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L ESORCISTA



Regia: William Friedkin
Lettura del film di: Nazareno Taddei sj
Edav N: 21-22 - 1974
Titolo del film: L ESORCISTA
Titolo originale: THE EXORCIST
Cast: regia: William Friedkin – sogg., scenegg.: William Peter Blatty – fotogr.: Owen Roizman, Billy Williams (sequenza Iraq) – mus.: Krzysztof Penderecki, Jack Nitzsche (musiche addizionali), Steve Boeddeker (2000) - interpr. princ.: Ellen Burstyn, Max Von Sydow, Lee J. Cobb, Kitty Winn, Jack Mac Gowran, Jason Miller, Linda Blair - colore - VM. 14 - lungh.: m 3321 – durata: 121’- prod.: William Peter Blatty per Warner Bros., in associazione con Hoya Productions – oigine: USA 1973 - distrib.: Pic (1973), Warner Bros. (2000), Nexo Digital (2013) - Warner Home Video - De Agostini (Gli Scudi) – riedizioni: 2000 e 2013 (19.6.2013 per un giorno in quasi tutte le sale italiane)
Sceneggiatura: William Peter Blatty
Nazione: USA
Anno: 1973
Premi: - OSCAR 1973 per: Miglior Sceneggiatura Non Originale e Sonoro. Era Candidato Anche Per: Miglior Film, Regia, Fotografia, Montaggio, Arredamento, Attrice Protagonista (Ellen Burstyn), Attore Non Protagonista (Jason Miller) e Attrice Non Protagonista (Linda Blair). LEONE D'ORO ALLA CARRIERA a Friedkin Mostra di Venezia 2013 - GOLDEN GLOBE 1974 per: Miglior Film, Regia, Sceneggiatura e Attrice Non Protagonista (Linda Blair, Candidata anche come Miglior Esordiente). Era candidato anche per Miglior Attrice (Ellen Burstyn) e Attore (Max Von Sydow) Non Protagonista.

A William Friedkin LEONE D'ORO ALLA CARRIERA Mostra del Cinema Venezia 2013

Prima Proiezione: 19 Giugno 1973. Nel 2013, In occasione del 40. Anniversario, La Nexo Digital porta in sala la nuova edizione restaurata e digitalizzata nella versione Director's Cut, con aggiunti 11 minuti di scene eliminate nell'edizione del 1973.

 Quando Paolo VI, il 15 novembre 1972, parlò del diavolo come entità personale tuttora esistente e operante, molti (anche cattolici) sorrisero o addirittura sogghignarono.

A parte il rispetto – già solo di buon senso, prima ancora che di fede o di devozione filiale – cui la parola d'un papa ha diritto almeno quando parla di argomenti di sua specifica competenza, prima di sorridere o di sogghignare quei molti avrebbero dovuto documentarsi.

Che sia chiaro: non basta certo l'apparizione del film L'ESORCISTA a far dare torto ai sogghignanti; anzi, di per sé, quel film non serve a nulla sotto un tale profilo (come si dirà nella valutazione tematica). Il film però offre l'occasione – dato soprattutto il suo successo di pubblico – di trattare l'argomento.

A differenza del P. Karras (il gesuita psichiatra del film), il quale dice che da quando s'è fatto gesuita non ha mai conosciuto qualche suo confratello che si fosse dovuto interessare di possessioni diaboliche, il sottoscritto pure gesuita, ma non in un film — può affermare invece d'aver conosciuto più d'un suo confratello (particolarmente uno) con molteplici e dirette esperienze di quel genere.

Anche oggi, 1974, ci sono vari esorcisti e non solo in Italia. In occasione del film, vari giornali hanno portato nomi e testimonianze. Ne conosco personalmente uno che opera in una grande città del Centro-Nord, il quale – fra l'altro – ha quell'incarico ufficiale suo malgrado e gli deve dedicare circa due giorni alla settimana. I... clienti, dunque, non mancano!

Ovviamente, non tutto ciò che gli si presenta è diabolico: effettivamente, suggestioni, superstizioni, malattie mentali, forze parapsicologiche ecc. giocano gran parte in quelle faccende. Ma egli mi disse un giorno che quando gli diedero quell'incarico non credeva al demonio e, P. Karras ante litteram, ci scherzava sopra. Ora, dopo diversi anni di esperienza, ci crede e non ci scherza più.

Il diavolo anche oggi si manifesta talvolta in forme di possessione o anche solo di materializzazioni e l'esorcismo per lo più rimette — per sempre o temporaneamente – le cose a posto.

Anzi, secondo l'esorcista P. Candido di Roma citato in «Panorama» del 3 ottobre 1974, l'esorcismo è proprio la prova che si tratti di possessione demoniaca e non di malattia o d'altro: «Dopo l'esorcismo c'è un miglioramento. Ma se questo miglioramento non si vede (...) vuol dire che c'è soltanto un malato di nervi».

Il ragionamento è valido. Perché infatti dovrebbe avere influsso su stati morbosi o situazioni che gli psicologi chiamano paranormali [credendo con ciò di liquidare il soprannaturale (1)] un procedimento che non ha alcun valore fisico o chimico, psicologico o ipnotico o comunque parapsicologico, se non un addentellato soprannaturale? che se si dicesse: «ha valore paranormale per un fenomeno paranormale», vorrebbe dire che quel «para» appartiene allo stesso ordine di cose; quindi…

Ma non si pensi che ammettendo anche oggi la possessione demoniaca significhi dar valore a ogni stupidità che la superstizione e la dabbenaggine hanno messo in scena, dal malocchio o dalla tarantola agli scongiuri o alle benedizioni semipagane.

Che ci sia molta confusione, d'accordo; ma con tanta presunzione illuministica odierna, si potrebbe pretendere di avere un po' più di chiarezza.

Diavolo (= il calunniatore o l'accusatore), demonio (= spirito del male), Satana (= l'avversario), Belzebù' (= il signore delle mosche), Belial (= il grande male), Lucifero (= il portatore di luce) sono i nomi più frequenti con i quali nella terminologia biblica e cristiana viene chiamato lo «spirito delle tenebre».

Non è da confondere diavolo o demonio con dèmone.

Il dèmone – in tutta la storia e la letteratura dei vari popoli – è un essere spirituale intermedio tra la divinità e l'uomo, che non necessariamente è vòlto al male. Basti pensare al dèmone dal quale, secondo i Dialoghi di Platone, Socrate si sentiva guidato nelle sue scelte soprattutto morali.

Dagli spiriti delle foreste, delle acque, degli stessi defunti presso i Celti e i Teutoni (dai quali più tardi si arriverà ai celebri «fantasmi» dei castelli nordici), dove incontriamo anche le origini mitologiche della licantropia (affezione isterica per la quale l'individuo, generalmente in occasione della luna piena, si mette a ululare come un lupo e a imitarne il comportamento), si arriva, p.e. presso i mesopotami, agli «udug» (spiriti del male raffigurati come animali), ma anche a Lamastu (spirito femminile della febbre) o a Lilith (spirito femminile della lussuria); o, presso i Greci – tra l'altro – alle Furie o Erinni (personificazione della violenza con la quale può esplodere il male fisico o morale) e alle Arpie (personificazioni della rapacità e dello spirito antiumano) alla Gorgone (mostro femminile dallo sguardo terrificante) o all'Idra di Lerna (serpente mostruoso dalle molte teste che rinascevano quando venivano tagliate).

Per i Romani si può pensare ai Numi che sono spiriti benigni. La prevalenza però è sempre per esseri malefici e mostruosi. Tutte le religioni ne contano moltissimi: dagli etruschi che raffigurano in bestie deformi l'irrequietezza di fronte alla morte e all'al di là, agli Yast dei testi iranici, dove tuttavia lo Spenta Manyu (dèmone benefico) è gemello dello Ahra Manyu (dèmone malefico), dallo Azazel (spirito del deserto o della solitudine) e dal vampiro Aluqah degli ebrei, agli Iblis e ai Ginn (loro dipendenti) degli islamici raffigurati ancora una volta da animali mostruosi e potenti.

Per quanto le tradizioni, le superstizioni e le immaginazioni popolari – più o meno ispirate o ispiratrici in campo iconografico – abbiano spesso frammischiato tutti questi concetti e questi esseri, il concetto e la realtà del diavolo di cui parliamo sono tutt'altra cosa.

Del diavolo si parla nella Bibbia (Genesi) come del tentatore che ispira a Eva il peccato e, nei Vangeli, sempre come del tentatore che avvicina Gesù nel deserto. Ma non sono le sole volte: nel libro di Giobbe, Satana viene autorizzato da Dio a infierire su quel servo fedele per metterne a prova la fedeltà; nel libro di Tobia, Sara ha uccisi ben sette mariti dal demonio Asmodeo e l'arcangelo Raffaele viene inviato a liberarla per accoglierne la preghiera e darla in isposa a Tobia; anche altrove gli accenni agli spiriti del male sono molteplici; ma è soprattutto nei Vangeli che si parla di questi spiriti maligni e immondi che vengono cacciati dagli ossessi o da Cristo o nel suo nome e sono costretti a dichiararne la divinità. E non si può non ricordare il suggestivo testo di S. Pietro: «il diavolo, vostro avversario, come leone ruggente, sempre vi gira attorno cercando chi divorare».

Se queste citazioni bibliche possono essere interpretate anche non alla lettera e non materialmente e se addirittura in qualche caso lo debbano, pare ben difficile però poter annullare per questo con un colpo di spugna la realtà che esse adombrano. Senza dire che un attento studio del cosmo e dell'uomo mostra tale un disegno della creazione da far supporre logicamente (non dico: da provare quantitativamente) l'esistenza dei puri spiriti anche maligni.

Il diavolo è un angelo decaduto. Un essere cioè – secondo la tradizione cristiana – che, sottoposto alla prova del riconoscere Dio come essere supremo, ha rifiutato.

Il demonio non va inteso come lo spirito del male nel senso manicheo d'un'entità del male (Ahriman) contrapposta alla pari entità del bene (Ahura Mazda). Il demonio è sottoposto a Dio; è stato da questi creato, non come maligno, ma come spirito che poi per libera scelta, avendo appunto rifiutato di riconoscere il creatore, è piombato nell'inimicizia contro di lui, diventando cristallizzato in questa sua intrinseca cattiveria. I diavoli poi sarebbero legione, guidati da Lucifero: spiriti comunque di superbia, di falsità, di cecità mentale pur intelligentissimi.

Cane legato alla catena, secondo pittoresche ma efficaci dizioni ascetiche, entità libera dal tempo e dallo spazio in quanto puro spirito, il diavolo esercita nel tempo e nello spazio l'azione conforme alla sua natura di ribelle, cercando di trascinare anche altri.

C'è una profonda analogia col peccato dell'uomo: rifiuto di riconoscere Dio come creatore, attraverso il rifiuto delle sue leggi, e, insieme, tendenza a coinvolgere anche gli altri nel proprio comportamento.

Di qui, a confondere il diavolo con la cattiveria che ognuno poco o tanto porta con sé o col male che succede nel mondo, il passo può sembrare breve e molti infatti lo fanno, in un senso o nell'altro. Ma lo fanno anche studiosi cui forse s'addirrebbe maggiore cautela quando parlano di cose di non loro specifica competenza. Uno psicanalista milanese, citato da «Panorama» (l.c.), dice molto bene: «Esiste in noi un grande bisogno di personificare il male fuori di noi (...) l'uomo cioè si difende proiettando lontano da sé il proprio senso di colpa, le proprie cattive fantasie, i propri istinti, (...). Non è, certamente, la soluzione del problema del male, ma per l'uomo è un modo di non essere schiacciato.» Dice invece meno bene quando, con le frasi (che vanno inserite esattamente nei puntini della citazione): «Il diavolo è la risposta a questo bisogno (...) e componendone la figura del Maligno. A questo punto il male è colpa del Maligno, non dell'uomo», sembra liquidare tutto il problema.

Bergman col film COME IN UNO SPECCHIO ha fatto lo stesso ragionamento, ma riferendolo a Dio (Dio esiste forse come proiezione d'un nostro bisogno?). Ha avuto però l'intelligenza di porre il problema in forma interrogativa. Procedendo infatti nella sua indagine, s'è accorto che la tesi non reggeva, pur restando valido il fatto psicologico della proiezione.

Altrettanto, liquidare il diavolo come pura proiezione per sgravarsi del senso di colpa è un po' semplicistico anche come dato di scienza. Da cosa nasce infatti quel senso di colpa, ch'è universale? Si risale a una norma etica superiore, quella stessa accennata del peccato d'origine, dietro alla quale appunto sta anche l'origine del diavolo come angelo decaduto.

Confondere dunque il diavolo con la cattiveria che ci portiamo dietro è un passo che non bisogna fare.

Non bisogna farlo, proprio per non confondere cose diverse tra loro e anche per non finire in una delle due esagerazioni opposte: o pensare di vedere il diavolo dappertutto e andarlo a cercare come aiuto potente (si pensi alle odierne manifestazioni di satanismo) o pensare che il demonio sia solo un fatto mitologico, un'immagine più o meno letteraria, un'astrazione simile a quella dei dèmoni dei Greci, addirittura un qualcosa alla moda che può fare «in».

In un'epoca di confusione come la nostra (2) è assai più spregiudicato e moderno, ma saggio e non cretino, non lasciarsi trasportare dalle correnti estreme: dar tutto per buono da una parte e rifiutare tutto dall'altra. Spregiudicato e moderno, proprio per opporsi all'ondata consumistica e balorda d'un conformismo culturale pieno... di vuoto (e non è un gioco di parole).

I fatti esistono. La severità della Chiesa nell'affidare il compito di esorcista (la stessa riservatezza di cui si circondano quegli uomini sono un chiaro segno della loro serietà e del loro equilibrio) e nello stabilirne le modalità può essere una valida indicazione. La realtà del demonio e delle sue manifestazioni (quantitativamente piuttosto rare) non devono assolutamente essere confuse con tutte le manifestazioni di superstizione e di isterismo nelle quali diavolo e acqua santa si profondono abbondantemente. Né si può confondere la prassi esorcistica che la Chiesa mantiene tuttora (pur con l'estrema riservatezza e severità cui s'è accennato) con il deplorevole uso che s'è fatto per secoli del nome del diavolo per spaventare a torto o a ragione i fedeli delle varie religioni, ivi compresa la nostra.

La vicenda: Regan, la dolce e buona figlia dodicenne d'un'attrice cinematografica, viene gradualmente impossessata dal demonio. Sottoposta progressivamente e inutilmente a tutte le analisi e le cure neochirurgiche, psichiatriche e parapsicologiche (ipnotismo), viene affidata come ultima speranza all'esorcismo. Lo stesso gesuita psichiatra Karras, al quale la indirizzano i medici e che riteneva superata, come concezione, la possessione demoniaca, deve ammettere il fatto; e, d'accordo con l'autorità ecclesiastica (la quale designa come esorcista un altro vecchio gesuita, studioso di archeologia nell'Iraq settentrionale, già pratico di queste cose per precedenti esperienze), partecipa all'esorcismo. La ragazza sarà liberata, ma il demonio nell'andarsene ucciderà i due esorcisti: il vecchio professore muore d'infarto, mentre il giovane, che rifiuta gli inviti del demonio e che, in qualche modo è impossessato dallo stesso, si getta dalla finestra come già era avvenuto una sera per un regista amico dell'attrice.

Il racconto si imposta chiaramente sull'esorcista – il vecchio sacerdote – al quale dedica il titolo del film e che vediamo all’inizio impegnato nei suoi scavi nell'Iraq, dove trova un simulacro che apparirà in qualche modo nell'ambito della ragazza indemoniata e una strana medaglietta cattolica che ritroveremo in un incubo di Karras e alla fine del film, donata dalla madre a un altro giovane gesuita amico di famiglia e di Karras stesso. Il vecchio archeologo, dopo l'inizio accennato, scompare dal film e lo ritroviamo solo quando l'autorità ecclesiastica, avvertita da Karras, lo incarica dell'esorcismo. Il racconto, inoltre, si preoccupa di identificare – per così – dire la storia personale dei principali artefici della vicenda:

– Karras, d'origine greca, per seguire la propria vocazione religiosa, ha lasciato sola la propria madre, la quale altrettanto sola morirà, lasciando nel figlio il rimorso. Karras – già scosso nella fede dal suo incarico di psichiatra d'un'università cattolica di Georgetown, dove chi si rivolge a lui ha problemi di vocazione e di fede e non solo di malattia – porterà il peso di quella morte; ma nell'ultimo agone col demonio, dimostrerà di saperlo superare;

– la madre di Regan, attrice, tutta dedita alla figlia, non legata a nessuna fede religiosa, come la figlia stessa, arriva a credere nell'esorcismo per amore, quando la scienza dichiara di non aver più nulla da dire;

– il personale di contorno è sottolineato nella sua caratteristica di importato: infatti il marito e la moglie che servono la casa dell'attrice sono evidentemente gente della Gestapo rifugiata in America; i Karras sono greci;

– con minore rilievo sono introdotti un commissario di polizia e lo stesso regista che poi verrà ucciso dalla bambina.

Ma il racconto, per quanto evidenzi la vicenda, mette in risalto anche alcuni dettagli:

– la progressiva possessione demoniaca della bambina, assolutamente innocente e inconscia, attraverso una gamma di fattori innocenti (il sentirsi dentro il capitano Gaio che, attraverso un gioco, dà risposte alle sue domande) su su fino alle più vistose manifestazioni quali il parlare lingue occulte, l'assumere varie personalità, la materializzazione di oggetti (p. e. il crocifisso col quale si lacera nel sesso), la forza tremenda con la quale colpisce le persone, ecc.;

– la liberazione esorcistica, che ripete fedelmente gli schemi classici, pur indulgendo alla spettacolarità soprattutto della morte dei due esorcisti;

– la concatenazione di eventi dissiti e lontani: il vecchio archeologo che «sente» in Iraq di dover partire perché «ha da fare qualcosa»; l'attrice che incontra ogni giorno Karras che non conosce, ma che è amico d'un Padre (quello del finale) già amico di famiglia; la pendola dell'archeologo che s'arresta in Iraq e la strana medaglia che ha trovato, le quali vengono a far parte di un incubo di Karras nei confronti della madre morta;

– una non credenza (la madre di Regan) e la perdita di fede (Karras) legate così strettamente all'evento;

– l'incapacità della scienza ad affrontare e a risolvere certi fenomeni e, insieme, la resistenza dello stesso scienziato religioso (Karras) ad ammettere il soprannaturale;

– la descrizione «classica» del possesso demoniaco e della pratica dell'esorcismo nella rigorosa prassi della Chiesa;

– il finale sul giovane gesuita, amico comune, che – ricevuta in regalo la famosa medaglietta – se ne sta a guardare la tragica scala dalla quale sono precipitate le due vittime del demonio.       

Accanto a ciò, il preciso dosaggio «spettacolare» di tutti i vari elementi strutturali del film: dalle sorprese... comiche, alla cruda verosimiglianza nella descrizione dei vari fenomeni, alla combinata azione di ritmi, di dettagli, di contrasti (p. e. – ma è solo un esempio – la paura che prova Karras allo squillare del telefono mentre sta ascoltando la registrazione dei l'indemoniata).

Da questi elementi, è abbastanza facile trarre la natura del film: la vicenda di Regan, veramente successa o meno, cioè un caso di possessione demoniaca con conseguente liberazione esorcistica, viene analizzata nelle sue componenti tipiche di caso di possessione: il fenomeno, l'inutilità della scienza medica, l'efficacia dell'esorcismo visto nella sua concretezza ascetica e canonica.

Tale analisi costituisce elemento universalizzante che mette il caso di Regan in una dimensione emblematica: la vicenda del film, cioè, è strumento per trattare del problema demoniaco nella sua angolazione ecclesiastica.

Si può aggiungere il tentativo di vedere nel fenomeno demoniaco connessioni più ampie che spieghino in qualche modo il perché succeda a questo individuo e non ad altri di essere posseduto dal demonio: una serie di coincidenze, quasi un punto casuale di convergenza di vari fattori assai lontani tra loro, ma legati da un invisibile filo misterioso. Non a caso il regista racchiude la vicenda di Regan nell'arco del vecchio sacerdote archeologo (l'autorità ecclesiastica lo sceglierà proprio per le sue esperienze... africane), nel contesto del giovane gesuita in crisi, dell'attrice amica di quello strano regista (trova un pelo di pube nel proprio wisky) che poi morirà misteriosamente per opera dell'indemoniata, del servitore ex-gestapo ecc.; quasi a dire che le forze demoniache operano prevalentemente in alcune zone geografiche o antropologiche o comportamentali, ma esplodono in forma macroscopica e violenta all'incontrarsi – sia pur casuale o innocente – di quei fili sotterranei.

Non si può poi trascurare la forte presenza dell'elemento spettacolare, tanto che parrebbe lecito chiedersi se l'idea centrale sia quella di far spettacolo servendosi di una certa storia tematica o quella di esprimere un certo tema, ma in maniera particolarmente spettacolare, al fine di sostenerlo maggiormente. All'interrogativo pare di poter rispondere in favore della seconda ipotesi, benché sia evidente la preoccupazione spettacolare. Infatti, i fattori di spettacolarità restano chiaramente al servizio dell'esposizione tematica e non viceversa; essi cioè intervengono a sottolineare il fenomeno (p. e. il vomito di bile) o a dare ritmo emotivo al film (si veda il citato dettaglio – comico – del sussulto di Karras al trillo del telefono), ma mai ad essi è sacrificato qualche elemento tematico.

Da ciò si può concludere che l'idea centrale è: «anche al presente le forze demoniache operano sulla terra, per lo più latenti, ma talvolta con manifestazioni esplosive, e ad esse si può opporre solo la forza della Chiesa nella persona dei suoi ministri (v. il finale), i quali hanno sì il carisma al di là delle loro situazioni soggettive (v. la crisi di Karras), ma per renderlo efficace devono apportare tutto il contributo della loro partecipazione personale (v. l'esorcista e lo stesso Karras negli ultimi istanti).

La valutazione tematica, sostanzialmente positiva, solleva il problema non tanto della credibilità (cinematografica), quanto piuttosto quello della validità dimostrativa. Più precisamente, questo film riesce ad essere dimostrativo solo in linea ipotetica; cioè: la tesi (v. idea centrale) è valida supposto che casi come quello di Regan succedano.

All'apparire del film in Italia, la critica (p. e. Cosulich in «Paese sera» e Grazzini in «Corriere della sera»,  ambedue del 21 settembre 1974) s'è slanciata contro il rivangare manifestazioni demoniache da Medievo, parlando di oscurantismo e di reazione. La risposta a tali accuse può venire solo in parte dal film, poiché esso può rispondere solo per la sua credibilità cinematografica e, dato lo stile del film stesso, anche per la sua verisimiglianza (per quanto riguarda quel tipo di accuse, la validità del film – ripeto – è solo ipotetica).

È quindi fuori dal film che bisogna andare a vedere se anche oggi fenomeni di quel genere succedano. Se è vero, come scrive Grazzini, «che il Diavolo, oggi, si sia aggiornato e piuttosto che nel corpo di una ragazzina abiti nel corpo di tutta la società» o che – come scrive Bianchi in «Il Giorno» (s.d.) – il demonio non è necessariamente orribile d'aspetto: può essere una splendida donna o un delicato biondino», è anche vero che simili osservazioni non toccano la sostanza del problema del film né critico né storico né esistenziale, anzi manifestano il tenere la discussione su un piano di mentalità che è lo stesso della mentalità che si vorrebbe denunciare nel film o nel suo autore.

Il problema invece è: per quanto riguarda il film, la sua credibilità cinematografica (cioè: è riuscito o meno – come film – a esprimere validamente l'idea, giusta o sbagliata che sia?); per quanto poi riguarda l'idea (cioè certo manifestarsi anche oggi delle forze demoniache e il modo per liberarsi da quelle), il problema è quello di sapere – fuori del film – se queste cose succedano e se i modi della Chiesa si dimostrino ancora validi. Il che – come si è detto nella nota che precede questa recensione – corrisponde ai dati dell'esperienza contemporanea, anche se poco noti. E un critico cinematografico (a parte che il secondo problema non è cinematografico e la confusione non depone mai in favore della precisione deontologica di chi la fa), qualora soprattutto intenda uscire dal proprio ambito, dovrebbe documentarsi prima di affermare; altrimenti rischia egli stesso di perdere in credibilità culturale oltre che specifica.

Affermato pertanto che la validità tematica è subordinata a una verifica extrafilm di quei fenomeni e costatato che fenomeni di quel genere effettivamente esistono, si può concludere che il film è tematicamente valido, nella sua parte sostanziale (il tipo di presenza demoniaca e il modo per allontanarla), nonostante le larghe pennellate di grand-guignol e l'eccessiva – talvolta ingenua – ricerca di spettacolarità e nonostante l'imprecisione di alcuni aspetti (p. e. le connessioni antropologico-culturali) o di alcuni dettagli (p. e. la crisi del giovane gesuita, la seduta ipnotica, il finale tragico).

Se un limite tematico c'è, lo si può riscontrare nella ricerca del caso «classico» e impressionante, scelto proprio perché impressionante e perseguito... fedelmente per conservarne la verisimiglianza spettacolare; ricerca che allora mostra la corda di quell'intenzione spettacolare di cui s'è detto, per cui la fedeltà tematica pur sopra dichiarata appare quasi strumento più che fine. Ne sono segno, apparentemente banale, il dettaglio inesatto del prete che spezza l'ostia alla consacrazione anziché alla comunione, o quello della sequenza dell'esorcismo in cui parrebbe che la segretaria di edizione non abbia funzionato a dovere (disposizione di mobili nella stanza, situazioni della ragazza ecc.). Questo limite è comune a quasi tutti i film di vicenda (o di «fiction»), i quali esasperano i toni drammatici, accumulano in poco tempo casi verisimili o anche veri, quando però non è sempre conforme a verità tale accumulo. In questo film, più che di accumulo, è forse giusto parlare di eccessiva drammatizzazione, l'essere cioè ricorsi a un caso tipico o di una certa non ordinaria intensità.

Sotto il profilo cinematografico ed estetico, non c'è molto da dire: buon mestiere, tutto teso allo spettacolo pur nel rispetto della fedeltà (salvo le accennate riserve della ricostruzione).

Sotto il profilo morale, gioca per un giudizio sostanzialmente positivo quanto s'è detto circa la validità tematica.

Ma, data la natura spettacolare dell'opera, è necessario soffermarsi particolarmente su quella che è detta la moralità estrinseca, vale a dire la sua capacità d'influsso sul pubblico. Sotto tale preciso aspetto, questo film suggerisce un discorso abbastanza particolare: è una delle poche volte in cui la forza suggestiva può avere un influsso positivo di natura idealogica, almeno per un pubblico occidentale (cioè di tradizione sostanzialmente cristiana o almeno biblica), in un momento come questo in cui la mentalità corrente sta relegando le forze soprannaturali tradizionali nel novero dei miti da abbandonare illuministicamente; momento peraltro in cui la ricerca del soprannaturale – magari inconfessata – si fa talora spasmodica, rifugiandosi o nei nirvana orientali o nella superstizione astrale o altro o addirittura nel satanismo: momento infine in cui, anche nei più... illuminati e increduli, c'è ancora una piccola zona d'humus in cui germina facilmente, più o meno confessato, l'interrogativo «però! e se fosse vero?».

In questa situazione, il film può – come minimo – accendere qualche interrogativo salutare o forse anche qualcosa di più. La precisione della trattazione, sia pur nell'esasperazione drammatica, può anche insegnare qualcosa e far recepire l'idea centrale più o meno come l'abbiamo indicata.

Da notare quei «può» che abbiamo moltiplicato in queste ultime righe. Ed è ovvio: ciascuno – se non «legge» – percepisce a modo suo perfino la vicenda; e quindi è pressoché impossibile stabilire a priori il reale effetto morale di un film. Ma pare di poter dire che, per chi non recepisce la storia nel suo vero significato, il film stesso non contenga elementi di dettaglio tali da lasciare sedimenti idealogici di rilievo, una volta sbollito l'effetto delle emozioni; per chi invece recepisce almeno la storia, l'emozione porta all'ambito accennato di conclusioni.

Del resto, il grande successo che il film ha ottenuto altrove e sta ottenendo da noi non può essere solo effetto né d'una campagna pubblicitaria magistralmente organizzata, né degli elementi spettacolari. Evidentemente è anche l'argomento che tocca, sia pure per il fatto d'essere presentato e trattato in certo modo.

Se si può condividere la stizza di alcuni critici nel rilevare come ancora una volta il pubblico subisca i richiami consumistici del «battage», si può d'altra parte supporre che, almeno questa volta, tutto il male non venga per nuocere. Non si può invece condividere il sussiegoso scandalizzarsi per il presunto ritorno all'oscurantismo e alle posizioni reazionarie. Un conto è servirsi della paura del diavolo per rafforzare il proprio potere, ma conto ben diverso è ricordare – sia pure in film drammatici e da cassetta – che il diavolo c'è e che non si caccia né con pillole né con suffumigi né tanto meno con la politica dello struzzo. (Nazareno Taddei sj)

note
(1) v. in l.c. a pag. 87 le dichiarazioni del parapsicologo Cassoli.

(2) Certi articoli proprio su quest'argomento, che sono apparsi in occasione di questo film, mostrano quanto siano di moda la confusione, il vago, il sensitivo al posto del razionale, elevati a tattica (o strategia?) consumistica.

 


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