UN GIORNO DEVI ANDARE
Regia: Giorgio Diritti
Lettura del film di: Adelio Cola
Titolo del film: UN GIORNO DEVI ANDARE
Titolo originale: UN GIORNO DEVI ANDARE
Cast: regia: Giorgio Diritti – sogg.: Giorgio Diritti, Fredo Valla – scenegg.: Giorgio Diritti, Fredo Valla, Tania Pedroni – scenogr.: Jean-Louis Leblanc, Paola Comencini – fotogr.: Roberto Cimatti – mont.: Esmeralda Calabria – suono: Carlo Missidenti – effetti: Ghost SFX s.r.l. – mus.: Marco Biscarini, Daniele Furlati – cost.: Hellen Crysthine, Bentes Gomes, Lia Francesca Morandini – interpr. princ.: Jasmine Trinca (Augusta), Anne Alvaro (Anna, mamma di Augusta), Pia Engleberth (Suor Franca), Sonia Gessner (Antonia, nonna di Augusta), Amanda Fonseca Galvão (Janaina), Paulo De Souza (Joao), Eder Frota Dos Santos (Nilson), Manuela Mendonca Marinho (Janete), Federica Fracassi (Suor Teresa) – durata: 110' – colore – produz.: Simone Bachini, Giorgio Diritti, Lionello Cerri in collaborazione con Valerio De Paolis per Aranciafilm, Lumiere 1 CO., Rai Cinema, in associazione con Wild Bunch – origine: ITALIA, 2012 – distrib.: BIM (28-3-2013)
Sceneggiatura: Giorgio Diritti, Fredo Valla, Tania Pedroni
Nazione: ITALIA
Anno: 2012
Chiavi tematiche: in Edav 409/2013 anche una LETTURA di Olinto Brugnoli
Il film procede ambientato in due luoghi culturalmente lontanissimi. La protagonista vive nel complesso di precarie palafitte: capanne, dove famiglie ai margini della civiltà occidentale trascorrono un’esistenza poverissima ma pacifica. Lei, Augusta, è italiana. Ha abbandonato casa e patria, tragicamente colpita da disgrazie familiari. Rimane insoddisfatta d'una vita ormai insignificante, trascinata avanti senza scopo. Ha trent’anni. Si è aggregata a suor Franca, che ritorna alla sua piccola comunità missionaria impegnata in Amazzonia tra gli ultimi del mondo. Anna, mater dolorosa di Augusta, è inconsolabile per la perdita della figlia lontana che non dà notizie di sé e del suo lavoro. La nonna anziana e scontrosa vive in casa della figlia Anna.
Augusta è sempre seria, malinconica, sopra pensiero, in crisi. Eppure quel luogo 'estremo' l’ha scelto lei! È chiaro che alla sua non più giovanissima età non ha il coraggio di occupare un nuovo posto nel mondo e il suo ruolo in società. Unica amica, in realtà amica della madre, è suor Franca, responsabile delle “sorelle” che si dedicano ai poverissimi abitanti d'una delle tante isole che l’oceano non ha ancora ingoiato. Si sposta da uno all’altro villaggio per aiutare tutti quelli che può e Augusta l’accompagna. Talvolta è lei stessa a guidare “Itinerante”, il barcone a motore che le trasporta da un’isola all’altra. Durante il viaggio la suora lavora e non perde tempo; l’amica pensa e riflette in quell’immenso deserto d’acqua che le circonda. L’accoglienza degli abitanti è festosa; quella della suora ai “suoi bambini” impressiona l’accompagnatrice e le strappa qualche breve sorriso. I disagi causati degli insetti e i pericoli di malattie non scoraggiano “la sorella”. La sua numerosa comunità di provenienza è costituita da anziane. Le vediamo sempre serene in fraterna convivenza. Si radunano nell'antica cappella per il canto salmodiante dell’ufficio liturgico e si tengono in relazione con quelle attive ancora in missione. Augusta si rende conto che la “Palafitta” dove è venuta a finire non è fatta per lei. L’Itinerante la trasporta in un'altra isola, dove vuole fare un'esperienza diversa e indipendente. Neppure là trova il suo habitat. Le sterminate spiagge bianco neve, la compagnia delle famiglie bene che sfruttano dal punto di vista turistico il luogo incontaminato, la prepotenza economica, (che non aborre dalla pratica di compra-vendita di neonati!), che vuole trasferire altrove i poveri indios della favela abbattendo le casupole di legno e convincendoli a occupare le nuove (brutte!) casette in muratura "per farli vivere convenientemente", ma in realtà per speculazione urbanistica della favela, la disgusta. Una casa di legno minacciata dalla risacca dell’oceano e infine trasportata via dalla corrente provocata dalle piogge torrenziali, è chiaro simbolo della perdita dei valori di ataviche tradizioni locali. I ‘civili’ che costringono i ‘selvaggi’ a omologarsi alla civiltà evoluta, non apprezzano le due leggi fondamentali di convivenza degli ultimi del mondo. Esse sono ricordate anche dai loro canti e celebrate dalle danze locali: l’amore e la solidarietà. Augusta vede, riflette, soffre. Non parla quasi mai, ma il suo viso in P.P. dice il suo stato d’animo e ne manifesta le reazioni psicologiche. Quando la mamma per mezzo di skype le chiede "sei contenta?", ella esita e poi sussurra un incerto sì: “Desideravo vederti!”. Fa conoscenza e quasi amicizia con una ragazza del luogo e la convince a partire con la suora che ritorna in Italia per un periodo di riposo. La giovane farà da badante alla nonna ricoverata all’ospedale. L’ammalata subito la rifiuta: “Non ho bisogno della badante”, ma poi si rassegna. "Conosci le preghiere?” le chiede un giorno. L'altra non capisce l’italiano e le offre il bicchiere dell’acqua. Sulla nonna morta la giovane celebra con serenità e convinzione il rito funebre del suo popolo. Distende le braccia sul cadavere e pronuncia la benedizione tradizionale: “Benedette le tue braccia e le tue mani che in vita hanno fatto il bene”. Ripete la formula sulle altre membra del corpo e sui sensi della defunta, che "l'hanno aiutata a servire gli altri e a godere i piaceri della vita".
Augusta è rimasta laggiù, sola, incerta sulla decisione da prendere circa il modo di impiegare la sua vita futura. Quella semplice e schietta della povera gente del villaggio lascia prevedere una certa riconciliazione con la sua. Il titolo del film la incalza: UN GIORNO DEVI ANDARE… ... a occupare il tuo posto nel mondo...
La protagonista del film non dimostra d'aver subito una grande evoluzione psicologica, che pure c'è stata nell'esperienza fatta tra la povera gente di quel dimenticato angolo del mondo. Esce lentamente dall'unica preoccupazione del suo caso personale. La costante malinconica assistenza come testimone di quello che succede laggiù è stata positivamente scossa in due circostanze, nelle quali un'improvvisa ondata di felicità l'ha invasa senza riuscire a dominarla. Un giorno l'abbiamo vista giocare a calcio con i bambini del luogo, anche lei scalza, in maglietta e calzoncini, che nella corsa per fare goal è caduta a terra sorridendo soddisfatta ai piccoli calciatori. L'episodio ancora più toccante è stato l'ultimo prima di contemplarla sola, sdraiata supina sul mare di sabbia bianca in taccia all'oceano. Sulla spiaggia orlata di mangrovie un bambinetto s'arrampica sugli alti rami cercando di raggiungere Augusta che gioca con lui a nascondino. Corre poi sulla sabbia soffice facendosi inseguire, cade e abbraccia con istintivo trasporto materno l'angioletto che la insegue e le cade addosso. Arriva intanto dall'acqua la barca dei genitori del bimbo, che riparte con i suoi: s'allontana, la saluta ripetutamente e le sorride... Arrivederci? …
Avevamo scoperto in lei anche un certo senso di simpatia verso un indigeno maturo... Chissà? Ma no, non è possibile! Sono troppo 'lontani' una dall'altro, troppo diversi!
I simbolismi della insoddisfazione e della solitudine di cui soffre la protagonista non sono numerosi nel film ma eloquenti. Il montaggio non li inserisce come estranei spunti di lettura dal contesto. Essi fanno parte del paesaggio. L'unico, sul quale il regista insiste inquadrandone i particolari, è il nome italiano del barcone "Itinerante", che ben corrisponde a colei che talvolta lo guida.
La vita laggiù si svolge calma, serena, tranquilla; non conosce fretta, ansia, stress. Tutto è a misura d'uomo. Giornate di sole e ore di pioggia torrenziale sono ricevute dagli abitanti con la benevola accoglienza di chi sa che esse fanno parte delle naturali variazioni climatiche. Ad approfittare di tutto con gioia come d'un bel gioco sono i bambini, che Augusta ammira con spontanei moti di commozione. Le rare barchette che solcano l'oceano sterminato parlano di vita. Lo stormo di uccelli migratori che si allontanano verso West parlano di adattabilità alle circostanze più diverse. Augusta li fissa e medita. Una sera partecipa a un raduno di persone che vogliono divertirsi. Abitanti locali e turisti ballano abbracciati in coppie di mista cultura. Augusta prende parte al ballo, ma non la vediamo soddisfatta. La colonna sonora, lungi dal contrapporsi polemicamente a tradizioni occidentali, non disdegna di introdurre nel ballo delle coppie la "danza della bella addormentata" opportunamente scelta nel contesto di festa.
Le immagini dello schermo che emozionano maggiormente sono quelle riprese con amplissima angolazione grandangolare, che vorrebbero abbracciare l'immensa distesa dell'oceano senza orizzonte. Il silenzio è la solenne voce della natura. Le canzoni locali (stupenda quella che accompagna il cast di coda del film) e i movimenti di danze tradizionali inneggiano all'amore e all' umana solidarietà..
Il regista è molto rispettoso verso tutto ciò che si riferisce alla religione. I crocefissi delle suore missionarie, le immagini sacre del luogo di culto, il monotono devoto salmodiare a due cori, (spettacolo estetico oltre che espressione di fede), testimoniano l'apprezzamento religioso. Augusta vede, forse approva ma non partecipa a forti emozioni del genere. Il regista dimostra, oltre che rispetto, una certa simpatia per i riti semplici e ingenui dei nativi della favela. Nessuna volontà di confronto e tanto meno di polemica si nota nella documentazione tra i diversi segni del culto. "Però, si chiede un personaggio: "perché costringere qui le persone a fare quello che non capiscono, ad esempio dire a un sacerdote quello che essi fanno?"
L'anziana suora missionaria è sempre dolcissima con "i suoi bambini", ...come le nonne. Augusta ripensa con nostalgia ai recenti lutti familiari che l'hanno "distrutta", sperimenta la nostalgia per la lontananza della mamma, che in casa vive sola in compagnia della nonna poco comunicativa.
La cultura locale ricca di espressioni di sincera umanità impressiona la protagonista, ma non la spinge a decidersi per la scelta definitiva. La sua recitazione è controllatissima e convincente.
Il film, molto ricco di suggestioni d'ogni tipo, è di tipo documentaristico riflessivo, mai disturbato da intenti apertamente spettacolari.
La ripresa notturna del volto in P.P. della protagonista, prima distesa sulla sabbia e infine sprofondata nell'amaca mentre contempla il cielo, dove la luce della luna si fa strada tra le nubi oscure, chiude il film a modo d'inclusione.
È LA STORIA DI AUGUSTA, GIOVANE DONNA GRAVEMENTE PROVATA DA RECENTI LUTTI FAMILIARI, LA QUALE, dopo aver abbandonato il suo paese, l'Italia, cercando di riconciliarsi con la vita vivendo a contatto con popolazioni povere e mancanti di tutto ma ricche di umanità, sensibilizzata dal loro modo di esistenza semplice al contatto con la natura, LENTAMENTE EVOLVE psicologicamente rappacificandosi con la vita.
Per la formazione della personalità dei giovani spettatori sembra opportuno distinguere la religione da tradizionali riti religiosi generici senza rifermenti a Dio personale.
L'accettazione rassegnata dei casi dolorosi della vita è facilitata dalla considerazione di chi sta peggio di noi e dalla fede convinta. (Adelio Cola, Torino 26 aprile 2013)