferenza di politici e religiosi (compreso il papa Pio XII) per l’olocausto degli ebrei.

Ne è venuto fuori un film «poli­tico e non storico» — secondo la stessa dichiarazione del regista — che contribuisce certo a gettare ingiusto discredito su quel Pa­pa, sulle Chiese cristiane e sulle diplomazie internazionali.

Ciò però riesce soprattutto con quel pubblico che guarda, ma non legge, i film che va a ve­dere. E di questo pubblico, purtroppo, fa parte anche qual­che cattolico che magari ha responsabilità in campo di critica dei mass media; nonostante gli ormai decenni di tristissime esperienze di film, causate dal non aver mai voluto attendere al problema della «lettura strutturale» dei film e della tv.

Cosí, si sono demonizzati film quand’erano di notevole valore positivo o esaltati altri quand’erano, come minimo, artefici di confusione mentale su problemi gravi o di secolarismo.

Questo film, in un certo senso, si può demonizzare perché spettacolarmente prende posizione politica con chi vuole a tutti i costi accusare Pio XII, ma in realtà — come vedremo — anche spettacolarmente usa armi spuntate.

Infatti, nei titoli di testa, dice chiaramente d’essersi ispirato al (famigerato) libello teatrale Il Vicario dell’austriaco Rolf Hoch­huth, della cui inat­ten­dibilità storica, oltre che dell’artefatto livore anticat­to­lico, dovrebbe essere ormai inutile parlare. E stupisce che un autore serio come Costa-Gavras, a distanza di anni, lo va­da a ri­pe­sca­re, con l’onestà però di affermare che la base del suo film è quella (sinistra) pièce teatrale, quindi non storica. «È un film sull’indifferenza. — ha dichiarato il regista — L’indifferenza è il vero crimine: non è cominciata con Au­sch­witz e non è finita con la guerra. È ancora una piaga, come lo era 60 anni fa, negli anni bui della guerra. Oggi, all’alba del XXI secolo, il continente africano sta morendo e tutti se ne lavano le mani.»

Resta comunque difficile da capire, perché Costa-Gavras, per servire un cosí nobile e urgente intento, si sia appoggiato al don­chisciotte che prende per mulini a vento Papa Pa­celli, ch’è proprio il viceversa della realtà che certa gente vuol far credere.

A meno che…

Di un intento scan­dalistico (e­ventualmente della produzione, non del regista) pare già prova il manifesto pubblicitario, commissionato all’italiano Ol­vie­ro Toscani, no­to in campo inter­na­zional­e per i suoi manifesti pub­bli­citari scan­dalistici (p.e. i guanti preservativi per Benetton). Anche la «Civiltà Cattolica» nell’editoriale del 6 aprile 2002, n° 3643 sospetta l’intento commerciale: «Chi lo ha crea­to e utilizzato ha evidentemente a cuore le esigenze del mercato piú che il vero rispetto dell’altro.»

In Italia, quel manifesto non è stato utilizzato nella pubblicizza­zio­ne del film, perché ritenuto bla­sfe­mo. Purtroppo, in Italia, la be­stem­mia non è piú reato, tanto che l’abbiamo incontrata, e­spli­ci­ta anche teologicamente — e stupida —, in manifestazioni politiche o sindacali senza che nessuno protestasse. Questa volta, invece, — caspita! — sí, è scandalo….

Eppure, qui, la bestemmia c’è solo per chi proprio la vuol vedere, perché il logico significato di quel poster è proprio l’opposto d’una bestemmia: la croce un­cinata si identifica con la croce della passione di Cristo, rivissuta dai due protagonisti del film (il tenente delle SS, Kurt Gerstein, protestante e il giovane gesuita Fontana, cattolico) nella lotta con­tro la barbarie an­tisemita hi­tleriana.

Ma veniamo al film.

Il film comincia con Stefan Lux che si spara un colpo alla Società delle Nazioni Unite per avvisare il mondo: è una sorta d’impostazione tematica. Ma il film è la storia di Kurt Gerstein (personaggio realmente esistito), ingegnere chimico, ottimo padre di famiglia, arruolato tra le fami­gerate SS per cura di un suo vecchio compagno di scuola, «il dottore» e incaricato della disin­fe­stazione delle fabbriche, delle ca­serme, dei campi di lavoro, mediante il gas Zyclon B. Quando egli s‘accorge che quel gas è u­tilizzato dalle SS per sterminare gli ebrei, resta al suo posto nella speranza di poter far qualcosa per contrastare lo sterminio, ma soprattutto per poter far conoscere al mondo quello che sta succedendo. Il suo amico dottore, frattanto, è divenuto uno dei capi degli sterminatori.

Gerstein prova — inutilmente — a sensibilizzare i respon­sa­bili della religione protestante cui ap­partiene. Incontra finalmente un gio­vane gesuita, Riccardo Fontana. Figlio d’un di­gni­tario del­la corte pontificia ro­mana, questi non riesce a convincere nessuno di quella realtà o quanto meno a far qualcosa perché si intervenga. L’ambasciatore americano non vuol nemmeno sentir parlare della faccenda, soprattutto dopo aver trovato resistenza presso la sua diplomazia, in forte contatto con quella vaticana. Ancor piú restio a sentirne parlare e a parlarne col Papa un importante cardinale e un altro anziano monsignore.

Allora, padre Fontana violando il protocollo riesce a parlarne col S. Padre in persona, il quale ascolta preoccupato; ma nel discorso natalizio, pur lamentando le gravi ingiustizie che si stanno compiendo con la guerra, non attaccherà frontalmente Hitler per quanto si sta compiendo nei campi di concentramento.

P. Fontana riesce poi a ottenere un’udienza dal Papa per il tenente Gerstein, che vi si reca, ma l’udienza di fatto non ci sarà.

Ci sarà invece, a Roma, proprio la notte che Gerstein deve rientrare a Berlino, l’operazione per la deportazione di mille ebrei (15-16 ottobre 1943).

Il gesuita, tentato invano di convincere il Papa a fare qualcosa (mentre egli gli raccomanda temperanza e speranza*), si mette sul petto la tragica stella di ebreo ed esce dal cospetto del Papa. Lo troviamo che si unisce a un gruppo di ebrei e si fa deportare.

Ad Auschwitz, Gerstein accorre, presentando un falso documento di Hittler, ma il gesuita rifiuta di lasciare il campo. Il «dottore» li scopre, manda «in fumo» (ai forni cre­ma­tori) il gesuita e fingendo di denunciare Gerstein alla Corte Marziale, lo sottrae e gli chiede di trovargli una strada in Vaticano, prevedendo ormai la prossima fine della guerra. Gerstein si rifiuta, ma quegli risponde beffardamente di saper già come fare.

La guerra è finita. Gerstein scrive il rapporto sulla sua drammatica e­sperienza per le Forze Alleate; ma da esse è arrestato e si viene a sapere ch’è stato trovato impiccato in cella: «si è suicidato o è stato sui­cidato?» chiede freddamente uno degli ufficiali francesi.

Troviamo il perfido amico di Gerstein, «il dottore», in Vaticano che, come medico (proprio la professione che l’ha fatto ster­mi­natore), viene aiutato a fuggire e nascondersi in America Latina.

Una scritta bianco su nero: «20 anni dopo Gerstein è stato riabilitato». Il film finisce.

Questo finale è il punto fermo («.») che segue la parola «A­men.» del titolo.

Che significa? Che il Vaticano trascura gli ebrei vittime e aiuta gli aguzzini a salvarsi? La tentazione di dare un’interpretazione così cattiva a quel finale c’è; ma penso sarebbe ingiusta, perché il film non manca di far ve­dere il Va­­ticano che aiuta gli ebrei per­se­gui­tati e il film vuol solo denunciare l’indifferenza. È quindi una sorta di «Tiè!», urlato di rabbia e anche con ironia, dopo aver de­scritto il mondo dell’indifferenza e co­statato a cosa serve la prudenza diplomatica anche vaticana.

Ma vediamo meglio com’è fatto questo film.

È un film di fi­ction, con una storia inventata (l’o­rigine, ripeto, è una pièce tea­trale), ma che si riferisce a una tremenda realtà sto­rica (l’Olocausto) e il cui protagonista, il tenente SS Gerstein, è un personaggio real­mente esistito. Sembrerebbe quindi un film storico, ma non lo è, come del resto lo stesso autore ha dichiarato (e l’abbiamo accennato), ma proprio per come è strutturato.

Il film parla di una tremenda realtà storica: Costa-Gavras la rievoca con grande efficacia, pur mostrando quella real­tà dal di fuori: egli usa come materiale plastico il fumo delle ciminiere dei forni e soprattutto un treno con le porte sbarrate (che si suppone carico di ebrei) che corre al macello e lo stesso treno con le porte aperte che ritorna per caricarsi di altri ebrei.

La realtà degli ebrei deportati e sistematicamente sterminati è quindi rievocata, ma non docu­men­­taristicamente, dando però l’im­pressione di esserlo.

Di contro, c’è la figura del tenente Ger­stein, personaggio realmente esistito, la cui dedizione alla missione in favore degli ebrei è maggiormente evidenziata dal suo amore per moglie e figli, che deve sacrificare nel servizio della sua missione; e c’è la figura del giovane gesuita, che addirittura si fa deportare e finirà, appunto, in tragico «fumo». Questo personaggio è inventato, ma è verosimile o quanto meno emble­matizza quanti religiosi e sacerdoti si sono sacri­ficati in favore degli ebrei.

Tra la massa degli ebrei bar­baramente sacrificati e i due personaggi inutilmente eroi, c’è il mon­do denunciato di indifferenza, fatto di protestanti e di americani, ma soprattutto di cardinali e dello stesso pontefice Pio XII.

E qui, direi che casca proprio l’asino, anche cinematograficamente. Penso sia facile dimostrarlo.

Il film, infatti,prendendo spunto dal libello di Hochhuth, nelle pa­role del suo autore dovrebbe essere politico, ma quel mondo vi appare come storico. Falsamente, tuttavia, e che sia storico è affermato solo dalla finzione cinematografica.

Si deve infatti notare che sono due i mezzi di cui si serve l’autore — e brillantemente, sotto l’a­spetto spetta­co­lare — per accusare di indifferenza quel mondo: a) alcune frasi, di cui non solo non c’è riscontro storico, bensì messe lì per produrre l’effetto e inquadrate in contesti di mo­­menti non impegnativi, p.e. pranzi, generalmente lussuosi, oppure il Papa in vestaglia, appena alzato, che sta accarezzando il canarino della gabbia; b) a contrasto con i momenti di quelle frasi, si ripetono le immagini di quel treno o che va o che torna dalla fabbrica di morte; in qualche momento anche il fumo dalle ciminiere di quella fabbrica.

L’effetto psicologico di quella comunicazione d’un contenuto solo apparente, falso che sembra vero, è inevitabile; ma proprio per questo non vale come dimostrazione della vera realtà. Gli sceneggiatori, piú che il solo regista, spacciano falsità per verità.

Viene poi data come per certa la deportazione dei mille ebrei romani (15-16 ottobre 1943), quando invece è accertato storicamente che, proprio in quell’occasione, il Papa, tramite il suo Segretario di Stato, si im­pegnò a non denunciare pubblicamente quanto stava avvenendo a condizione che le de­por­ta­zioni cessassero immediatamente, il che avvenne.

Nel film, con frasi come quelle citate, si ripetono le solite accuse diventate di moda al tempo de «Il Vicario» (1963) e non ancora assopite, il che dà credito all’ipotesi d’una campagna della «stampa tedesca, soprattutto di sinistra (…). Sembrava impossibile che un popolo potesse macchiarsi di, una colpa così grave, si andò così alla ricerca dei “veri” responsabili: essi furono trovati anzitutto nei capi nazisti, ma anche nel Papa, che, per paura del comunismo, mantenne colpevolmente il silenzio» (cfr. «Civiltà Cattolica» n° 3645, 4 maggio 2002)

Quanto detto, mi pare sufficiente per spiegare da una parte l’efficacia spettacolare del film e, dall’altra la sua inattendibilità co­me documento, sia dello stesso Olocausto, sia delle colpe che attribuisce, particolarmente a quello che egli identifica come mondo dell’indifferenza.

Che colpe ce ne siano state, è difficile negarlo; ma che siano state quelle di coloro che il film accusa, non è credibile né storicamente accettabile. Quindi, cade anche il valore del film come denuncia dell’indifferenza.

Dato ormai per affermato e scontato il [non]valore né storico né tematico del film, data però la sua efficacia spettacolare e falsificante, per quanto riguarda l’informazione documentata dei fatti relativamente a Pio XII, rimando agli articoli citati dei due numeri della «Civiltà Cattolica»: il primo (6 aprile) nel suo «editoriale», il secondo (4 maggio) a firma di P. Giovanni Sale sj.

Concludendo, non si può non ammirare la capacità di Costa-Gavras di fare film brillantemente convincenti (almeno sotto il profilo spettacolare); ma nel contempo non si può non chie­dersi ancora una voltà come mai quell’eccellente regista si sia messo a servizio della menzogna, pur nel nobile intento di combattere un vizio sociale come l’indifferenza, che purtroppo domina ancora la vita sociale e internazionale. (Nazareno Taddei sj)

 

*) Il 20 febbraio 1941, Pio XII aveva scritto: «Là dove il papa vorrebbe gridare alto e forte (…), là dove egli vorrebbe agire ed aiutare, ecco la pazienza e l’aspettativa (che si impongono)». È evidente l’utilizzazione falsante.

 


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