LA FEBBRE DEL SABATO SERA
Regia: John Bradham
Lettura del film di: Fabrizio Costa, Nazareno Taddei sj
Edav N: 58 - 1978
Titolo del film: LA FEBBRE DEL SABATO SERA
Titolo originale: SATURDAY NIGHT FEVER
Cast: regia: John Bradham - sogg.: Nik Cohn - scenegg.: Norman Wexler - scenogr.: Charles Bailey - fotogr.: Ralf D. Bode - mont.: David Rawlins - mus.: David Shire (The Bee Gees) - interpr. princ.: John Travolta (Tony Manero), Karen Lynn Gorney (Stephanie), Donna Pescow (Annette), Joseph Cali (Joey), Paul Pape (Double J), Bruce Ornstein (Gus), Nina Hansen (Nonna), Denny Dillon (Doreen), Julie Bovasso (Flo), Sam Coppola (Fusco), Fran Drescher (Connie), Bert Michaels (Pete), Martin Shakar (Frank), Lisa Peluso (Linda), Val Bisoglio (Frank Sr.) - produz.: Paramount Pictures, Robert Stigwood Organization - colore - durata: 118' - distrib.: CIC. - origine: USA, 1977
Sceneggiatura: Norman Wexler
Nazione: USA
Anno: 1977
John Travolta: un italo-americano nuovamente alla ribalta della recente cinematografia d'oltre oceano; a differenza di De Niro e Al Pacino, è un attore che viene dalla strada, non ha studiato (dice di essere nativo della Sicilia «che sta vicino Napoli»). Il film che lo ha rivelato si intitola LA FEBBRE DEL SABATO SERA: pellicola imperniata sulla dilagante moda della disco-music, particolare genere musicale da sentire al limite dello sfondamento dei timpani, rinchiusi in grandi capannoni, detti discoteche, illuminati esclusivamente da luci colorate ad intermittenza che hanno la prerogativa peculiare di rintronare un individuo nell'arco di pochi secondi.
Descrivere la vicenda del film in questione è cosa da poco. Un italo-americano di Brooklin, tale Tony Manero, passa la maggior parte dei sabato sera in discoteca in compagnia di tre amici, spendendo tutti i soldi - pochi a dire il vero - guadagnati lavorando come commesso in un negozio di vernici. Egli proviene da una famiglia povera così composta: la madre bigotta fino all'inverosimile, il padre disoccupato e stufo della vita in genere e, dulcis in fundo, un fratello prete in crisi religiosa per qualche arcano motivo (forse perché non sta bene che un prete vada a fare quattro salti in discoteca).
Da questo squallido back-ground, pare sottintendere il regista, non può che nascere Tony, ragazzo emarginato che spende trenta dollari il sabato sera (e ne vince cinquecento ogni gara di ballo che fa) per sculettare sotto la luce delle gelatine rosse verdi o gialle poste sui fari micidiali che di tanto in tanto illuminano la pista da ballo.
Per finire, uno dei ragazzi della cricca di Tony si uccide buttandosi giù dal ponte di Verazzano perché incompreso dagli amici, mentre il nostro eroe riesce, probabilmente, a trovare la ragazza della sua vita: una giovane ventenne carina, ma un po’ sciocchina e un po’ mitomane.
Il racconto sviluppa in maniera lineare due filoni: il primo (e il più importante) è quello delle interminabili sequenze girate all'interno di una discoteca, in cui l'autore del film è capace solo di rilevare l'abilità di Travolta e compagni di muoversi a ritmo di disco-music; il secondo è quello in cui il regista tenta un approfondimento sociale, attraverso il protagonista, sull'ambiente suburbano dei figli degli immigrati italiani che abitano nel trucido quartiere nuovaiorchese di Brooklin.
Vengono infatti fatte emergere alcune tematiche interessanti: quella della concezione tradizionale del cattolicesimo (che peraltro fa più da sfondo che essere sviluppata); quella dell'influsso dell'ambiente sulla concreta realtà contemporanea dei giovani: realtà che convive con la concezione religiosa tradizionale in una specie di vicendevole torre d'avorio, impenetrabile e frustrante (il figlio prete-spretato; la violenta discussione con la madre seguita dalle scuse; il papà che non apprezza l'entusiasmo del figlio per il piccolo aumento di stipendio che ha avuto); quella di sentimenti nobili e di volontà di sana affermazione che alligna nel nostro protagonista, ma che non può svilupparsi in quell'ambiente e lo costringe a cercare altrove il suo ubi consistam; quella del fascino d'un ambiente solo esteriormente superiore, rappresentato dalla ragazza di Manhattan.
C'è anche il chiaro accenno agli amici del protagonista, i quali continuano a chiamare «padre» il giovane Frank anche dopo che ha lasciato la Chiesa e cercano da lui una parola di consiglio.
Poiché queste tematiche si sviluppano e si collegano solo sul piano narrativo; non solo, bensì sono presentate spesso attraverso stereotipi, che si presentano a una duplice interpretazione è difficile cogliere una vera e propria idea centrale tematica.
E resta soprattutto, (almeno per quanto può spiegare il successo tra i giovani che il film sta ottenendo) la grossa presenza della musica moderna.
Tematicamente, la storia potrebbe convincere maggiormente se la figura della ragazza di Manhattan fosse sana più sostanzialmente. Le sue ritrosie al rapporto sessuale immediato e senza basi più consistenti non sono abbastanza definite: potrebbe trattarsi di formalismo d'altro tipo; e la sua quasi alterigia di classe non rivela un grosso spessore umano. L'amore che nasce quindi non è che sia emblematico di valori realmente superiori a quelli del povero quartiere. Ed è la storia che avrebbe potuto dare consistenza - dato il tipo di struttura - all'intero film.
Venendo meno un'idea centrale e un discorso tematicamente unitario, non è che tutto anneghi: c'è un pur episodico sapore di valori umani e anche religiosi e soprattutto uno squarcio interessante e acuto di vita contemporanea, non solo americana, che l'abbondante e, in certo senso, stereotipizzato uso di parolacce e di situazioni spregiudicate contribuisce - a modo suo - a mettere in risalto. Si potrebbe dire, dunque, che, pur venendo meno l'idea centrale tematica, si scorge un'idea centrale spettacolare (i balli e la musica, la spregiudicatezza dei dialoghi e dei comportamenti, la scazzottatura, ecc.) che ha alle spalle l'intenzione di proporre una riflessione su problemi esistenziali seri.
Artisticamente, troviamo una certa efficacia di descrizione ambientale e psicologica; una buona recitazione; un buon uso della macchina da presa e del montaggio.
L'insistenza sui balli - che, come accennato, rivela, assieme all'uso delle parolacce e dei comportamenti spregiudicati, l'intento spettacolare - è eccessiva ai fini d'un equilibrio ritmico dell'intero film.
Queste cose, pertanto, che pur contribuiscono notevolmente a creare l'immagine di un certo ambiente e d'una certa realtà, da quel certo punto in là, rivelando appunto un intento spettacolare, tolgono unità e armonia all'insieme.
Moralmente, il giudizio segue la valutazione tematica. In particolare, potremmo notare - in senso positivo - che i citati elementi di spettacolarità mostrano chiaramente la preoccupazione di agganciare il pubblico, soprattutto giovanile, per richiamarlo - attraverso i vari fatti e soprattutto il protagonista - a qualcosa di più serio e di più umanamente consistente, che non il solo passare il tempo spregidicatamente in compagnia. D'altra parte, vorremmo sottolineare che la già accennata indefinizione di valori e di disvalori - a causa della presentazione stereotipizzata di certi comportamenti - mentre da una parte, paradossalmente, attenua notevolmente il pericolo di comunicazioni inavvertite, dall'altra limita pure notevolmente il valore morale dei messaggi comunicati. (Fabrizio Costa e Nazareno Taddei).