C ศ CHI DICE NO
Regia: Giambattista Avellino
Lettura del film di: Adelio Cola
Titolo del film: C ศ CHI DICE NO
Titolo originale: C ศ CHI DICE NO
Cast: regia: Giambattista Avellino sogg.: Fabio Bonifacci scenegg.: Fabio Bonifacci, Giambattista Avellino fotogr.: Roberto Forza mus.: Pivio, Aldo De Scalzi mont.: Claudio Di Mauro scenogr.: Marco Belluzzi cost.: Nicoletta Taranta suono: Fulgezio Ceccon interpr. princ.: Luca Argentero (Max Rizzi), Paola Corellesi (Irma Camuzzo), Paolo Ruffini (Samuele Bazzoni), Myriam Catania (Enza Giannotti), Claudio Bigagli (Leo Fenaroli), Marco Bocci (Pino Conca), Roberto Citran (Pietro Giannotti), Massimo De Lorenzo (Crocetta), Chiara Francini (Mara De Rolandis), Edoardo Gabbriellini (Saguatti), Harriet MacMasters-Green (Rhonda Miles), Max Mazzotta (Frangipane), Isabella Adriani (Daria), Giorgio Albertazzi (Rolando De Rolandis) colore durata: 95 produz.: Riccardo Tozzi, Giovanni Stabilini, Marco Chimenz per Cattleya origine: ITALIA, 2010 distrib.: Universal Pictures International (8.4.2011)
Sceneggiatura: Fabio Bonifacci, Giambattista Avellino
Nazione: ITALIA
Anno: 2010
Tre ex amici di liceo, oggi laureati, perdono o non raggiungono il posto di lavoro, soffiato loro da immeritevoli concorrenti raccomandati e segnalati. Si coalizzano allora nella formazione ‘’PIRATI DEL MERITO’’ e si vendicano dei potenti ‘raccomandatori e segnalatori’, (più che dei loro favoriti, povera gente arrivata al successo senza meriti!), combinando noie, procurando beffe e organizzando pesanti scherzi denigratori (ma anche danni fisici economici…) alla ingiusta fama di baroni e boss altolocati. Uno del terzetto, dopo d’aver partecipato all’attacco, passa alla…difesa, portato in ‘orbita’ dal sistema ch’egli voleva denunciare e demolire. “Sono uno sfigato che ha avuto la sua prima occasione”, si scusa con i colleghi! Il sistema, dunque, va bene quando ti serve! Le avventure vendicative terminano con la provocazione finale: dopo essere riusciti a registrare le confessioni dei magnati della scienza e dell’università sulle loro malefatte promovendo immeritevoli raccomandati (aggiornato nepotismo contemporaneo!), ne diffondono in pubblico le immagini con risultato che tutti possono immaginare e che gli spettatori vedono sullo schermo chiedendosi se cose raccontate in modi simili siano da prendere sul serio. Una voce si distingue nella confusione della zuffa generale che vediamo sullo schermo: “C’è chi dice no!” [Magari!, aggiungiamo noi, in questo momento ‘coinvolti’ dallo spettacolo. Già, magari, ma ‘convinti’ da chi?]. Difesa dei colpevoli: “La registrazione è stata alterata, è illegale. Il processo verso di noi non si farà!”. Risultato finale, per auto confessione dei ‘’Pirati del merito’’ organizzatori dello ‘scandalo’:”Solo una strana misteriosa soddisfazione! [Quasi a riconoscere che tutto continuerà come prima!] Ma allora, il titolo del film…è soltanto una canzone?!...
A dire il vero, verso la fine il film imbocca la strada della denuncia seria e oggettiva, soltanto che essa si vanifica perché, come il solito, ‘giocata’ su registro comico- paradossale. Notevole è la trovata finale che chiude il film: I nostri ‘sfigati’ fanno inseguire per le strade della città i raccomandati da gente disoccupata mascherata con costumi e cappucci neri, che impressionano e lasciano perplessi gli interessati. Gli inseguiti vorrebbero denunciare gli incappucciati alla polizia, ma non esistono motivi d’accusa. Ultima inquadratura: ripresa panoramica della strada cittadina contornata sui due lati da innumerevoli macchine parcheggiate; (i proprietari che non si vedono, dato il contesto del film, lavorano in negozi e uffici dove probabilmente sono arrivati con raccomandazioni o segnalazione!). FINE
Voglio iniziare le mie riflessioni(-lettura) con domande rispettose.
Il nostro è film di denuncia? O soltanto d’informazione? O piuttosto di comunicazione?
Le domande sono tutt’altro che retoriche e tutt’altro che banali.
Che sia di comunicazione non c’è dubbio. Ogni film, come del resto ogni segno volontario appartiene a quel tipo di esseri. Non comunica la realtà dei fatti illustrati e neppure condanna o approva i medesimi per il fatto che li racconta. Semplicemente degli stessi fa capire ai destinatari del segno l’idea che degli stessi s’è fatta il comunicante, autore del segno. Non sempre essa è immediatamente comprensibile a causa di molteplici cause. Alcune dipendono dal comunicante, dalla percentuale di vera conoscenza dei fatti che intende poi comunicare attraverso il segno, (libro, fotografia, film…); altri dipendono dalla sua volontà di comunicarli in modo corrispondente alla sua volontà di riferire sinceramente la sua conoscenza dei fatti, ed altre ancora dalla sua capacità di raccontarli e dai mezzi tecnici da lui usati per realizzare il segno. Questi ultimi a loro volta hanno i rispettivi pregi e limiti espressivi, (film con pellicola a colori o in B/N…).
Anche il recettore del segno è limitato nella possibilità e capacità di lettura del segno, tanto da condizionamenti volontari, come attenzione interesse e preparazione specifica di lettura, quanto da disturbi esterni da lui indipendenti ma su di lui influenti nell’esercizio di lettura e comprensione del segno.
Accenno soltanto alla molteplice modalità di atteggiamento del recettore di fronte al segno e conseguentemente alla varia possibilità di recezione e lettura del medesimo. Altra, infatti, è la reazione personale, emotiva e irrazionale del segno da parte del recettore, altra, e tutt’altra!, è la relativa ‘’lettura’’ del medesimo.
Che il segno e qualunque segno volontario, e cioè fatto per comunicare, sia, dunque, opera di comunicazione, è realtà corrispondente alla finalità voluta dal comunicante autore del segno stesso. L’applicazione al film di questa asserzione è ovvia, dal momento che esso è, per definizione e scelta, mezzo di comunicazione. Come tutti i mezzi di comunicazione, è anch’esso soggetto a possibili accettazioni-interpretazioni da parte dei suoi recettori, oltre che di vera comunicazione oggettiva.
Essa conserva la sua garanzia oggettiva in dipendenza dalla lettura strutturale. Il film è segno strutturato ‘’così e così’’ dal suo autore; è ‘’leggendo’’ la sua struttura oggettiva che si riuscirà a comunicare con l’autore, e cioè a condividere con lui la sua idea espressa per mezzo del film. Il recettore, una volta conosciuta quell’idea dell’autore, potrà vagliarla, discuterla, accettarla tutta o in parte, contestarla e non condividerla.
Come si vede, non si è minimamente accennato alla possibilità del recettore di giudicarla valida, positiva o meno sotto diversi profili, quali quello tecnico, artistico, pedagogico o semplicemente semiologico-comunicativo.
Per quanto si riferisce alla funzione informativa è presto detto. Abbiamo già affermato, (anche se non debitamente dimostrato, perché la dimostrazione esige un complesso trattato di riflessione!), che informazione ‘’oggettiva e completa’’ non è umanamente possibile, in quanto ogni informatore sceglie di comunicare quanto dell’evento da lui conosciuto, o del quale addirittura è stato testimone, vuole e gli è consentito, se è giornalista!, di comunicare ai destinatari. I mezzi infatti cosiddetti di informazione, in realtà sono di comunicazione.
Qui, intendo riferirmi al film nella ‘’buona’’ (?) intenzione di produttori e autore…, si tratta d’una ingiustizia sociale giustamente denunciata e condannata, anche perché essa rappresenta un autentico cancro sociale che corrode nella società (il film si limita a raccontare quella italiana contemporanea) e colpisce i meriti e le ottime intenzioni degli elementi migliori che la compongono, in particolare i giovani laureati in cerca di lavoro dopo studio e impegno economico delle famiglie per mantenerli allo studio. Ora, denuncia va bene: si tratta di vedere come è realizzata.
Come sempre, non è quello che si ‘’dice’’ ciò che ha valore e che convince ma il MODO che chi ‘’parla’’ usa per denunciare fatti sociali di portata gravissima come nel nostro caso. Il regista del film, e prima ancora lo sceneggiatore, ha scelto di denunciare i fatti, secondo lui, e secondo noi, denunciabilissimi, adottando un MODO che gli impedisce di raggiungere lo scopo che si era prefissato. Riflettendo sul dato MODO, e cioè leggendo il film nei cosiddetti contorni due, arriviamo al paradosso: il film non è stato ‘’fatto’’ e diretto e finanziato con denaro pubblico (perché ‘’riconosciuto di merito sociale’’, come dichiara la didascalia di coda del film stesso) per denunciare in modo convincente, ma, dispiace dirlo!, soltanto per ‘divertire’, anzi, dal momento che del divertimento c’è soltanto il tentativo, di tentare di divertire. Film, dunque, che tratta di ‘’cose’’ serie, anzi serissime, ma che non ne tratta in MODO (siamo sempre sul modo!) da indignare gli spettatori coinvolgendoli nella presunta denuncia. Conclusione: è film di pseudo tematica. Ripeto, non perché parli di tematica falsa, ma perché ne parla in MODO tale da far comprendere che lo scopo non era quello di denunciare, quanto di prendere lo spunto e quasi il pretesto di denunciare per, in realtà, divertire o almeno tentare di divertire. Per la cronaca, nella sala con alcuni giovani e molti anziani, nessuno ha dimostrato di divertirsi. Forse, qualcuno si è confermato nella convinzione che oggi quelli che vincono non sono i migliori ma i ‘raccomandati’, come succede nel film.
Insisto con una domanda …superflua (?): sono realistici i fatti ‘denunciati’ dal film, corrispondono alla vita sociale italiana contemporanea? Non c’è dubbio, anzi la realtà è forse peggiore. Il film arresta l’inefficace denuncia a livello di sottosegretari del governo e cioè di onorevoli viceministri, a baroni universitari e a onnipotenti primari ospedalieri. Gli spettatori , scendendo a livelli più modesti ma più…drammatici, conoscono situazioni e persone delll’insufficienza dei quali essi sono, forse non del tutto bene informati ma convinti, i quali però sono arrivati a occupare posti importanti nella scalata al posto di lavoro. Inutile esplicitare il perché: come afferma il film, sono arrivati o per raccomandazione o per segnalazione. Tutto, dunque, quello che il film denuncia è corrispondente alla realtà, ma lo spettatore lo deduce non dal film ma dalla sua conoscenza di fatti simili…e peggiori di quelli raccontati dal regista. Il film afferma, non dimostra, si rivolge alla comune convinzione degli spettatori per dimostrare che quanto dice è vero, senza citare prove e documenti legali. Ecco il motivo che ci induce a dichiararlo spettacolo di pseudo tematica.
Bene benissimo, nel nostro caso, denunciare, ma i modi di rimediare alle malefatte dei cosiddetti ‘grandi’ sono altri, non (in teoria!...) quello di accettare il malcostume quando conviene, né di procurare danni materiali e morali ai ritenuti responsabili. Il film non suggerisce mezzi alternativi. Si limita a dichiarare che il sistema è marcio e che qualcuno gli si oppone e ‘’dice no!’’.
Sono uscito dalla sala disgustato. Pazienza aver visto tra gli interpreti d’un ‘’tale’’ film la brava Cortellesi, ma che anche il nostro Albertazzi abbia accettato di apparire nella parte d’un personaggio importante corrotto, sia pure come indiretto testimonial di denuncia del malcostume italiano contemporaneo, mi ha lasciato molto perplesso
Non mancano nell’intreccio delle vicende elementi sentimentali, ricordi dei bei tempi giovanili del liceo, cotte superate e ferite rimarginate, emblematici simbolismi sfruttando interventi di simpatici animali di compagnia (il cane domestico, solo e ‘malinconico’!), la goffa interpretazione di due carabinieri tuttofare e nullafacenti, l’attesa ansiosa d’una pericolosa soffiata da parte di zelanti sbandieratori della legalità, lo sfruttamento grossolano, non soltanto verbale, d’ogni occasione per ‘divertire’ gli spettatori giocando sul registro comico grottesco.
Degno di ricordo il giudizio che un personaggio del film esprime con una domanda tutt’altro che retorica:”Come andrà a finire questo paese in cui nessuno studia più?”
Non posso giudicare inutile il film visto. Gli autori però hanno sprecato l’occasione di fare una civile seria denuncia. Il film può essere realizzato avvalendosi di qualsiasi risorsa stilistica, compresa quella comica paradossale, purché sia usata in modo ‘intelligente’. Qui però…
L’unico personaggio ‘credibile’ nella sua interpretazione, (la sceneggiatura lo vuole quasi distinguere dai corrotti, presentandolo come vittima di giochi sporchi organizzati dai suoi dipendenti!) è quello al quale dà vita Giorgio Albertazzi, che, per fortuna sua e nostra, sembra sia stato lasciato libero di agire di fronte alla cinepresa secondo la sua collaudata esperienza professionale. Gli altri sono personaggi di commediola popolare. Quelli che fanno cadere…il palco sono le due insopportabili caricature sciocche dei carabinieri, ai quali si affianca l’incredibile stupidità del primario innamorato. Insomma, tutti meno uno sono fuori delle righe. Non si capisce come un tale film (come film, non come argomento e tematica!) sia stato riconosciuto di interesse culturale. Forse è dipeso dal fatto d’essere stato giudicato tale prima e non dopo la sua realizzazione.
“Come andrà a finire questo paese in cui nessuno studia più?“
È LA STORIA di tre neo laureati che, non riuscendo a raggiungere un posto di lavoro, (scopo di tanti sacrifici personali e delle rispettive famiglie che li hanno sostenuti economicamente fino alla conclusione degli studi), dopo aver costatato l’ingiustizia di coloro, palesemente meno meritevoli di loro, che hanno raggiunto i posti di lavoro soltanto per raccomandazione o segnalazione di persone potenti, si vendicano dei presunti responsabili mettendo in atto ogni forma di incivile vandalismo, mentre uno dei tre accetta per personale convenienza la raccomandazione e raggiunge il posto di lavoro, disapprovato dai colleghi. (Adelio Cola, Torino 11 aprile 2011)